Giancarlo Capecchi*
Maremma bella
I tempi bui della malaria sono ormai un lontano ricordo. Oggi Grosseto è sinomimo di turismo, messo però a rischio dal tragico incidente della Concordia. I primi interventi della questura al Giglio
Chi ha superato gli anta, anche i secondi o i terzi, ricorderà Katina Ranieri che cantava Maremma Amara, evocando tempi in cui anche ”l’uccello che ci va perde la penna” o “il giovin che ci va perde la dama”. Era la Maremma della malaria, con la sua capitale Grosseto che contava poche migliaia di abitanti e che era costretta a trasferire uffici, e gente che se lo poteva permettere, in collina, soprattutto a Scansano, dove si andava ad estatare per sopravvivere, perché la vita in estate, in pianura, era impossibile. L’estatatura ebbe termine a fine ‘800, l’ultimo caso di malaria, in Maremma, a chinino ormai conosciuto da tutti, ci fu nel 1961.
Con questi precedenti, uniti ad una storia di miseria, di angherie da parte dei potenti di turno, toscani o “stranieri” (ma la differenza era davvero poca), pensare alla Maremma di oggi, paradiso del turismo, con le sue offerte suggestive, “uniche e non clonabili neppure dai cinesi”, come mi ha detto in una recentissima intervista, il presidente Giuliano Amato, cittadino maremmano da 40 anni, sembra di sognare. Sia che si pensi alla costa che alla montagna amiatina, alla collina o alle terme, ai parchi naturali o a quelli archeologici. Non esagero per amore e orgoglio di appartenenza, che comunque sento: è proprio così. Si chiedano pure conferme ai prefetti, ai questori, ai magistrati, ai comandanti delle varie forze militari ai quali “tocca”, spesso all’inizio della carriera, la Maremma.
Difficile che vi sentiate dire da qualcuno che ha lasciato Grosseto volentieri. A meno che... ragioni di opportunità non impongano il sacrificio.
I maremmani, gente semplice, istintiva, subito pronta a legare, considera questi ospiti illustri, bonariamente, “raccomandati”. È un modo affettuoso per dare il benvenuto, per far capire che la Maremma di oggi non è più neppure lontana parente di quella dei secoli bui, dove, e non solo dalla Toscana, si arrivava per forza: la forca o la sfida selvaggia? E il condannato, sceglieva la Maremma, la malaria, che ti poteva concedere un’ora, un mese, un anno di vita, ma anche risparmiarti: meglio dello “zac” di un minuto della mannaia. È vero quindi, abbiamo discendenze non certo nobili, gente rozza (qualcuno legge anche oggi così il GR della targa automobilistica) che ha popolato le terre dove Dante faceva nidificare le Arpie, ma con valori e caratteristiche da meritare il riconoscimento di popolo.
Perché è stata proprio la miseria a sviluppare nei maremmani quella naturale tendenza alla solidarietà, al rispetto, alla disponibilità, all’aiuto reciproco, che fanno anche oggi di Grosseto una delle capitali italiane riconosciute del volontariato.
Certo, non viviamo in un’oasi felice, non ci si può più permettere di lasciare la chiave nella toppa neppure nei paesini, ma questa terra ha ancora una sua dimensione umana che non si riscontra facilmente in altre realtà. La maremmanità insomma come un valore che si afferma e si riconosce, tanto da fare di Grosseto una città in controtendenza pure demograficamente: aumenta infatti di 4 abitanti al giorno e si avvia verso i 90mila residenti, mentre Siena, la rivale di sempre, che ha dominato Grosseto e la sua p