Gianni Sarrocco

Miseria e illegalità

CONDIVIDI

Sulla scia della crisi economica tornano i furti di generi alimentari e le avances degli usurai. E le mense per i poveri sono sempre più affollate

Come si vive ai tempi della crisi, o meglio come non si vive e talvolta anche come si muore. Sì, perché in periodi di recessione nera si può perdere la vita per troppi debiti ma pure per eccesso di crediti che fanno fatica a rientrare rendendo così ingovernabile una situazione a dir poco complicata. Gli economisti si affanno a spaccare un capello in quattro perché la crisi economica non sempre comporta recessione o stagnazione. Ma al di là dei termini tecnici il periodo che l’Europa sta attraversando ha ricadute gravi in quanto a reati, ordine pubblico e via dicendo. Infatti se ci sono pochi soldi e se le banche in questo frangente hanno il braccino corto su prestiti , mutui e fidi altri soggetti mostrano invece notevole liquidità. E non si tratta di titolari di opere pie o di sciamannati che non si curano di prestare denaro a dritta e a manca, bensì di usurai che il più delle volte sono legati alla criminalità organizzata. E poi c’è chi ruba qualche busta di mortadella nel supermercato in stato di necessità perché non sa come mettere d’accordo il pranzo con la cena. E chi riscopre il valore delle catenine d’oro (proprie o frutto di furti e scippi) rivolgendosi alla ragnatela di “compro-oro” proliferati come non mai. In questo orizzonte fosco e in apparenza senza via di uscita c’è poi l’aspetto più drammatico, tragico: l’imprenditore in difficoltà che preferisce il suicidio alla firma delle lettere di licenziamento dei suoi dipendenti e il piccolo industriale che si uccide perché non sa come affrontare una situazione altamente debitoria. Sei casi negli ultimi due mesi tra commercianti e titolari di imprese stritolati dall’usura che ti toglie anche la vita oppure stroncati dalla vergogna per non sapere come affrontare gli impegni. Piccole pedine di una classe imprenditoriale che cadono come birilli sotto l’incalzare delle perdite in borsa e la forbice dello spread. Questo il quadro sconfortante che abbiamo di fronte. Sfaccettature preoccupanti di un unico problema che provoca malessere sociale (disoccupazione e cassa integrazione, nel 2011 utilizzate ore per 5 miliardi di euro), catena di piccoli e grandi reati, preoccupazione a chi è tenuto a tutelare la sicurezza pubblica.

L’usura
Ecco che l’usura continua a crescere in silenzio e nel silenzio. Alimentato dalla crisi economica – come denuncia il XIII rapporto di Sos Impresa – questo fenomeno sta conoscendo un vero e proprio boom in tempi di inflazione galoppante (secondo l’Istat il divario tra aumento delle retribuzioni e inflazione è il più alto dal 1995). Non si tratta solo di cosiddetti cravattari , duri e puri dello strozzinaggio, ma l’impennata ha anche la precisa impronta della mafia. Solo nella Capitale un negoziante su tre è legato mani e piedi a chi gli ha prestato denaro contante pronto a riprendersi non solo interessi stellari ma anche l’attività della vittima. E il risultato è che dal 2008 al 2011 ben 190mila imprese hanno chiuso i battenti per debiti o usura e i fallimenti negli ultimi due anni sono cresciuti vorticosamente, più del 16,6% nel 2008 e più del 26,6% nel 2009. Secondo una stima per difetto gli usurai sono saliti da circa 25mila a oltre 40mila. In crescita specialmente la fascia degli usurai dalla “faccia pulita” mentre le denunce sono sempre poche (le richieste di aiuto cresciute del 30%) nonostante gli sforzi tesi ad ottenere collaborazione. E nonostante gli arresti fatti dalla polizia e da altre forze dell’ordine nelle varie cosche di mafia, ’ndrangheta e camorra e nei gruppi di cani sciolti, vere holding, come quella degli zingari stanziali romani legati alle famiglie Casamonica-Di Silvio ben attive tra la Capitale e l’intero Agro Pontino.
Tanti nuovi poveri e altrettanti nuovi strozzini che pure per piccole somme pretendono interessi del 10% al mese e, se non si saltano le rate, si arriva a un tasso annuo del 120%; o, come è accaduto recentemente a Tarquinia (Viterbo) a un imprenditore si arriva al 90% a rata per un prestito di 36 mila euro. Con la crisi il businnes supera i 2,5 miliardi nel solo Lazio. «Oggi gli usurai non sono più semplici cravattari» spiega il giornalista Giovanni Tizian, autore di inchieste sulle infiltrazioni al Nord e di un libro, Gotica, sull’espansione della criminalità calabrese che nel 1989 a Bovalino gli ha ammazzato il padre Peppe impiegato di banca. «L’organizzazione – precisa il giovane cronista che vive sotto scorta a Modena dove lavora – mira soprattutto a impadronirsi delle aziende. Il tutto è finalizzato a questo scopo ultimo perché la mafia ha più liquidità delle banche e ha urgenza di investire le ingenti somme di denaro provenienti da altre attività illecite. Il modus operandi dell’usuraio è sempre lo stesso: toni bassi, approccio ammiccante – prosegue Tizian – tentativi morbidi nell’avvicinare le prede e poi si arriva al sodo senza, comunque, forzare la mano. Spesso sono gli uomini-cerniera che lavorano allo scoperto, personaggi insospettabili che fanno da intermediari riuscendo a saldare l’economia illegale a quella legale. Dopo il primo contatto le avanguardie dei clan riferiscono alla cosca di riferimento oppure a qualche banca. E così inizia l’operazione sanguisuga». Come si può uscire da una situazione del genere? «Bisogna intervenire subito – conclude il giornalista finito nel mirino della criminalità per aver toccato un nervo scoperto dell’organizzazione – occorre dare un aiuto economico alle vittime ma finalizzato anche al pagamento del debito mentre la legge prevede l’aiuto solo per rilanciare una nuova attività. Oggi la crisi ha creato nuovi poveri anche nella ricca Modena. Il ceto medio è il nuovo povero che via via è si impoverito sempre di più mentre qualcun altro si è arricchito sempre di più allargando la forbice a dismisura. Oggi i giovani non chiedono ricchezze ma solo una dignità economica».

I suicidi
Oggi tanti imprenditori e artigiani si tolgono la vita perché non riescono più ad andare avanti. È il tributo di sangue che l’Italia che lavora sta pagando alla crisi. Negli ultimi mesi un imprenditore in Sicilia, un agricoltore nelle Marche, un pensionato a Bari, altri titolari di imprese nell’ex ricco Nord-Est. Vite e storie diverse ma per tutti lo stesso cupo finale. Cinque suicidi in pochi giorni tra dicembre e gennaio. E nel Catanese il titolare di una nota concessionaria di moto si è tolto la vita sebbene l’azienda avesse i conti a posto. Ma l’uomo di fronte al calo del 30% del fatturato sarebbe stato costretto a trasformare i contratti di alcuni dipendenti in part-time. Soffriva molto per questa decisione e quindi una decisione estrema: si è impiccato dopo aver ingerito dei barbiturici. C’è chi dice che non è la crisi che uccide gli imprenditori ma il sistema. Perché c’è una bella differenza fra gli amministratori delegati di grandi aziende e gestori di medie e piccole aziende che sono lo zoccolo duro dell’impresa-Italia. Quando uno di questi incomincia ad avere dei problemi con le banche che bloccano i fidi e ci tiene ai suoi dipendenti, costui non ci dorme più la notte e il malessere piano piano ti lavora all’interno finché arrivi anche a pensare di toglierti la vita.
Per fortuna c’è anche chi resiste nonostante tutto mentre gli usurai ti stritolano e le banche si accaniscono contro chi non riesce più a sostenere gli interessi sui prestiti perché a loro volta i clienti ritardano i pagamenti e spesso non pagano mai. E molte volte anche i troppi crediti non riscossi – come è accaduto nel Trevigiano – possono portare al suicidio dal momento che ci si trova di fronte a un muro di gomma.

Reati per necessità
Un’idea di chi siano oggi i nuovo poveri? Basta avvicinarsi alle file che si fanno giornalmente agli ingressi delle mense gestite dalla Caritas, da Sant’Egidio o da altre associazioni di volontariato laiche e religiose. Non più solo extracomunitari, barboni, emarginati. Oggi abbondano facce pulite e dignitose, gente della piccola borghesia che vincendo resistenze inenarrabili si è fatta coraggio affollando il serpentone di ospiti dei centri di assistenza. Ciò avviene anche nei quartieri-bene delle grandi città che nascondono tanta povertà. Uno stato di bisogno che spinge i più deboli a imboccare altre strade, quelle che portano dritto al taccheggio per fame in qualche supermercato. Ecco la casalinga sorpresa a rubare pochi fettine di carne oppure un paio di buste di mortadella. Furti che mettono in imbarazzo gli stessi negozianti nonché le forze dell’ordine costrette a intervenire. Spesso finisce con una colletta oppure con beau geste da parte del direttore del supermercato. C’è chi giura che di fronte ad alcune situazioni di lampante stato di necessità qualche commessa preferisce chiudere un occhio mostrando una grande umanità. «In certi casi – racconta Mario Viola, primo dirigente della Polizia di Stato e responsabile del commissariato romano di Monteverde – qualcuno per pagare i debiti si è messo a rapinare banche con una pistola giocattolo. Come un’attempata signora di 65 anni, titolare di un’attività commerciale, che si è resa responsabile di razzie di poche migliaia di euro in alcuni istituti di credito del quartiere, somme poi ritrovate nella sua abitazione nascoste sotto un materasso. Sempre la stessa tecnica, travisata, in mano una pistola-giocattolo, impacciata a tal punto che si intratteneva nella banca anche per dieci minuti e passa. Come si è difesa? Estremo bisogno di denaro e non aveva scelta». «Oggi la crisi economica – aggiunge il Mario Viola – porta disagi sociali. Nel quartiere sono aumentati i piccoli reati per racimolare qualche soldo, rapine o furti per 50 o 100 euro. E furti di alimentari nei market. Monteverde è una zona più o meno residenziale ma ultimamente sono aumentati enormemente gli sfratti. Il che significa che ai proprietari di tanti piccoli appartamenti, ex impiegati che integrano la pensione con gli affitti, vengono a mancare questi introiti. Così si impoverisce anche il ceto medio».

 

01/02/2012