Anacleto Flori e Annalisa Bucchieri

Storie di acqua e fango

CONDIVIDI

L’opera di soccorso degli operatori della Polizia di Stato nell’inferno delle alluvioni che hanno sconvolto l’Italia

Acqua e fango. Da Nord a Sud, da Genova a Messina il maltempo ha messo in ginocchio intere città, distrutto paesi e frazioni, spezzato vite. Tra tante accuse e polemiche urlate, c’è stato chi si messo al lavoro in silenzio, come sempre. Tra questi tanti, tantissimi poliziotti che, al di là di ogni turno di servizio, si sono rimboccati le maniche e hanno messo la propria esperienza professionale e le proprie capacità umane al servizio degli altri, compiendo spesso gesti di (stra)ordinario eroismo. Alcuni saliti agli onori della cronaca, altri rimasti custoditi nei cuori di chi ha visto quegli uomini e quelle donne in divisa rischiare la propria vita per salvarne altre.

Monterosso e Vernazza
Tre ore. Tanto è bastato alla furia delle acque per allagare metà Liguria e una parte della Toscana. Tre giri di lancette che hanno portato morte e distruzione tra le popolazioni dello Spezzino e della Lunigiana e messo duramente alla prova la macchina dei soccorsi. È vero che per la mattina del 25 ottobre la Protezione civile aveva lanciato un allarme di 2° livello, ma anche i più esperti meteorologi si aspettavano forti temporali, magari l’allagamento di alcune strade e qualche disagio per la circolazione, non certo il finimondo. Invece le violente folate di Libeccio hanno via via ingrossato il mare con onde alte tre metri che hanno ricacciato su per l’alveo le acque del Magra. Una volta rotti gli argini, la piena del fiume ha trascinato con sé tronchi d’albero, automobili e cassonetti alla deriva; in poco tempo case, negozi, cantieri, rimessaggi e allevamenti di animali sono finiti sotto una coltre di acqua e fango. In quei primi tragici momenti all’interno dell’Unità di crisi ci si è resi conto che per raggiungere le abitazioni isolate e prestare soccorso c’era solo un modo: affidarsi alla professionalità e allo specifico addestramento dei sub del CneS di La Spezia e ai loro gommoni da rafting. E così, nel quadro dei servizi di ordine pubblico diretti dal questore di La Spezia Gaetano D’Amato, due squadre si sono messe subito all’opera avanzando tra mille difficoltà nel mare di fango per cercare di recuperare tutti coloro che avevano trovato scampo dalla violenza della piena rifugiandosi sui tetti delle case o delle autovetture. L’esperienza maturata in occasione di altre calamità si è rivelata preziosissima: mani, braccia, catene umane si sono prodigate senza sosta nell’opera di salvataggio. E a trovare posto a bordo dei gommoni non sono stati solo gli abitanti delle zone alluvionate, ma anche cani, gatti e perfino cavalli e mucche che venivano strappati alla furia delle acque e portati al sicuro, mentre la Caserma “Saletti” sede del CneS – come ci racconta il comandante del Centro Ugo Terraciano – offriva i propri alloggi alle decine di sfollati rimasti senza tetto per la notte. Passate le prime 24 ore, le operazioni si sono concentrate sull’aiuto da portare alle popolazioni della costa e in particolare ai borghi di Vernazza e Monterosso, completamente isolate e raggiungibili solo via mare. Al loro arrivo, il team dei sommozzatori e delle Squadre marittime – a cui si sono aggiunti gli operatori delle Squadre nautiche di Imperia, Genova, Livorno, Pescara, Fiumicino e Anzio (Roma) – si sono trovati davanti agli occhi uno scenario da tregenda: i borghi di Vernazza e Monterosso così come li conoscevano gli amanti delle Cinque Terre, non esistevano più, mentre anche lo specchio d’acqua antistante i due porticcioli si presentava costellato di relitti galleggianti. Un lavoro massacrante di bonifica, una corsa contro il tempo per permettere l’approdo alle imbarcazioni dei soccorritori, tra cui la motovedetta classe Squalo della Polizia di Stato che, dopo aver portato via i feriti più gravi, ha fatto la spola con la terraferma per il rifornimento di acqua potabile, generi alimentari, medicine e coperte per la popolazione. Una volta terminata l’evacuazione degli abitanti dei paesi costieri, l’intervento del CneS si è spostato verso l’entroterra, ugualmente devastato dalla tracimazione dei torrenti e dalle frane. Raccogliendo le centinaia di chiamate che segnalavano persone in difficoltà, squadre di poliziotti provati da turni di servizio interminabili hanno raggiunto, a bordo dei loro fuoristrada, anche le frazioni più lontane. Come nel caso di Borghetto, dove l’abitazione di un anziano rischiava di essere travolta da una frana ancora in movimento.
A nulla erano valsi gli appelli dei parenti e del sindaco: solo la fiducia in quegli uomini in divisa e le assicurazioni che nessuno avrebbe toccato nulla lo avevano convinto ad abbandonare la sua casa, le sue cose e i suoi ricordi. Una fiducia resa più forte dalla vista di quelle barbe incolte, di quei visi segnati dalla stanchezza e dagli schizzi di fango. Loro erano lì anche per lui.

Genova
Quella mattina del 4 novembre, la pioggia non accennava a diminuire, anzi. La perturbazione atlantica, così come previsto, stava flagellando la costa di Levante. Nella zona del quartiere San Fruttuoso alcune strade e piazze erano già semiallagate, ma il vero pericolo non era in quelle nuvole nere e basse che da ore incombevano sulla città, bensì nelle due anse che il rio Fereggiano disegna prima di scomparire nel tratto coperto dal manto stradale. Ed è stato proprio lì, che il torrente, sotto la spinta della piena che scendeva dalla collina, si è gonfiato, compresso e infine è esploso in un’onda anomala che ha travolto tutto quello che incontrava sul suo cammino. Tra i primi a intervenire nella zona sono stati proprio gli uomini del commissariato di “San Fruttuoso”, diretto da Agostino Gallo: «Avanzando a piedi lungo le vie del quartiere ridotte ormai a fiumi di acqua e fango – ricorda il funzionario di polizia – ci siamo prodigati senza sosta nelle operazioni di soccorso: alcuni di noi sono riusciti a mettere in salvo diversi automobilisti rimasti intrappolati, altri hanno legato delle lunghe funi agli angoli dei palazzi e ai pali della segnaletica stradale per offrire alle persone trascinate via dalla corrente un appiglio cui aggrapparsi». Case, scuole, negozi e seminterrati: ogni edificio del quartiere veniva controllato ed evacuato per evitare che qualcuno vi restasse intrappolato. Ma quando la squadra del vice questore Gallo è arrivata in via Fereggiano, era ormai troppo tardi: l’esondazione del torrente aveva già provocato la morte di quattro persone, trascinate dalla corrente proprio all’interno di uno scantinato. «Fin dalla mattina eravamo preparati ad affrontare una giornata difficile – racconta Emanuele Bozzo, capo pattuglia del Reparto volanti – ma appena usciti in strada ci siamo resi conto che la situazione era davvero drammatica: per raggiungere la zona di Fereggiano siamo stati costretti a fare una lunga deviazione, costeggiando la parte alta della città. Una volta sul posto ci siamo trovati di fronte a uno scenario apocalittico, come se fosse appena scoppiata una bomba: la strada era un ammasso di macerie con autobus di traverso sui marciapiedi, cumuli di automobili una sull’altra, saracinesche divelte, portoni delle abitazioni spazzati via e una marea di fango ovunque. Siamo scesi di corsa per dare una mano ai cittadini scioccati, ma anche per cercare di mettere un po’ d’ordine in tutto quel caos e facilitare le operazioni dei Vigili del fuoco e dei soccorritori. Dopo oltre vent’anni di servizio pensavo di essere pronto a tutto, ma una cosa del genere non l’avevo mai vista».
Se l’epicentro della tragedia è stato il quartiere di San Fruttuoso, altri reparti della Polizia di Stato si sono prodigati in interventi di soccorso e di ordine pubblico in altre zone della città e della Riviera di Levante: a Vernazzola gli operatori della Sezione volanti e del Commissariato “Nervi” hanno portato via in spalla gli alunni di una scuola materna, a Borgo Incrociati una pattuglia del Reparto prevenzione e crimine “Liguria” metteva in salvo una mamma rimasta bloccata con i suoi due bambini sopra il cofano di una macchina circondata dal fango, mentre gli agenti del commissariato “Foce Sturla” riuscivano a liberare una coppia di persone che rischiava di annegare in un locale le cui porte erano bloccate dall’acqua. E le operazioni di soccorso sono andate avanti fino a notte fonda. Qualche ora di riposo e poi di nuovo tutti in strada: chi a combattere la battaglia più dura, quella contro gli sciacalli sempre in agguato, chi armato di stivali e badili a rimuovere, insieme a tanti giovani studenti e cittadini, la spessa coltre di fango che ricopriva strade, androni di palazzi e negozi. Uno slancio generoso andato oltre ogni disposizione o turno di servizio, un atto d’amore per la propria città a cui si sono unite anche 3 squadre del Reparto mobile giunte appositamente da Roma. In tutto 450 poliziotti, uomini e donne la cui ricompensa più grande sono stati gli applausi di una cittadinanza prostrata dalle intemperie metereologiche, ma, ancora una volta, pronta a rialzarsi.

Barcellona Pozzo di Gotto
Da Nord a Sud, dalla Liguria alla Sicilia. A distanza di 20 giorni, quello che era sembrato un evento eccezionale si ripete seguendo, tragicamente, un copione già visto. Come a via Fereggiano a Genova, anche qui a via Tenente Genovese l’esondazione del Longano, gonfiato da ore e ore di pioggia e ostruito da pini secolari venuti giù dalla collina di Castroreale, è avvenuta proprio nel punto in cui il torrente si tuffa nel tratto coperto dal manto stradale. «Dalle finestre dei nostri uffici – racconta Mario Ceraolo, dirigente del commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto – abbiamo assistito impotenti al fiume di fango che scorreva lungo la strada trascinando via con sé alberi, auto in sosta e cassonetti con una violenza inaudita. Solo dopo un paio d’ore dal passaggio della piena è stato possibile uscire dall’edificio». Mentre le prime ombre della sera già incombevano sulla città, tutto il personale in servizio in quel momento è sceso in strada, torce in mano, per prestare i primi soccorsi alla popolazione. E solo allora è apparso evidente lo sfacelo che aveva investito la città: decine di auto erano state scaraventate in fondo alla strada, creando una catasta di carcasse che impediva ogni possibile via di accesso alla zona, mentre nel buio si udivano le grida di aiuto delle persone rimaste bloccate nei palazzi. Senza pensarci troppo, i poliziotti si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a spostare una dopo l’altra le automobili per dare la possibilità ai soccorritori di raggiungere le persone più in difficoltà, mentre con una vera e propria catena umana riuscivano a far arrivare agli abitanti torce, acqua potabile e cibi caldi.
Un’operazione di bonifica e di soccorso che è andata avanti oltre ogni turno di servizio, fino a notte fonda. «Alla luce delle torce - riprende a raccontare Ceraolo – abbiano setacciato, con il cuore in gola, tutte le auto portate via dalla corrente alla ricerca di eventuali dispersi. Sono stati forse i momenti più drammatici di tutti quei giorni di lavoro: a ogni vettura controllata temevamo il peggio. Per fortuna tutti erano riusciti a mettersi in salvo. È stato un vero miracolo che in quel disastro non ci siano state vittime». Ed è proprio in quelle ore di drammatica convulsione che sono emerse la professionalità e l’esperienza degli operatori del commissariato (cui si sono aggiunti gli uomini del Reparto mobile di Reggio Calabria e Catania). Passata la prima emergenza, infatti, il vice questore Ceraolo non solo ha organizzato delle pattuglie fisse per il controllo dei negozi e delle case abbandonate per non lasciare campo libero ai soliti sciacalli (9 le persone fermate a poche ore dall’alluvione mentre trafugavano beni di ogni tipo), ma anche allestito uno specifico team che, casa per casa, ha provveduto a recuperare tutte le armi rimaste incustodite nelle abitazioni. Fucili e pistole che sarebbero potute cadere nelle mani sbagliate, che ora invece sono al sicuro nella cassaforte del commissariato. Anche questo è un modo di essere poliziotti.

01/12/2011