Vincenzo Delicato*

Insieme è meglio

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Dalla fine degli Anni ’80 a oggi l’Italia ha sottoscritto più di 250 accordi e intese con 76 Paesi per la lotta alle organizzazioni criminali oltre confine. Fornitura di mezzi e formazione comune sono le chiavi di questa attività

 La cooperazione internazionale di polizia ha raggiunto un livello tale di sviluppo nel nostro Paese da costituire un elemento cardine della sicurezza. Oggi è possibile intraprendere una serie molto ampia di misure con autorità estere, comprensive di formule volte non solo allo scambio di informazioni o all’attuazione di provvedimenti giudiziari, ma anche alla definizione di iniziative congiunte e alla messa in opera di progetti di più ampio raggio tendenti alla prevenzione dei reati o all’attuazione di politiche comuni. La collaborazione con le forze di polizia di Paesi esteri rappresenta l’unico strumento in grado di fronteggiare la minaccia proveniente dalla criminalità organizzata transnazionale.

Criminalità senza confini
L’impulso maggiore per lo sviluppo della cooperazione internazionale di polizia nelle sue più attuali e significative manifestazioni proviene certamente dal carattere transnazionale dei fenomeni criminali. D’altra parte le principali raccolte di dati sulla criminalità per opera di organismi internazionali, come quelle redatte da Europol o dalle Nazioni Unite, tendono a porre in risalto le presenze di gruppi criminali stranieri e gli effetti delle loro azioni al di fuori dei luoghi di origine. Proprio in conseguenza del diffondersi di azioni criminali per opera di organizzazioni a carattere transnazionale, negli ultimi anni la collaborazione internazionale in campo penale ha ottenuto grande espansione giungendo a regolamentare sistemi standardizzati e procedure espressamente dedicate alla lotta contro i traffici illeciti. In questo senso, oltre alle formule dirette alla definizione dei procedimenti penali, va registrata anche la tendenza a sviluppare strategie e operazioni condivise con altri Stati per il raggiungimento di soluzioni uniformi sul piano legislativo e a livello operativo in materia di prevenzione e per la repressione di reati di interesse comune. La prospettiva da ultimo considerata assume ampia rilevanza nell’ambito dell’Unione europea e costituisce un elemento essenziale per il raggiungimento di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. A livello multilaterale la convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, aperta alla firma a Palermo il 12 dicembre 2000, e i suoi protocolli aggiuntivi contro il traffico di migranti, la tratta di persone e i movimenti illegali di armi costituiscono i più efficaci strumenti adottati nella materia e rappresentano un modello di riferimento anche per l’attuazione di forme di cooperazione internazionale sul piano delle relazioni regionali e bilaterali.

Accordi bilaterali
Gli accordi bilaterali conclusi dall’Italia rappresentano la prassi maggiormente rilevante nella cooperazione internazionale di polizia. A partire dalla fine degli Anni ’80, l’Italia ha sottoscritto 265 tra accordi e intese tecniche con 76 Paesi (Solo negli ultimi 5 anni, sotto la guida del prefetto Manganelli, più di 43. Vedi box da pag. 23). Molti hanno come obiettivo generale la lotta alla criminalità. Altri sono diretti a contrastare le organizzazioni transnazionali e menzionano espressamente le fonti di reato per le quali è prevista la collaborazione. Alcuni sono specificamente rivolti alla lotta contro i traffici di droga, l’immigrazione clandestina o la tratta di esseri umani. In genere, accanto alle formule di cooperazione previste, sono frequenti i richiami alla formazione degli operatori e, in alcuni casi, anche l’impegno per la fornitura di mezzi necessari allo svolgimento di attività di prevenzione e contrasto alla criminalità. Alcuni accordi di cooperazione tra forze di polizia rientrano nel novero di quelli per i quali è prevista una legge di autorizzazione alla ratifica ai sensi dell’art. 80 della Costituzione. Si tratta, in genere, di atti aventi natura politica o che implicano oneri per le finanze. In altre ipotesi la formula utilizzata per la ratifica degli atti è quella semplificata.
Gli accordi bilaterali costituiscono la base normativa di riferimento per tutti i modelli di cooperazione internazionale di polizia adottati dal nostro Paese. Oltre alle formule per agevolare lo scambio di informazioni e rendere esecutivi i provvedimenti giudiziari, attraverso gli accordi bilaterali si è sviluppata una rete efficace di ufficiali di collegamento, sono stati costituiti quattro centri comuni di cooperazione di polizia e doganale con Paesi limitrofi (Francia, Svizzera, Austria e Slovenia) e sono state fissate le procedure per l’attuazione di operazioni congiunte di controllo del territorio, nonché per la definizione di tecniche investigative speciali e azioni sotto copertura. In alcuni casi è stato concordato il distacco all’estero di strutture organiche di polizia per il miglioramento delle capacità di gestione amministrativa da parte degli organismi locali e per ogni attività di prevenzione e contrasto alle forme di criminalità. L’esempio più importante per questa tipologia di cooperazione è certamente quello relativo alla missione accreditata in Albania, dove dal 1997 è presente un nucleo operativo composto di poliziotti, carabinieri e finanzieri. L’accordo del 19 giugno 2007 si pone a completamento degli atti precedentemente adottati e fissa tecniche di cooperazione ad ampio raggio per la lotta contro la criminalità. Oltre a individuare le aree di intervento possibili e le tipologie di reato prioritarie, l’accordo definisce anche lo status degli agenti italiani che operano in territorio albanese e garantisce loro determinate immunità legate alla funzione (art. 8). È prevista la trasmissione di informazioni operative e di carattere giuridico, l’assistenza investigativa, lo scambio di prassi, esperienze e analisi dei fenomeni criminali, la consulenza e l’addestramento nel contrasto ai traffici illeciti via mare (art. 3). In quest’ottica, al contingente di collegamento spettano la raccolta e l’analisi delle informazioni sull’andamento della criminalità, sulle sue componenti e sui traffici, l’approfondimento in ordine allo svolgimento di indagini, la ricerca di latitanti, l’assistenza sul piano tecnico e scientifico, l’agevolazione delle attività di carattere giudiziario, lo studio delle linee di politica criminale per l’uniformità delle soluzioni nell’ambito dei sistemi giuridici dei due Paesi (art. 9).

Gli irregolari
Una menzione particolare meritano gli accordi sulla riammissione degli stranieri in posizione irregolare, poiché essi oltre a costituire una forma particolarmente efficace di collaborazione per la prevenzione e la repressione dell’immigrazione irregolare, tendono a sviluppare un meccanismo di definizione della responsabilità sul piano internazionale tra gli Stati interessati. Gli accordi di riammissione hanno come obiettivo quello di agevolare l’esecuzione di misure nazionali di allontanamento nei confronti di persone in posizione irregolare con la normativa sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri. Il nostro Stato, al pari di altri Paesi europei, ha sviluppato una politica di riammissione dalla seconda metà degli Anni ’90. Nello stesso periodo ha avuto inizio un processo di trasferimento delle competenze nazionali nelle materie relative alla gestione della migrazione in favore dell’Unione europea. Tra gli accordi vigenti assumono rilievo quelli per i quali è stato adottato anche un protocollo esecutivo, dove sono indicati gli organi legittimati a cooperare, le modalità di trasmissione delle richieste, i tempi di risposta eccetera. Tuttavia gli accordi di riammissione costituiscono, nelle relazioni riguardanti i cittadini dei rispettivi Paesi parti, una mera modalità esecutiva – definita in base alle esigenze reciproche – di un obbligo già esistente sul piano internazionale consuetudinario. L’esistenza dell’obbligo di riammissione per i propri cittadini in posizione irregolare all’estero è indiscusso nella prassi internazionale e costituisce un aspetto complementare a quello che rende liberi gli Stati di legiferare in materia di ammissione, soggiorno e allontanamento di stranieri. D’altro canto la riammissione dello straniero è diretta a ripristinare le condizioni preesistenti al momento dell’illecito attraversamento della frontiera o dell’irregolare residenza nello Stato di soggiorno da parte dell’individuo.

Informazioni comuni
Come si è visto, nel disciplinare le forme di cooperazione per la lotta ai traffici illeciti, il nostro Paese affronta il problema in modo ampio e diversificato, accompagnando in molti casi le formule di cooperazione specifiche con programmi volti a sostenere le forze di polizia estere e a contenere le cause poste alla base dei fenomeni. La collaborazione sul piano dei rapporti tra Stati dell’Unione europea privilegia la messa in opera di politiche comuni e, attraverso l’attuazione di prassi operative uniformi, fornisce uno strumento essenziale al processo di integrazione comunitaria.
In questo contesto generale assume sempre maggiore rilievo la tendenza verso una gestione coordinata e semplificata degli scambi informativi. A livello europeo essa trova una sua peculiarità nel “principio di disponibilità delle informazioni”, secondo il quale un poliziotto di uno Stato membro può, a determinate condizioni, acquisire in tempi ristrettissimi i dati in possesso di un altro Stato membro facendo riferimento alle sue autorità centrali. In futuro potranno essere previsti accessi diretti alle rispettive banche dati. Analogamente, la Convenzione di Palermo contro la criminalità organizzata transnazionale indica la volontà di rendere “più semplice il sicuro e rapido scambio di informazioni” per la cooperazione internazionale di polizia (art. 27, 1, a). In sostanza, a livello internazionale, la tendenza è certamente verso la condivisione delle informazioni tra gli organi operativi e la centralizzazione dei canali di comunicazione tra gli Stati. La rete europea degli ufficiali di collegamento muove nella stessa direzione. Un ufficiale di collegamento di uno Stato membro deve non solo agevolare le relazioni con i propri uffici nazionali, ma operare anche per conto degli altri Stati membri (decisione 2003/170/GAI del Consiglio del 27 febbraio 2003 e regolamento CE n. 377/2004 del Consiglio del 19 febbraio 2004).
Un rinnovamento del sistema nazionale di sicurezza, in un’ottica di coerenza operativa e di funzionalità della cooperazione internazionale in favore delle forze di polizia che agiscono a livello territoriale, è certamente auspicabile. Al di là delle singole tipologie di reato e dunque delle specializzazioni e delle ripartizioni di competenza tra i differenti corpi, tutte le iniziative volte a frammentare il flusso delle informazioni e a porsi al di fuori della sfera di intervento del ministro dell’Interno, del capo della Polizia e del Direttore generale della pubblica sicurezza, determinano un indebolimento nell’unitarietà della politica e della prassi applicativa in materia di sicurezza e finiscono per collocarsi in una direzione diversa rispetto a quella promossa nell’ambito internazionale. v

* direttore della Divisione affari bilaterali del Dipartimento della ps

01/10/2011