Anacleto Flori

Un martelletto per amico

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Nucleare, energie rinnovabili e divulgazione scientifica. Il geologo Mario Tozzi fa il punto sulla situazione ambientale in Italia

Geologo, ricercatore scientifico, giornalista, saggista, ma anche brillante conduttore radiofonico e televisivo: Mario Tozzi è tutto questo e altro ancora. Tante facce di una stessa medaglia: l’impegno quotidiano per la difesa dell’ambiente in cui viviamo.

La tua immagine con il martelletto in mano ha “bucato” lo schermo entrando in tutte le case degli italiani, facendoti diventare popolarissimo. Ma perché proprio un martelletto?
I martelletti d’acciaio con cui spaccare le rocce rappresentano i ferri del mestiere di ogni geologo che si rispetti. Una roccia vista da fuori non è in grado di fornire molte informazioni, ma se invece la spacchi a metà ti troverai davanti a una superficie che, sebbene vecchia di 50milioni di anni, apparirà come nuova: a quel punto basta inumidirla e osservarla attentamente per leggere tutta la sua storia gelosamente conservata nel corso del tempo. Il martelletto che usavo nel programma Gaia - il pianeta che vive era quello con cui mi sono laureato agli inizi degli Anni ‘80, lo portavo con me un po’ per una questione affettiva, ma anche per necessità di scena. Alla fine è diventato il marchio inconfondibile della trasmissione.

Quando hai deciso di passare dal mondo accademico a quello brillante e spettacolare della televisione?
Come spesso succede è stato per puro caso. Licia Colò aveva bisogno di qualcuno che commentasse una serie di documentari di geologia che giacevano inutilizzati negli archivi della Rai e allora uno dei suoi collaboratori, che avevo conosciuto ai tempi dell’università, mi invitò a fare un provino per Geo & Geo. Il giorno dopo commentai in diretta il mio primo documentario su Rai3: ho iniziato per scherzo e alla fine sono rimasto quasi otto anni.

Gaia è stato un programma di divulgazione innovativo e molto seguito. Andare in onda il sabato sera deve essere stata una bella scommessa…
Anche con Gaia è entrato in gioco il caso e ancora una volta il mio percorso televisivo si è intrecciato con quello di Licia Colò che, dopo aver condotto per due anni King Kong in onda il sabato in prima serata, aveva deciso di prendersi un periodo di riposo. Così nel 2001 è partita la prima stagione di Gaia. Fin dall’inizio abbiamo deciso di fare un programma nuovo, con immagini e scenari spettacolari ma anche con un’attenzione scientifica e un rapporto più diretto con il territorio. Il tutto confezionato con un montaggio serrato e una conduzione incalzante, quasi aggressiva, che fosse in grado di catturare l’interesse anche degli spettatori del sabato sera generalmente più inclini a vedere uno spettacolo di varietà o una partita di calcio… A distanza di anni posso dire che abbiamo vinto la scommessa, anche perché si trattava di una trasmissione dai costi contenuti, in grado di auto produrre più della metà dei servizi che andavano in onda.

A proposito dei servizi realizzati in giro per il mondo, quale paesaggio naturale ti ha colpito di più?
Dal punto di vista naturalistico sono attratto soprattutto dai deserti come quello libico, che ho avuto la fortuna di girare in tutta la sua vastità, o dal deserto rosso australiano con al centro l’Ayers Rock . Nonostante sia ormai diventata meta turistica per eccellenza, ancora oggi gli aborigeni considerano l’Ayers Rock un posto sacro, di una bellezza incontaminata: così, nonostante le migliaia di chilometri fatti per arrivare fin lì per realizzare un documentario, assieme alla troupe abbiamo deciso di rispettare le tradizioni limitandoci a “girare” soltanto delle riprese da lontano. Altri spettacoli mozzafiato sono stati i ghiacciai dell’Alaska e i vulcani islandesi, ma anche il gigante di casa nostra, l’Etna, che ogni tanto si risveglia e, come in questi giorni, richiama la nostra attenzione con le sue colate spettacolari cui dedicammo addirittura due puntate di Gaia, nel 2002 e nel 2004.

Conclusa l’esperienza di Gaia, qual è oggi lo stato della informazione e della divulgazione scientifica televisiva?
A parte Superquark, in onda da oltre 25 anni e ormai sempre più confinato nella programmazione estiva, e Ambiente Italia su Rai3, in effetti di programmi dedicati all’ambiente in tv non c’è rimasto molto. La scorsa stagione su La 7 abbiamo realizzato un nuovo programma dal titolo Allarme Italia: un viaggio attraverso il nostro Paese sulle tracce di disastri ambientali o di situazioni a rischio e quindi con un taglio decisamente più giornalistico, di inchiesta.. C’era però spazio anche alla speranza, perché ad ogni puntata raccontavamo anche quello che di buono viene fatto in Italia a favore dell’ambiente: da Bagnoli, dove con il sistema della raccolta “porta a porta” il recupero dell’immondizia raggiunge oltre l’80% a Lardarello in provincia di Pisa dove si produce il 10% dell’energia geotermica mondiale, sfruttando la potenza dei soffioni boraciferi (nella foto sopra). Proprio in questi giorni stiamo preparando le puntate della seconda serie che andrà in onda alla ripresa della stagione televisiva,

Alla vigilia dei referendum hai ribadito con forza la tua scelta antinuclearista. Pensi che l’Italia possa fare a meno dell’atomo e quali sono le fonti di energia rinnovabile su cui il nostro Paese dovrebbe investire per il futuro ?
Che si possa fare a meno dell’atomo è dimostrato dal fatto che, pur non avendo mai avuto impianti nucleari, l’Italia è comunque la settima potenza industriale del mondo. Gran parte della politica energetica del nostro Paese passa attraverso l’efficienza degli impianti di produzione, l’eliminazione degli sprechi e il risparmio nei consumi, anche perchè le “rinnovabili” come il solare e l’eolico funzionano bene a livello di uso familiare - che pure rappresenta un terzo del fabbisogno energetico nazionale -ma non sono sufficienti se si tratta di produrre acciaio o mandare avanti la produzione degli stabilimenti Fiat. Credo però che, puntando sull’efficienza e sul risparmio domestico, si possa andare tranquillamente avanti senza costruire nuove centrali, in attesa che si arrivi a un nucleare di quarta generazione, magari a idrogeno, o a nuovi sviluppi tecnologici. Nel frattempo si continuano a studiare nuove soluzioni: a Borgona, ad esempio, nel Parco nazionale dell’arcipelago toscano stiamo installando in mare una specie di piccolo ragno di ferro, quasi invisibile, che sfruttando il moto ondoso fornirà energia elettrica a tutta l’isola.

Nonostante la bocciatura del nucleare, non è che gli italiani siano proprio un popolo di convinti ambientalisti. A cosa è dovuta questa scarsa coscienza?
Nel nostro Paese manca quasi completamente quella buona pratica di rispetto della natura presente altrove. Il problema di fondo è che da noi non c’è un’ educazione scolastica rigorosa in tal senso: la scienza non viene considerata cultura, piuttosto è vista come tecnologia, mera tecnica. Il patrimonio culturale dovrebbe essere composto in parti uguali da materie scientifiche e umanistiche, in Italia, invece, il peso di quest’ultime è schiacciante: se non conosci almeno l’incipit de I Promessi sposi fai una figuraccia, mentre è del tutto normale ignorare chi sono Watson & Crick, gli scienziati che per primi hanno decifrato il codice del Dna. Ancora oggi per la maggior parte della gente Watson è l’aiutante di Sherlock Holmes e il Crick serve a sollevare l’auto quando buchi una gomma. Poi magari ci stupiamo che sulle scelte di fondo siamo sempre gli ultimi, come nel caso dell’adozione dei sacchetti biodegradabili da parte degli industriali di casa nostra. …

Quali sono le attività e i comportamenti illegali che mettono maggiormente a rischio la sicurezza del territorio e quindi la nostra salute?
Il rischio maggiore è il consumo del territorio. L’Italia si estende per 300mila chilometri quadrati con 60 milioni di abitanti. È una densità di popolazione già molta alta, se si considerano le zone montuose, cui si aggiunge il fatto che ogni anno si perdono circa 20mila km quadrati di territorio dal punto di vista agricolo boschivo o naturalistico. Sono ettari di terra che diventano strade, case, cave, infrastrutture o che vanno letteralmente in fumo a causa degli incendi. Cifre altissime che ci pongono al primo posto in Europa tra i Paesi che consumano più territorio. In più dobbiamo fare i conti con l’erosione delle coste: finché le regioni permetteranno ai proprietari di aprire nuove cave lungo i greti dei fiumi, la sabbia e la ghiaia portate via dalle ruspe non potranno più essere trasportate dalla corrente fino alla costa. E la cosa più assurda è quella di cercare di ricostituire le spiagge “mangiate” dal mare scaricando camion e camion di sabbia comprata chissà dove quando quel lavoro di ripascimento lo svolgevano naturalmente i nostri fiumi.

In che modo la polizia può contrastare questo saccheggio a cielo aperto?
L’unico rimedio sono i controlli sul territorio. Ci vorrebbe più vigilanza da parte delle amministrazioni locali e dei cittadini, anche perché le escavazioni nei greti dei fiumi non passano inosservate: sono attività che durano anni e poi il via vai di camion e la polvere sollevata, creano un pesante impatto ambientale in tutta la zona. In presenza di una cava abusiva o sospetta anche i cittadini potrebbero dovrebbero collaborare telefonando subito al 113. Diciamo che si dovrebbe creare una sorta di “virtuoso intervento partecipato” tra polizia e cittadinanza a difesa del bene comune.

Hai pensato di rispolverare il mitico martelletto spacca sassi di Gaia?
No, in questo momento sono preso dalle nuove puntate di Allarme Italia che inizierò a girare in autunno. Il martelletto ormai è finito in fondo al cassetto. Però un po’ mi manca: potrei fargli una foto e portarla con me nel mio girovagare in macchina, su e giù per l’Italia alla ricerca di storie da raccontare, magari con su scritto “non correre pensa a me…” .

01/09/2011