Rapporto sulla criminalità e la sicurezza in Italia 2010 - parte prima

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Quello presentato l’11 luglio dal ministro dell’Interno Roberto Maroni è un rapporto altamente innovativo perchè, per la prima volta, nasce dal coinvolgimento di soggetti diversi: dal ministero dell’Interno al Dipartimento della pubblica sicurezza, dalla Confindustria alla Fondazione ICSA, presieduta dall’onorevole Marco Minniti con un consiglio scientifico di grande esperienza e professionalità, costituito dai professori Marzio Barbagli e Asher Colombo. Ogni elemento, con il proprio sapere e la propria specificità, ha consentito l’elaborazione di un documento esaustivo e al tempo stesso trasparente che mostra un miglioramento complessivo delle condizioni di sicurezza del nostro Paese negli ultimi anni, evidenziando come questo importante risultato sia stato raggiunto grazie alla sinergia dei diversi attori istituzionali e al ruolo sempre più incisivo della società civile. È la buona pratica del cosiddetto “modello Caserta” rappresentato dallo stretto accordo tra prefettura, forze di polizia e Procura della Repubblica che ha permesso di rispondere in modo rapido ed efficace alla sfida della criminalità organizzata campana. A questo modello vincente di sicurezza partecipata, che rappresenta il presupposto fondamentale per la nuova governance italiana, fa riscontro anche il crescente, consapevole coinvolgimento del mondo imprenditoriale, fondamentale per garantire una sana competività nell’interesse dell’economia legale e dello sviluppo del Paese. «Confindustria ha partecipato alla stesura di questo rapporto – ha infatti detto il suo presidente Emma Marcegaglia – perchè siamo convinti che non ci può essere sviluppo economico senza un reale rispetto della legalità, una reale lotta alla criminalità. Il nostro impegno a fianco delle istituzioni è iniziato a maggio dello scorso anno con il protocollo che sanciva l’esclusione da Confindustria degli associati che avessero pagato il pizzo ed è continuato con un’azione di sostegno a favore delle aziende sorte sui beni confiscati alla mafia».
Un altro importante elemento di innovazione del Rapporto è rappresentato dall’arco di tempo (in alcuni casi si parte fin dagli Anni ‘70 e ‘90 ) preso in considerazione per rilevare l’andamento dei reati in Italia, come ha sottolineato il presidente dell’Icsa Marco Minniti: «La nostra scelta metodologica è stata netta: la valutazione della politica della sicurezza deve avvenire attraverso la conoscenza, l’analisi e la misurabilità “nel tempo” del fenomeno criminale».
In questa prima parte estratta dal Rapporto, si esaminano e si riportano i dati e le analisi relative ai reati contro la persona e contro il patromonio.

1. L’andamento generale della criminalità: omicidi, rapine e furti
L’analisi dell’andamento della criminalità in Italia negli anni più recenti presenta risultati sorprendenti. Molti reati sono diminuiti, alcuni anche sensibilmente, tanto che, per certi versi, si potrebbe quasi parlare di una vera e propria svolta ”silenziosa”.
Sono diminuiti gli omicidi. Mai, in questo Paese, se ne sono registrati così pochi come negli ultimi quarant’anni. Sono diminuiti i furti, mentre le rapine hanno subìto un vero e proprio crollo (anche se restano reati ancora molto frequenti). Alcuni reati sono addirittura virtualmente scomparsi, come i sequestri di persona a scopo di estorsione perpetrati dalla criminalità organizzata. Non solo capire, ma anche semplicemente descrivere questi cambiamenti richiede uno sforzo in due direzioni, una temporale, l’altra spaziale. Se vogliamo descrivere e provare a spiegare meglio quel che è successo nel campo della criminalità, dobbiamo allungare lo sguardo più indietro rispetto ai pochi anni che siamo abituati ad analizzare; anzi, in alcuni casi, dobbiamo andare decisamente nel passato per comprendere le ragioni dei rilevanti cambiamenti che stiamo vivendo. Per questa ragione, accanto alI’analisi delle tendenze di breve e di medio periodo, sono state condotte anche analisi di tendenze di lungo periodo, che abbracciano molti decenni, a volte oltre un secolo. Come è avvenuto nei principali Paesi europei, anche l’Italia ha attraversato, a partire dagli anni Settanta, un periodo di forte aumento dei reati. Un aumento che nei Paesi dell’Europa occidentale era iniziato con oltre un decennio di anticipo.
Le statistiche di polizia mostrano, infatti, che per molti di questi Paesi l’incremento piuttosto deciso di alcuni reati inizia a partire dalla fine degli anni Cinquanta e arriva alla fine degli anni Ottanta. A crescere sono soprattutto i reati contro la proprietà, ovvero i furti e le rapine, che, come è noto, costituiscono la maggioranza dei delitti denunciati.
A partire dal 1992 si cominciano a osservare quelli che, visti a posteriori, possono essere considerati come i primi segnali di un cambiamento di tendenza. Da quell’anno infatti, per la prima volta, il numero complessivo dei furti e delle rapine non solo ha interrotto la crescita, ma ha addirittura iniziato a diminuire, anche se questo ciclo discendente ha avuto vita breve ed è stato seguito da un andamento piuttosto discontinuo negli anni successivi. Anzi, nel caso delle rapine, il calo è stato seguito da un rapido ciclo espansivo durato ancora 11 anni, dal 1996 al 2007 compreso, che ha contribuito a offuscare l’idea della riduzione dei reati.

Il calo degli omicidi
Da qualche anno ormai, l’Italia gode di una situazione di eccezionale tranquillità dal punto di vista degli omicidi. Nel 2009, infatti, è continuata la lunga parabola discendente, ormai ventennale, che ci ha avvicinati al valore più basso mai registrato non solo nella storia unitaria del nostro Paese, ma, per quanto le fonti a disposizione consentano di fare affermazioni di questo genere, in tutta la sua storia. Nel 2009, in Italia, si sono registrati 586 omicidi, ovvero 1 omicidio ogni 100mila abitanti, un valore molto vicino allo 0,90% che continua a costituire il valore più basso, registrato nel nostro Paese per tutto il quadriennio 1965-68 e nel biennio 1970-71. Solo pochi anni fa, però, la situazione era del tutto diversa. Nel 1991, infatti, l’Italia aveva sfiorato quota 2mila omicidi, un tasso tre volte e mezzo più alto dell’attuale, e questa situazione era l’esito di una crescita iniziata molto lentamente all’inizio degli anni Settanta e poi più decisamente a partire dal 1981.
Se osserviamo i tentati omicidi, l’andamento appare molto simile a quello degli omicidi consumati, con un’inclinazione più ridotta, però, tanto nella fase ascendente del ciclo, quanto in quella discendente.
La riduzione del tasso di omicidi va quindi di pari passo con un cambiamento delle caratteristiche della criminalità violenta, che ha via via assunto la tipica connotazione di “mafia dai colletti bianchi” .
Allo stesso tempo, i dati sul fenomeno registrano un cambiamento rilevante nelle caratteristiche degli autori e delle vittime. In precedenza gli autori degli omicidi sono prevalentemente maschi e anche le vittime sono più frequentemente di sesso maschile che femminile. Rispetto alla fase di picco del tasso di omicidi, negli anni Novanta, oggi la quota di donne uccise è straordinariamente cresciuta (figura 1) .

Donne vittime negli omicidi in famiglia
Nel 1991 esse costituivano solo l’11% delle vittime di questo reato, ma oggi superano il 25%. In Italia, quindi oltre 1/4 delle vittime è donna. La crescita dipende da una relazione ben nota agli studiosi, per la quale la quota di donne sul totale delle persone uccise cresce al diminuire del tasso di omicidi. Questo accade perché, mentre il tasso di omicidi dovuto alla criminalità comune e a quella organizzata è molto variabile, gli omicidi in famiglia – la categoria in cui le donne sono colpite con maggiore frequenza – è invece più stabile nel tempo e nello spazio.

Calo dei reati contro la proprietà: meno furti e borseggi
Come gli omicidi, anche i furti e le rapine hanno preso a crescere a partire dall’inizio degli anni Settanta. Consideriamo ora cosa avviene a partire dall’avvio del lungo ciclo espansivo, analizzando separatamente i due reati. Per i furti, il periodo che va dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Novanta è caratterizzato da una “impennata” rapidissima. Nel 1991 il tasso di furti in Italia era già sei volte superiore a quello del 1968. Dopo il 1991 la crescita si interrompe, i furti diminuiscono e continuano a ridursi fino al 1994. Da quell’anno, e fino al 2003, si osservano brevi fluttuazioni, che non modificano il quadro di sostanziale stabilità, che – però – si interrompe dando inizio a un nuovo ciclo espansivo nel quadriennio 2004-2007. A questo aumento hanno contribuito solo alcuni tipi di furti, nella seconda metà degli anni Novanta: i borseggi, i furti in esercizi commerciali, e i furti di motoveicoli, scooter e simili. Viceversa, sono continuati a scendere: i furti di auto, i furti su auto in sosta, i furti in appartamento e gli scippi.

Andamento nel tempo e nello Spazio dei furti di autoveicoli e Oggetti su auto in sosta
Dopo un tendenziale aumento fino al 1991, il numero dei furti di autoveicoli è diminuito progressivamente, con una lieve ripresa nel 2000 dovuta, come vedremo più avanti, in gran parte all’aumento dei furti di motoveicoli, strettamente connessa all’aumento dei motocicli circolanti.
Complessivamente, quindi, dal 2000 si evidenzia una flessione nel tasso dei furti di autoveicoli riconducibile a una serie di motivi, quali il miglioramento delle tecniche di prevenzione e di contrasto al fenomeno da parte delle autorità competenti; e l’evoluzione tecnologica dei sistemi antifurto, come, per esempio,l’utilizzo del satellite per la localizzazione a distanza del veicolo.
Seppur più frequente nelle regioni meridionali, il furto di autoveicoli è diminuito anche in quelle settentrionali del paese. Sono, tuttavia, queste ultime a registrare la flessione più sensibile: rispetto alla fine degli anni Novanta, al 2009 la diminuzione dei furti di autoveicoli è stata del 44%, mentre al Sud del 32,5%. Si può, quindi, parlare di un vero e proprio crollo dei furti di autoveicoli.
I furti di motoveicoli hanno avuto un andamento in parte diverso da quello delle auto: a livello nazionale, infatti, negli ultimi dieci anni registrano una crescita fino al 2007 (al Centro-Nord 8,6 moto rubate per 1.000 circolanti; nel Sud e Isole 11,6), dopo la quale notiamo una moderata diminuzione, per ambeduele zone, di circa il 27%. Ancora una volta sono Lazio e Campania a mostrare il maggior numero di moto rubate: tuttavia mentre nella prima, dal 2000 al 2009, il tasso è aumentato di circa il 5%, in controtendenza rispetto alla media nazionale, nella seconda si registra una sensibile flessione di circa il 17%. Vi sono regioni che rispetto alla flessione nazionale registrano dal 2000 al 2009 un aumento del numero di motoveicoli sottratti ai legittimi proprietari: casi più emblematici sono Toscana, che passa da 1,9 motocicli rubati su 1.000 circolanti a 4,8 e Sicilia, da 6,6 a 10,6.
Quando si parla di furto su auto in sosta si vuole fare riferimento a una varietà di beni lasciati incustoditi nell’automobile, come giacche, portafogli, telefoni cellulari e, in generale, tutto ciò che possa diventare un bersaglio degli autori di reato. Prendendo in esame l’andamento nel tempo tra le due ripartizioni territoriali del paese, la fotografia che emerge rispecchia la tendenza emersa anche dall’analisi di altri tipi di furto, con la graduale flessione a partire dall’inizio degli anni Novanta. Come per i furti di autoveicoli, le denunce per furti su auto in sosta hanno registrato una crescita sensibile fino al 1991, ma dopo tale anno il tasso è diminuito continuamente, anche se non sfugge una crescita nel 2007 rispetto all’andamento registrato a partire dal nuovo secolo, specialmente al Centro-Nord. Negli ultimi dieci anni (dal 1999 al 2009) la zona del paese che mostra il decremento più sensibile nel tasso di furti su auto in sosta è il Meridione: infatti, assistiamo a una flessione pari a circa il 45% (da 299 a 164 furti ogni 100.000 abitanti), contro il 32% delle regioni centro-settentrionali (da 590 a 402).

La flessione delle rapine
Anche le rapine hanno registrato negli ultimi anni una flessione assai decisa, ma il loro calo è stato molto più tardivo di quello dei furti. Le rapine sono aumentate drammaticamente dal 1971 e hanno continuato a farlo con una certa rapidità, salvo brevissimi periodi, come dal 1992 al 1995. Anche per questo reato, nel 2007, si è raggiunto un picco. In quell’anno si sono consumate una volta e mezza il numero di rapine del 1991, due volte e mezza quello del 1984 e ben 18 volte quello del 1970.
Il 2008 è un anno di svolta per i reati, che registrano in generale una diminuzione. Il calo delle rapine, in particolare, inizia soprattutto a partire dai primi anni Novanta, quando si registra una flessione delle denunce di rapine in danno di trasportatori di valori postali e di valori bancari (tanto marcato da rendere il numero di questi reati insignificante), di rapine contro gli automezzi che trasportano merci sia di provenienza internazionale che interna.

Vittime e autori
Un ulteriore lavoro di analisi è stato compiuto utilizzando le informazioni contenute nel nuovo sistema di raccolta dati interforze SDI su vittime e autori di reati per delineare il profilo delle categorie sociali più a rischio alla luce di alcune caratteristiche socio-demografiche rilevanti quali età e sesso.
I tassi riportati nella tabella VI.14 evidenziano il numero complessivo di autori (individuati) e vittime per alcuni tipi di rapine su centomila abitanti. Sono state selezionate esclusivamente le fattispecie criminose più frequenti: le rapine in pubblica via, in abitazione, in esercizi commerciali e in banca.
Come si è già notato altrove, le rapine in pubblica via, che richiedono in genere una bassa organizzazione e colpiscono vittime casuali, coinvolgono una porzione di popolazione più consistente rispetto alle altre fattispecie: circa 36 persone su centomila ne sono vittime in Italia. L’osservazione del fenomeno per ripartizione geografica segnala che la quota di vittime registrata a Sud e nelle Isole (56 vittime per 100.000 abitanti) è poco più che doppia rispetta a quella registrata nel Centro-Nord (25 vittime per 100.000 abitanti). Lo stesso sbilanciamento per zona geografica è rilevabile per le rapine in esercizi commerciali. In questo caso nelle regioni meridionali e insulari sono state contate tra il 2004 e il 2009 una media di 12,8 vittime per 100.000 abitanti contro le 6,9 registrate nelle regioni centro-settentrionali. Diversa è la situazione per le rapine in abitazione e in banca, per le quali numero di vittime è uniforme in tutta Italia.
Spostando l’obiettivo sugli autori, non si rilevano diversità sostanziali tra le varie zone del nostro Paese, salvo una moderata sottorappresentazione dei rapinatori totali individuati nel Meridione e nelle Isole (18 su centomila, contro i 22 su centomila del Centro-Nord). Il dato è coerente con l’analisi delle differenze territoriali circa gli autori di rapine scoperti: infatti, nel Sud e nelle Isole si perviene all’identificazione dei responsabili solo nel 10% delle rapine totali, mentre nel Centro-Nord questo accade in poco più di 1 rapina ogni 5.
La lettura dettagliata della struttura per età e sesso delle vittime per alcune fattispecie di rapina mette in luce che le donne sono in proporzione meno colpite rispetto agli uomini. Tra il totale delle vittime di rapine si trova in genere 1 donna ogni 3 uomini.
Le rapine in pubblica via e quelle in esercizi commerciali coinvolgono quote importati di soggetti sulla popolazione totale, ma disegnano un profilo di rischio per età molto diverso tra loro. Nel caso delle rapine in pubblica via si registra un andamento coerente con quanto noto in letteratura per questa fattispecie di reato; il rischio è particolarmente marcato per i giovani uomini tra i 14-24 anni e le giovani donne tra i 18 e i 24 anni. I valori per le età successive diminuiscono pur rimanendo relativamente elevati.
Rispetto alle rapine in esercizi commerciali, invece, il rischio ha una forma a campana ed è massimo per la popolazione di età compresa tra i 25 e i 35 anni. Anche in questo caso le donne sono meno colpite rispetto agli uomini e la forbice tra i tassi specifici nel rischio di esserne vittima dei due gruppi cresce a svantaggio degli uomini con l’avanzare dell’età.

Rapine a banche e uffici postali
Le rapine ai danni degli istituti bancari hanno seguito nel nostro Paese l’andamento medio italiano del totale delle rapine evidenziato in apertura del capitolo. Dapprima hanno disegnato un trend crescente fino a toccare nel 1991 il record di uno sportello su dieci assalito. Il secondo picco è stato toccato nel 1998, anno nel quale è stato raggiunto il record negativo di 11,4 sportelli attaccati su cento. Da quell’anno in poi l’andamento è stato decrescente. Dal 2002 al 2007 le rapine contro le banche hanno seguito un movimento che, seppur oscillante, non è sceso al di sotto degli otto sportelli bancari su cento colpiti ogni anno. Nel corso degli ultimi 2 anni si è assistito a una consistente contrazione del rischio di rapina, il quale è sceso nel 2008 a quota 6,4 e nel 2009 a quota 5,1 attacchi ogni 100 sportelli. Tra il 2007 e il 2009 la riduzione del rischio è quantificabile in una variazione percentuale di -43.3%. Per completare il quadro va inoltre aggiunto che dal 1999 il numero di rapine tentate ha seguito un percorso che, seppur erratico, è stato sostanzialmente crescente, raggiungendo nel 2009 il 17% sul totale.
L’osservazione degli andamenti delle rapine in banca per ripartizione geografica, evidenzia che se fino al 1997 sono state le regioni del Sud e delle Isole a esperire un maggiore tasso di rischio, negli anni successivi e fino al 2003, i valori del Centro-Nord sono stati quasi sempre superiori a quelli delle regioni meridionali. Dal 2003 in poi, i tassi delle regioni meridionali sono tornati a essere di nuovo superiori a quelli del Centro-Nord, ma la distanza tra le due aree si è ridotta in maniera significativa. Nell’ultimo anno rilevato, i due tassi differiscono davvero di poco: 6,1 rapine per cento sportelli al Sud e nelle Isole e 4,9 nel Centro-Nord.
Nel tempo, le rapine ai danni degli uffici postali sono sempre state inferiori a quelle ai danni degli istituti bancari sia in termini assoluti sia in termini relativi (tassi su cento sportelli).Tuttavia, tale discrepanza si è modificata negli anni: nel 1999 i tassi di rischio delle banche erano fino a 4 volte più elevati di quelli delle poste. Successivamente tale differenza è andata diminuendo, grazie, da un lato, alla contrazione delle rapine in banca e, dall’altro, a una sostanziale stabilità di lungo periodo del rischio di rapine agli uffici postali, che negli ultimi 10 anni è oscillato tra i 4 e i 5 assalti per 100 sportelli postali. Nel 2009 la distanza tra i due rischi è stata in larga misura recuperata facendo registrare un tasso di rapine su cento sportelli bancari di 5,1 contro i 3,8 episodi ai danni degli uffici postali. Dal confronto tra le due macroaree del Paese, si osserva che il tasso di rapine negli uffici postali delle regioni meridionali e insulari è stato nel tempo più elevato di quello delle regioni settentrionali, ma se alla fine degli anni Novanta il primo è stato anche di due volte superiore al secondo, dal 1999 le rapine contro gli uffici postali denunciati nel Sud e nelle Isole hanno subìto una forte battuta d’arresto e i due trend sono andati progressivamente convergendo, fino a eguagliarsi nel 2003. Fra il 2004 e il 2006 il tasso per cento sportelli postali al Nord è stato oscillante, mentre al Sud e nelle Isole è stato crescente, raggiungendo nel 2005 e nel 2006 la quota di 5,8 rapine ogni cento sportelli (4,6 il tasso del Centro-Nord nel 2006). Dal 2007 al 2009 si è infine assistito a una generale contrazione del rischio di rapina agli uffici postali che ha toccato valori equivalenti a quelli registrati alla fine degli anni Novanta. La riduzione è stata più sensibile nelle regioni meridionali e insulari. A fronte di questi andamenti l’analisi nel lungo periodo delle modalità con le quali sono realizzate le rapine in banca e in uffici postali consente di mettere in evidenza delle importanti trasformazioni di queste fattispecie criminali. Innanzitutto è progressivamente diminuito l’ammontare medio di denaro Sottratto. Rispetto ai primi Anni ‘90 il bottino medio delle rapine in banca si è dimezzato passando da 44mila euro a 21mila euro in media per rapina nel 2009. L’ammontare medio delle rapine agli uffici postali ha subito una contrazione ancora più repentina passando da una media di 48 mila euro del 1995 al valore di 14 mila del 2009. Dalla figura 11, si evince che fino al 1999 una rapina in un ufficio postale fruttava molto di più di una rapina in banca. Dal 2000 il gap si è notevolmente ridotto e a partire dal 2003 la situazione si è capovolta: le rapine in banca sono diventate economicamente più vantaggiose, in media, mentre quelle postali sono sempre meno redditizie.La maggiore redditività degli uffici postali negli Anni ‘90, può essere spiegata a una minore esperienza rispetto agli istituti bancari nell’impiego di efficaci strumentazioni e strategie di difesa e controllo delle proprie sedi. Il potenziamento, realizzato in quel periodo negli istituti bancari, dei sistemi di sicurezza attraverso l’impiego di casseforti con apertura a tempo, la minore disponibilità di liquidità in sede, l’uso di telecamere a circuito chiuso e di personale di sorveglianza, hanno reso gli assalti alle banche molto più complessi e meno remunerativi.
Al contempo gli uffici postali erano rimasti una preda più appetibile e vulnerabile per i malintenzionati, soprattutto nei giorni di grande liquidità, come in occasione delle scadenze dei pagamenti di fatture commerciali e delle pensioni. Negli ultimi anni le poste italiane hanno notevolmente modificato la gamma di servizi offerti al pubblico, promuovendo in particolare le attività di credito. Tali nuove attività hanno richiesto l’adozione di modelli logistici e organizzativi simili a quelli utilizzati dagli istituti bancari per incrementare i livelli di sicurezza offerti ai clienti e dipendenti: ampie vetrate per scoraggiare i malintenzionati, sistemi di videosorveglianza, telecamere a circuito chiuso, casseforti ad apertura ritardata e, soprattutto, contenitori antirapina. La diminuzione del vantaggio economico derivante dalle rapine in banca e negli uffici postali ha probabilmente contribuito a modificare la struttura organizzativa degli eventi criminosi: le rapine in banca condotte da 3 o più rapinatori sono infatti sempre meno frequenti. Se nel 1990 più della metà delle rapine era organizzata e realizzata da più di tre rapinatori (56%), oggi solo il 17% di esse raggiunge un tale livello di pianificazione. D’altra parte se l’ammontare medio del bottino diminuisce, diventa sempre meno conveniente compiere una rapina in gruppi numerosi, poiché il potenziale rischio sarebbe superiore al guadagno atteso. Con ogni probabilità negli anni il profilo del rapinatore è mutato: non più la prevalenza di professionisti, ma un accresciuto numero rapinatori dilettanti e improvvisati che si accontentano di un bottino sempre più esiguo. Indizi a conferma di tale ipotesi sono sia l’aumento del numero dei rapinatori arrestati, dopo o durante l’evento, sia il costante aumento delle rapine conclusesi con un insuccesso. Inoltre negli uffici postali sono cresciute progressivamente le rapine a minaccia diretta, mentre gli altri metodi di aggressione (demolizione delle strutture, differita) che implicano un livello maggiore di pianificazione sono diventate sempre meno frequenti. Infine, la tabella VI.10 evidenzia, per il triennio 2007-2009, una frequenza di rapine con armi da fuoco presso gli uffici postali decisamente superiore rispetto a quelle che avvengono ai danni degli istituti bancari. Ciò può, almeno in parte, essere spiegato dalla presenza nelle banche di sistemi di accesso più sofisticati come le doppie porte a consenso con metal detector che chiaramente riduce se non annulla del tutto l’uso di armi da fuoco almeno per chi si introduce nelle sedi bancarie durante gli orari di apertura degli uffici.

2. Le violenze sessuali e gli atti persecutori
Sebbene secondo i dati dell’Indagine sulla Sicurezza delle Donne, condotta dall’Istat nel 2006, emerga una diffusione della violenza contro le donne inferiore a quella di altri Paesi, come Canada, Stati Uniti, Australia, ma in linea con quelli emersi invece in Svizzera, il quadro fornito dall’indagine telefonica su oltre 25.000 donne in Italia evidenzia una situazione piuttosto allarmante. Concentrando l’attenzione solo sulla violenza sessuale, infatti, ad aver subito violenza dal proprio partner è circa l’1,3% delle donne che al momento dell’intervista avevano una relazione di coppia o che la avevano avuta in passato. Il 2,3% del campione intervistato ha invece subìto violenza sessuale a opera di parenti, amici, conoscenti o sconosciuti.
Fra le donne che hanno subìto violenza sessuale quasi lo 0,2% è stata vittima sia di un autore partner o ex partner sia da un non partner.
In tabella 4 si forniscono le percentuali della violenza sessuale subìta secondo la relazione che lega la vittima all’autore (nei circa 34 casi di donne che hanno subìto violenza da più di un autore si riporta come autore il partner o l’ex partner). Come si evince chiaramente, l’autore più diffuso è un conoscente.
Nel 22% dei casi si tratta di un ex fidanzato, nel 17% di uno sconosciuto.
Si noti dunque che meno di una violenza su cinque è compiuta da estranei.
Individui che si conoscono di vista ed estranei sono autori di violenze sessuali in 2 casi su cinque. Detto diversamente sono 3 violenze su 5 a essere perpetrate da persone che hanno stretti legami con la vittima.
La tabella V.2 riporta la percentuale di donne che denuncia la violenza subìta sulla base dell’autore che l’ha commessa. I risultati che si evidenziano sono piuttosto sconfortanti: meno del 6% delle donne che ha subìto violenza ha scelto di denunciarla. L’autore che con maggiore probabilità è denunciato è l’estraneo (13%), seguito dal conoscente (8%). Gli ex fidanzati, che erano fra gli autori sovra rappresentati sono invece denunciati in un numero di casi decisamente inferiore alla media (circa la metà, il 3%). Ex mariti ed ex conviventi sono invece denunciati nel 7% dei casi.(tabella 5)
In generale purtroppo la probabilità che una violenza sessuale arrivi alle forze dell’ordine è piuttosto bassa. Una difficoltà di collaborazione su cui lavorare ancora molto, se si pensa che, nel caso di violenza da partner, il 15% delle donne ha preferito gestire la situazione da sola. E che nelle violenze perpetrate da altri soggetti più di una donna su cinque lo considera un fatto privato o non ha voluto denunciarlo per vergogna.

La mappa nel Paese
Toscana, Emilia Romagna e Lombarda in testa alla graduatoria delle violenze sessuali denunciate.
Sebbene nel nostro Paese la classica divisione Centro-Nord da una parte e Sud e Isole dall’altra denoti una netta prevalenza dei reati violenti nel Meridione e nelle Isole, la violenza sessuale ne costituisce una ferma eccezione. Osservando più nel dettaglio le differenze per regione, si nota che con lievi differenze le regioni più colpite dalla violenza sessuale sono la Lombardia, la Toscana e l’Emilia-Romagna. Sono proprio queste ultime due regioni inoltre ad aver riportato negli anni precedenti i tassi più elevati registrati nel periodo considerato, raggiungendo valori superiori alle dieci violenze sessuali per centomila abitanti di età superiore ai 14 anni e registrando la media di periodo più elevata del nostro Paese. Nel 2009 è il Friuli-Venezia Giulia ad evidenziare invece il tasso di violenze sessuali più basso. È alla Campania, alla Basilicata e alla Calabria che spetta la media di periodo inferiore. Tra le regioni sud-insulari è la Sardegna a registrare nel 2009 il tasso di violenze sessuali più elevato (pari a 7,8 violenze sessuali su maggiori di 14 anni ogni centomila residenti della stessa età).

Lo stalking: più denunce in Liguria, Abruzzo, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta
La persecuzione (il reato di stalking introdotto nel 2009) è un reato considerevolmente più diffuso, o perlomeno più denunciato, rispetto alle violenze sessuali. Il fenomeno, in questo caso, appare relativamente più diffuso nelle regioni sud-insulari piuttosto che in quelle del Centro-Nord. Ciononostante, la Regione che detiene il tasso più elevato di denunce è la Toscana, seguita da Abruzzo, Molise e Valle d’Aosta. Friuli-Venezia Giulia e Lazio sono, invece le due regioni in cui si registrano i tassi di denunce minori.
Se gli ammonimenti sono uno strumento decisamente meno utilizzato rispetto alla denuncia, tanto che non si rilevano differenze degne di rilievo fra Nord, Sud e Isole, spicca, tuttavia, il caso della Valle d’Aosta dove sono stati emessi quasi dodici ammonimenti ogni centomila abitanti .
Il reato di violenze sessuali vede come vittime principalmente le donne, meno di una vittima su dieci è di sesso maschile. La quota di vittime di sesso maschile è quasi il doppio della media tra coloro che hanno meno di 14 anni, lievemente superiore alla media tra i 14 e i 17 anni. Le classi di età più colpite restano tuttavia quelle centrali tra i 18 e i 34 anni.
La struttura per età del reato di stalking è molto differente da quello di violenza sessuale. I minori di 24 anni sono vittime solo nel 16% dei casi; al contrario, una vittima su tre risulta avere più di 45 anni.
Diversa è anche la composizione per sesso: in un caso su cinque la vittima è un uomo.
Nelle violenze sessuali gli autori donna rappresentano solo il 2%. L’età degli autori di violenze sessuali, a differenza di quanto accade per le vittime, è più elevata; si tratta prevalentemente di uomini con più di 45 anni. Il reato di atti persecutori vede le donne come autori nel 13% dei casi. I persecutori appaiono lievemente più anziani rispetto alle vittime, in particolare è uno su tre ad avere più di 45 anni.

Violenze sessuali di gruppo
La prevalenza del reato di violenze sessuali di gruppo è decisamente inferiore rispetto alle violenze commesse da un solo autore. Nel 2009 è la Valle d’Aosta a registrare il tasso più elevato. Segue l’Emilia-Romagna. La Basilicata è la terza regione con i tassi medi più elevati, e risulta anche quella tra le regioni sud-insulari più colpita, insieme alla Calabria. Ciononostante, i tassi del meridione e delle Isole sono in media circa la metà di quelli del Centro-Nord. Come si può notare, negli ultimi due anni i tassi sono stati piuttosto stabili, nonostante l’aumento del biennio 2005-2006. Salvo rarissime eccezioni (il Molise nel 2005, l’Umbria nel 2006), tuttavia, in questi casi i tassi non presentano andamenti oscillanti. Non si può escludere che ciò sia legato al fatto che le denunce siano solo in rari casi legate alla scelta delle vittime.
Come è stato anticipato nelle righe introduttive di questo paragrafo, la violenza di gruppo su minori di 14 anni evidenzia tassi più elevati nelle zone del Sud e delle Isole rispetto al Centro-Nord del paese. Ciò è vero per tutto il periodo considerato, eccezione fatta per il 2004 (tabella V.6). Il picco del 2004 fa sì, tuttavia, che il tasso medio di periodo delle zone del paese si eguagli (0,5) risultando allineato con la media nazionale.
La regione che presenta i tassi più elevati è ancora la Basilicata, con un tasso nel 2009 pari a 1,3 violenze sessuali su centomila residenti con meno di 14 anni. La Basilicata è anche la regione che detiene in media tale negativo primato, superata di poco solo dal Friuli-Venezia Giulia. Anche le Marche presentano un tasso medio di periodo superiore a uno (1,1). Tutte le altre regioni si collocano su valori inferiori.
La Valle d’Aosta e l’Emilia-Romagna in questo caso non destano preoccupazione, anzi, nella prima non si registra alcun evento delittuoso di questa natura in tutto il periodo considerato. La Sicilia, invece, presenta un tasso medio pari a 0,9, decisamente più elevato di quello della Sardegna che era invece la regione sud- insulare a spiccare nelle altre fattispecie delittuose considerate.
La violenza su minori è di per sé un reato orribile, ma quella di gruppo presenta connotati ancor più speciosi. Nel penultimo paragrafo saranno analizzate le caratteristiche anagrafiche di vittime e autori. In questa sede basterà anticipare che le ricerche mostrano che le violenze di gruppo sono raramente associate al soddisfacimento di bisogni sessuali. Si tratta nella maggior parte di casi di eventi delittuosi di cui singoli non si macchierebbero se non fossero in gruppo, dove le responsabilità appaiono diluite e dove l’energia e la crudeltà dell’uno rinforza quella dell’altro. Si tratta di crimini compiuti per rafforzare la coesione di gruppo. In altre parole, se all’assenza di legami sociali è talvolta attribuita la scelta delittuosa, al contrario, sembra l’appartenenza al gruppo e l’adesione alle norme del gruppo, perciò la forza di legami sociali devianti, una delle determinanti della violenza di gruppo. Si può qui anticipare che l’andamento delle multi vittimizzazioni lascia lo spazio per un’ulteriore interpretazione. I delitti sessuali quando sono legati al semplice soddisfacimento di bisogni sessuali, ma ancor più quando sono compiuti da estranei o puri conoscenti, in rari casi si associano ad altre crudeltà fisiche, quali lesioni, omicidi o tentati omicidi. Si vedrà invece che nella maggior parte dei casi di violenza sessuale si registrano almeno anche lesioni dolose. Questo evento potrebbe far ritenere che le violenze, e in special modo quelle di gruppo, si configurino come reati violenti di tipo espressivo, quali strumenti per esplicitare rabbia, odio e vendetta sia nei confronti della vittima, sia nei confronti di qualcun altro a essa legata.

Le multivittimizzazioni
Oltre il 40% dei soggetti che ha subìto una violenza o un reato di stalking subisce anche altri reati. Oltre una vittima su quattro subisce più di una violenza sessuale. Quanto emerge inoltre è che chi è vittima di violenze sessuali nel 47% dei casi subisce anche lesioni dolose, e sempre lesioni dolose subisce anche chi è vittima di stalking nel 17% dei casi. Si ricorda però che il reato di stalking è stato introdotto solo nel corso del 2009, essendo presentati dati aggregati ciò può notevolmente sottostimare l’associazione. Nel 39% dei casi di multi vittimizzazione l’autore è lo stesso; si tenga conto tuttavia che per i casi di multi vittimizzazione sono stati considerati anche quelli in cui l’autore non sia stato identificato. Quando l’autore è lo stesso, lesioni dolose e violenze sessuali, violenze sessuali plurime e lesioni dolose e stalking contano per il 91% dei casi. È in particolare la quota di atti persecutori associati alle lesioni dolose a destare qualche preoccupazione, si noti che nel 50% dei casi circa per ogni combinazione di crimini, l’autore è un ex coniuge.
Si osserva che solo il 17% degli eventi sono perpetrati in periodi più distanti di un mese. Sfortunatamente questi ultimi comprendono 3 dei 6 omicidi perpetrati, di cui autori sono sempre maschi e vittime donne che dopo aver denunciato l’uomo per violenze sessuali sono state poi uccise nell’arco di qualche mese. Il 59% di coloro che subiscono atti persecutori e lesioni dolose dallo stesso autore subisce questi atti criminosi contemporaneamente. Il dato fornisce un’indicazione chiara: la persecuzione è più frequentemente di quanto si immagini il primo passo verso forme di violenza fisica vere e proprie, andrebbero quindi monitorati con grande attenzione. Ma la percentuale sale al 90% nel caso delle violenze sessuali.
Come è stato spesso sottolineato, sia gli atti persecutori sia le violenze sessuali sono reati perseguibili solo su querela di parte, salvo che non avvengano in concomitanza di altri reati per i quali è prevista la procedibilità d’ufficio. Ciò riguarda ovviamente i casi di omicidio e tentato omicidio, ma anche quello di lesioni dolose. Se, infatti, le lesioni provocano un malattia (psichica o fisica) con durata maggiore di venti giorni, la procedibilità è d’ufficio. Dunque, è altamente probabile che molte delle denunce riportate in tabella 6 non siano il frutto della decisione della vittima. Si ricorda inoltre che l’accanimento sulla vittima in casi di violenza sessuale è più frequente quando l’autore abbia motivi di rancore contro la vittima e sia quindi una persona conosciuta.

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01/08/2011