Ilaria Grippa*
Stato responsabile
Quando la Pubblica Amministrazione risponde per gli illeciti dei propri dipendenti
Con sentenza dell’8 luglio 2010, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha confermato in ambito comunitario la teoria organica dell’immedesimazione tra il dipendente e la P.A. In particolare, la Repubblica Italiana è stata condannata per non aver accertato il diritto dell’Unione sulle risorse proprie e per non aver messo i relativi importi a disposizione della Commissione europea a causa di comportamenti penalmente illeciti commessi da funzionari della Dogana, nella specie rilascio di autorizzazioni illegittime.
Questa pronuncia interviene in un settore da sempre controverso nel panorama giurisprudenziale italiano: se e a quali condizioni il comportamento penalmente illecito del dipendente sia idoneo ad interrompere il rapporto organico e sia tale da escludere qualsivoglia responsabilità della P.A.
Contesto italiano
Il dato normativo da cui prendere le mosse è l’art. 28 Cost., il quale, da un lato, stabilisce la responsabilità diretta del dipendente pubblico per gli atti posti in violazione di “diritti”; dall’altro, estende la responsabilità civile derivante da questi illeciti all’Ente di appartenenza, pur senza chiarire le modalità attraverso le quali operi questa estensione.
Come affermato dalla stessa Suprema Corte, affinché avvenga questa estensione della responsabilità della P.A. per un fatto lesivo posto in essere dal dipendente, deve sussistere il nesso di causalità tra il comportamento e l’evento dannoso, nonché la riferibilità all’Amministrazione dello stesso comportamento. Occorre, quindi, che l’attività compiuta dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell’ente pubblico, tenda cioè al conseguimento dei fini istituzionali nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto.
Si tratta allora di una responsabilità diretta ex art. 2043 cc per fatto proprio: l’organo imputa direttamente all’Amministrazione i comportamenti giuridicamente rilevanti che pone in essere, insieme alle connotazioni soggettive che li accompagnano (buonafede, malafede, errore, negligenza).
Il rapporto organico di immedesimazione fra l’attività del dipendente e la P.A. cessa quando il primo agisce “come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all’Amministrazione ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente” (Cass. civ. 8.10.2007, n. 20986). Sulla base di questo principio di diritto, la Corte ha escluso la responsabilità del comune per l’omicidio commesso (con un colpo di arma da fuoco) dal vigile urbano a danno di un ragazzo, il quale tentava ripetutamente di scavalcare il muro dello stadio per assistere ad uno spettacolo, trattandosi di un comportamento avulso dai poteri propri dell’agente e mosso da fini egoistici.
Si tratta, tuttavia, di un orientamento che lascia ampie zone d’incertezza, insieme ad altrettanti margini di impunità. È, infatti, evidente, come ogni comportamento illecito posto in essere dal dipendente, sia esso doloso o colposo, possa difficilmente ess