Serenella Ravioli*

Palazzo Viminale

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A pensare a una sede per il ministero dell’Interno fu Giolitti nel 1911, a decretarne la costruzione Vittorio Emanuele III, a progettarla Manfredo Manfredi. Ecco come nacque la Casa della sicurezza

Il 2011 rappresenta per il ministero dell’Interno un anno particolarmente significativo: un’occasione per rievocare alcune delle date che hanno segnato la propria storia, oltre che la storia del Paese. Si celebrano i 150 anni dalla promulgazione della legge che sanciva l’Unità d’Italia, ma ricorrono anche i 100 anni dall’idea di realizzare un palazzo destinato ad ospitare l’Amministrazione degli affari interni.
Nasceva dunque nel 1911 il progetto del Palazzo del Viminale, un edificio che fino al 1961 avrebbe ospitato sia la Presidenza del Consiglio sia il ministero dell’Interno. La storia dell’Amministrazione del dicastero e del Palazzo Viminale da allora si intreccia in un tutt’uno, che neppure la capillare articolazione territoriale delle prefetture riesce ad oscurare.
In coincidenza di anniversari così importanti, e con l’obiettivo di sottolineare il ruolo fondamentale delle istituzioni nel Paese, sono in programma due iniziative che saranno presentate al pubblico contestualmente e che esprimono, in modi diversi, un concetto sul quale in questi ultimi tre anni il ministero ha insistito molto, anche attraverso iniziative di comunicazione istituzionale: il brand corporate. La prima iniziativa riguarda la creazione di un nuovo logo istituzionale, risultato di un concorso di idee vinto dalla società Inarea, che rappresenta la sintesi della vocazione generalista dell’Amministrazione dell’Interno, e costituisce allo stesso tempo un “segno” autorevole ed elegante di una tradizione che si rinnova nel quotidiano; la seconda è la pubblicazione di un raffinato volume, incentrato sulle immagini e sui dettagli dell’architettura, degli arredi e dei giardini del Palazzo Viminale. Si tratta di un libro pubblicato in serie limitata, e fuori commercio, realizzato dalla casa editrice L’Orbicolare. Un compendio di immagini che, attraverso foto scattate con una tecnica esclusiva, ripercorre la storia del Palazzo del Viminale e del sistema “Viminale”: il cuore della potente e complessa macchina dell’Interno, dunque,verrà fuori attraverso le pagine del testo che in questi giorni sono in stampa.
La pubblicazione accompagnerà il ministro dell’Interno e le delegazioni nei viaggi di lavoro e nelle riunioni internazionali. Porterà, nelle stanze dove si decide la politica degli Stati esteri, il peso dell’autorevolezza e l’eleganza dello stile italiano. La prima copia, quella più importante, sarà, invece, consegnata a mano dal ministro al capo dello Stato, Giorgio Napolitano in occasione dell’evento che è programmato per il prossimo mese di luglio.
E proprio a luglio del 1911, nei primi cinquant’anni dalla nascita dello stato unitario, un pragmatico capo del Governo e ministro dell’Interno, Giovanni Giolitti, pianificò la razionalizzazione degli edifici da adibire ad uffici nella città di Roma. La decisione fu poi ratificata il 18 luglio dal re Vittorio Emanuele III con una legge ad hoc, riguardante la costruzione delle sedi di alcuni ministeri, fra i quali quello dell’Interno.
Si voleva un Palazzo adeguato ad un Paese che cresceva, degno di raccogliere la sfida del nuovo secolo, capace di garantire ai lavoratori condizioni di benessere. Una struttura in posizione centrale, vicino ad altri luoghi strategici per il Paese, come il Quirinale ed il Parlamento, che riunisse, in unico plesso, le differenti strutture organizzative alla diretta dipendenza del ministro.
Il progetto venne assegnato all’architetto Manfredo Manfredi che si era già distinto per avere restaurato il campanile di S. Marco a Venezia. In omaggio alla tradizione francese, il Palazzo – che fu costruito fra il 1912 ed il 1925 – venne immaginato su una pianta a T. Sarebbe stato originale, e non avrebbe creato problemi di particolare impatto all’ambiente circostante, già “affollato” da costruzioni preesistenti.
Non solo, sarebbe dovuto essere sobrio, di alta rappresentanza, ma sostanzialmente coerente con le molteplici esigenze di servizio e con le funzioni che il ministero avrebbe svolto negli anni. Si pensò, ad esempio ad un complesso modulare di più edifici, tre dei quali sono disposti uno di seguito all’altro ed adibiti ad ospitare le diverse direzioni generali che, pur essendo alla diretta dipendenza del ministro, avevano funzioni proprie. Si pensò, quindi, ad una palazzina, meglio nota come ex presidenza, da adibire a funzioni prevalentemente di rappresentanza, ma –appunto – collegato alla struttura.
Il volume in uscita a luglio vuole ripercorrere non solo il racconto di un Palazzo, ma più verosimilmente l’essenza di una istituzione e la sua evoluzione nel tempo: dalle prime attribuzioni sino alle attuali, con uno sguardo riconoscente, e per certi versi curioso, nei riguardi della Polizia di Stato e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che dell’articolazione ministeriale sono parte integrante e strategica, con peculiarità innovative in linea con i tempi e gli standard europei di qualità.
Nel libro, riteniamo, si percorreranno con leggerezza circa cento anni di storia d’Italia, si scruteranno “uffici e studi” in cui sono state prese decisioni che riguardano alcuni degli aspetti più delicati della vita quotidiana dei cittadini: la garanzia dei diritti fondamentali, il rispetto delle libertà civili e la tutela della sicurezza e dell’incolumità fisica. Che sono, vale la pena ricordarlo, i complicati “asset” sui quali si muove il ministero.
Non aggiungiamo di più: i dettagli fra un paio di mesi, mentre per un excursus sulle competenze dell’Amministrazione dell’interno nell’arco dei 150 anni, rimandiamo alla sezione degli speciali del portale istituzionale www.interno.it.

* responsabile comunicazione istituzionale del ministro dell’Interno

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Interno contemporaneo 
Ribelle a qualsivoglia rassicurante riconducibilità ad un movimento dominante, l’arte contemporanea sembra capace di riconoscersi solo nel termine Transavanguardia, qualcosa che “va oltre”, “che attraversa”, senza specificare la propria direzione. Ma in questo sfuggire alla presa, alla previsione, alla fine si trova un unico comune denominatore: la “delocalizzazione”. L’arte dei nostri giorni esce dai musei, dalle accademie, dai luoghi deputati, per entrare nelle case e negli ambienti di lavoro. Sceglie di essere quotidiana presenza tra gli uomini, ne assorbe gli umori, gli odori, le vibrazioni e vuole penetrare la loro sensibilità per osmosi, facendosi usare, maneggiare, vivere. Mutua dal design il criterio della funzionalità togliendosi di dosso la cornice e abbandonando il piedistallo per entrare in stretto contatto con il suo pubblico. Rifiuta di essere decoro, ornamento, abbellimento, per interagire con gli abitanti della casa, per animare sale riunioni e uffici, provocare desideri ed emozioni pensanti. Ecco che l’incontro del maestro Mario Ceroli, scultore di fama (ha avuto il suo primo riconoscimento internazionale alla Biennale di Venezia del 1966; suo il cavallo alato davanti alla sede Rai di Roma), con l’Istituzione e con gli uomini della polizia nel 2004 ha trasformato gli ambienti romani del secondo piano del Viminale, dedicati al capo della Polizia nonché Direttore Generale della pubblica sicurezza, in “arte da vivere”. Se, infatti, quasi sempre i mobili e gli oggetti d’arredo creati da Ceroli, ha scritto giustamente il critico Gillo Dorfles, sono da considerarsi come sculture, difficili da utilizzare, stavolta il maestro ha voluto che le sue opere diventassero arnesi del mestiere, strumenti di lavoro per gli “artigiani della sicurezza”. In qualità di art producers hanno agito i fratelli Overi, David e Gianni, della galleria fiorentina I Mirabili, imprenditori forse nel senso più profondo del termine di “color che hanno sostenuto l’impresa”, mettendosi in gioco e rendendo fattibile l’ideazione di Ceroli in cifre, progetti strutturali e materiali, realizzando con le proprie maestranze cantieri veloci e “ad hoc” capaci di non intralciare l’attività operativa che si svolgeva in quegli ambienti. Non è stata una prima volta per i due galleristi: «Abbiamo compiuto altri interventi all’estero in strutture diplomatiche e in sedi di banche – spiegano – esperienze che ci hanno permesso di entrare più facilmente in sintonia con lo spirito di un luogo di lavoro ma anche di rappresentanza, e ci hanno consentito di rispettare la dignità del palazzo storico del Viminale, del cui stile neomanierista inizi Novecento, firmato dall’architetto Manfredo Manfredi, bisognava assolutamente tener conto negli interventi apportati al suo interno dal maestro Ceroli».
Annalisa Bucchieri

01/05/2011