Anacleto Flori

Cercatore di storie

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Vincenzo Mollica, dopo aver intervistato centinaia di personaggi famosi, per una volta parla di sé ai microfoni di Poliziamoderna

Da quasi trent’anni con i suoi servizi puntuali e arguti fa entrare nelle case degli italiani i volti e le storie di tutte le star dello spettacolo. Lui è Vincenzo Mollica, il signore delle interviste, che da oltre un decennio non ne concedeva una su di sé, perché, come ama ripetere: «Ognuno deve fare il suo mestiere, e il mio è quello di fare domande, non di dare risposte». Poliziamoderna però lo ha incontrato negli studi del Tg1 per una lunga chiacchierata.

Sono più di 3 decenni che racconti eventi e protagonisti del costume e dello spettacolo, eppure si ha l’impressione che tu ti diverta ancora lavorando . È così?
Dopo tanto tempo non potrei continuare a fare questo mestiere se non provassi ancora passione, curiosità e, perché no, divertimento. Avere avuto la possibilità di seguire da adulto le cose che mi emozionavano quando ero ragazzo come la musica, i fumetti e il cinema, è stata la più grande fortuna che potesse capitarmi. E poi attraverso questo lavoro sono cresciuto: vedere i film di Federico Fellini o ascoltare i dischi di Fabrizio De Andrè ha rappresentato per me un percorso di formazione che non si è mai interrotto.

La leggenda narra che tu abbia deciso di fare il cronista dopo aver letto una storia intitolata Topolino giornalista…
Non è una leggenda, è la verità. Quella di Topolino giornalista, disegnata da Floyd Gottfredson e pubblicata nel 1935, è una storia straordinaria che racconta di un giornale in crisi, L’eco del mondo, e di una redazione agguerrita con Topolino e Pippo alle prese con il cattivo di turno, un Pietro Gambadilegno versione gangster. Mi appassionai moltissimo a quella figura di cronista e fu proprio allora che decisi cosa avrei fatto da grande. Anche oggi, più che giornalista mi sento profondamente cronista, nel senso che mi piace andare alla ricerca delle storie che possono celarsi in un film, in un disco o in una fotografia. Anni dopo mi è capitato di far leggere quel fumetto anche a un maestro della carta stampata come Enzo Biagi e lui con uno sguardo serio mi disse che era il più bel manuale di giornalismo che avesse mai letto.

Chissà quante storie, di quelle a microfoni spenti, avrai da raccontare… Non hai mai pensato di raccoglierle in un libro?
Grazie a questo mestiere ho intervistato tantissimi personaggi, in pratica tutti quelli che avrei voluto incontrare nella mia vita. Tutti tranne due: Bob Dylan e Mina che a un certo punto della loro carriera hanno smesso di concedersi ai media. Eppure non ho mai pensato di scrivere un libro di ricordi, e credo che non lo farò mai. Ho scritto molti libri su artisti di cui sono stato o sono amico come Federico Fellini, Andrea Pazienza, Hugo Pratt e Paolo Conte solo per citarne alcuni, ma si trattava sempre di volumi che contenevano esclusivamente interviste raccolte negli anni; storie che mi avevano raccontato davanti a un microfono e che potevano a buon diritto diventare patrimonio di tutti. Al contrario ho sempre pensato che gli aspetti personali legati ai miei rapporti di amicizia con i personaggi intervistati dovessero restare fuori dal lavoro e rimanere gelosamente chiusi nella sfera privata.

A proposito di libri, in queste settimane è in uscita la raccolta di dvd dedicata a Fabrizio De Andrè, alla quale hai collaborato. Che ricordi hai di lui?
Fabrizio era una persona eccezionale, con un grandissimo senso dell’amicizia, della dignità e del rigore. Un rigore che lo spingeva a riflettere molto sulle cose che faceva e soprattutto diceva, per questo concedeva pochissime interviste, basti pensare che in tutto l’archivio Rai ci sono solo sei ore di sue apparizioni televisive. E il ricordo più bello e intenso è legato proprio a un’intervista che gli feci per il Tg1. Mi ricordo che era appena uscito il suo cd intitolato Le nuvole (nel 1990 ndr) e lo chiamai per proporgliene una nuova. Fabrizio mi chiese di fargli avere subito le domande per iscritto e poi mi avrebbe fatto sapere… Solo dopo un mese chiamò per dirmi che accettava, a patto però che lo raggiungessi a casa sua, in Sardegna. Restammo tre giorni insieme per registrare il servizio e la cosa stupefacente fu che lui non solo aveva già scelto i luoghi e i paesaggi che dovevano far da sfondo alle riprese televisive, ma aveva preparato meticolosamente ogni risposta alle mie domande; così, quando l’ intervista si interruppe per un problema tecnico e dovemmo rifare tutto da capo, Fabrizio ci lasciò stupiti usando le stesse identiche parole della precedente ripresa. Poi mi spiegò che aveva provveduto a scrivere le risposte su un foglio e le aveva imparate a memoria perché desiderava che quella registrazione rimanesse nel tempo, come una sorta di documento visivo, e quindi doveva essere quanto più possibile perfetta: ogni parola usata doveva avere il giusto peso, il giusto significato, perfino la giusta intonazione. Questo era Fabrizio.

Spesso sei accusato di essere un “buonista”. Nella tua carriera c’è un disco o un film che hai stroncato?
Preferisco sempre parlare di quello che veramente mi emoziona, mi incuriosisce e mi appassiona. Se c’è un evento artistico in giro che non mi piace cerco di non occuparmene e, se proprio ne devo parlare, preferisco usare l’arma dell’ironia piuttosto che della stroncatura, anche perché so che dietro ogni opera d’arte, film, disco o libro che sia, c’è sempre il lavoro di tanta gente che va comunque rispettato. Sono convinto che nel nostro lavoro la cosa più importante rimanga l’onestà intellettuale di dire davvero se una cosa ti è piaciuta o meno ed avere il coraggio delle proprie scelte. Anche se oggi gli “stroncatori” vanno molto di moda ed essere cattivi sembra diventato sinonimo di intelligenza, mi dispiace ma io non appartengo e non apparterrò mai a questa categoria.

Hai seguito tante edizioni degli Oscar e delle mostre di Cannes e Venezia. Pensi che oggi siano solo passerelle mondane o rappresentano ancora un’insostituibile vetrina della produzione cinematografica mondiale?
Sono momenti importantissimi per chi ama il cinema, occasioni speciali in cui è possibile vedere i film prima ancora che escano nelle sale e, soprattutto, rappresentano delle opportunità irripetibili per entrare a contatto con le cinematografie di altri Paesi. Certo non manca l’aspetto più glamour, ma ci vuole anche questo: anzi vedere artisti come George Clooney che sfila sulla passerella di Venezia e si intrattiene mezz’ora con le sue fans o Bruce Springsteen che sbarca al Festival di Roma e si butta sorridente nel bagno di folla, tra abbracci, strette di mano e autografi, è uno spettacolo nello spettacolo che contribuisce a rendere ancora più affascinante il mondo della celluloide. Senza contare che ci sono tante altre rassegne magari più piccole, ma ugualmente importanti perché ci permettono di scoprire nuovi artisti, nuovi generi e modi diversi di esprimersi, come il Sundance Festival di Robert Redford, che rappresenta la punta di diamante del nuovo cinema indipendente.

Quanto coraggio o incoscienza ci sono voluti per proporre in tv un servizio sui fumetti in un Paese dove gli eroi di carta sono sempre stati considerati un prodotto artistico di serie B?
Quando sono arrivato in Rai gli spazi giornalistici dedicati al fumetto praticamente non esistevano e la prima volta che proposi all’allora direttore del Tg1 Emilio Rossi un servizio su Pippo, il fedele amico di Topolino, non nascondo che ci fu un lungo momento di perplessità. Poi, invece, il lavoro gli piacque e lo mandò in onda. Avevo rotto il ghiaccio: da allora ho continuato a raccontare in tv il fumetto italiano dai primi speciali, come Letteratura disegnata, che aveva come protagonisti tutti i grandi disegnatori come Walter Molino, Hugo Pratt, Andrea Pazienza, Milo Manara, Altan, Sergio Staino, Crepax e Sergio Bonelli, fino a Doreciakgulp, la rubrica che va in onda il sabato in coda al Tg1 delle 13.30.

Qual è il tuo fumetto preferito?
Sicuramente Corto Maltese di Hugo Pratt è quello che amo di più perché è un personaggio poetico ed emozionante come pochi altri che ha segnato veramente la mia vita: leggere tutta l’opera di Pratt è stato come fare un viaggio bellissimo e avventuroso nell’animo umano, ma anche nella storia, nell’arte e nella cultura. In quei disegni c’era tanta poesia, ma anche tanto studio, documentazione, ricerca. Basti pensare a quel meraviglioso volume intitolato Corto Maltese – Favola di Venezia con tutti i luoghi e gli angoli più nascosti e suggestivi della laguna riprodotti negli splendidi acquarelli di Pratt. Abbiamo fatto tanti viaggi assieme in giro per il mondo, proprio perché lui amava documentarsi: per poter disegnare un determinato posto doveva visitarlo, sentire il profumo della terra, vedere i colori del paesaggio intorno, cogliere quei particolari che poi avrebbero arricchito e rese uniche le tavole delle sue storie.

Secondo te c’è spazio anche per la graphic novel e fumetti destinati ai ragazzi che raccontino storie di legalità e di impegno civile?
Volumi come questi, che raccontano anche storie e avvenimenti dolorosi del nostro Paese sono sempre utili, anche se non tutti sono bellissimi e a volte il valore sociale è superiore a quello artistico. Credo però che finché esisterà l’uomo ci sarà bisogno di raccontare storie attraverso la letteratura, il cinema o la pittura, ma anche attraverso il fumetto che, in fin dei conti, rappresenta l’unione del disegno con la parola scritta racchiusa in una “nuvoletta”. Per questo sono convinto che il fumetto non morirà mai, potrà cambiare veste, magari finire su Internet ma non morire. Quindi ben venga se il fumetto si allarga a rappresentare momenti della nostra vita e le storie di legalità e di impegno, anche se non bisogna mai dimenticare che le graphic novel hanno delle regole precise che vanno sempre rispettate: i disegni e dialoghi devono essere belli e avvincenti, emozionanti, altrimenti diventano altro, diventano fredde didascalie illustrate. Un bel volume che di recente mi è capitato di leggere è quello sulla storia di Marco Pantani, che alla fine degli Anni ‘90 ha infiammato gli animi degli appassionati di ciclismo, anche se in assoluto quello che mi ha emozionato di più è stato il racconto della vita di Anne Frank. Una graphic novel meravigliosa, commovente e straordinaria che merita davvero di essere letta da tutti, grandi e piccoli.

Cinema, musica, fumetti sono le tue passioni. Un tris perfetto. Cosa aggiungeresti per fare poker?
Il quarto asso è sicuramente la letteratura. Anzi tutta la passione per questo lavoro nasce proprio dalla letteratura. Nasce dalla lettura di Giovannino Guareschi, in Canada dove ero emigrato con la mia famiglia. Mio padre e mio nonno avevano portato con loro i libri di Don Camillo e Peppone ed io li leggevo con incredibile voracità, mi piacevano moltissimo e mi piacciono ancora adesso, anche perché il mondo di Don Camillo e Peppone è la più straordinaria rappresentazione del nostro Paese di ieri, ma anche di oggi. Forse la chiave di lettura per capire chi siamo noi italiani a 150 anni dall’Unità sta proprio in quelle pagine ingiallite dal tempo, ma non dalla storia.

01/04/2011