Dora Petrolino

Rivoluzione rosa

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Dalla Polizia femminile alle donne in polizia: una lunga storia di traguardi e prospettive

Alla domanda su quali sono stati i punti salienti della “riforma della polizia”, approvata ed entrata in vigore nel 1981, si risponde solitamente: la smilitarizzazione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza; la sindacalizzazione; l’ingresso delle donne.
A quest’ultimo proposito, è indispensabile precisare “a parità di mansioni e di carriera”, perché nell’amministrazione della pubblica sicurezza le donne, sia pure in una posizione particolare, erano già presenti da un ventennio. Era infatti il 1° marzo 1961, quando sono entrate in servizio le primi ispettrici, appartenenti alla carriera direttiva del nuovo Corpo di polizia femminile, istituito con legge n. 1083 del 1959; ed era il 1° luglio dello stesso anno quando le hanno seguite le assistenti di polizia, appartenenti alla carriera di concetto dello stesso corpo.
Come si vede, mancavano invece le agenti, cioè il personale destinato a svolgere quelle mansioni esecutive che, in tutti i corpi di polizia, sono assegnate ai “militari di truppa”. E questo corrispondeva a un preciso disegno del legislatore, il quale si era preoccupato di ribadire che non era suo intendimento sostituire la donna all’uomo, né creare un corpo autonomo con a capo un generale, ma “arricchire, completare e perfezionare” con la presenza della donna l’attività di polizia.
Accanto a uno status particolare rispetto agli altri impiegati civili dello Stato, le “donne poliziotto” avevano dunque mansioni specifiche e limitate, in cui la prevenzione e l’accertamento di alcune tipologie di reato, nonché le indagini e gli atti di polizia giudiziaria (solo per talune categorie di vittime o di rei), si accompagnavano alla “vigilanza e assistenza” a donne e minori oggetto di provvedimenti di polizia e ad “eventuali” mansioni assistenziali nei confronti delle stesse categorie di persone che si trovassero in stato di abbandono morale e sociale.
In conseguenza, le donne sono entrate negli uffici di polizia come “corpo separato”: anziché essere inserite nelle varie articolazioni delle questure a fianco del personale maschile, sono state assegnate ad uffici a sé stanti, denominati “Ufficio Polizia femminile” o “Sezione minori”. E, a seconda delle esigenze locali, e anche della mentalità di coloro che dovevano impiegarle, hanno visto allargarsi o restringersi il loro campo d’azione.
Col senno di oggi, è ovvio affermare che la particolarità dello status delle appartenenti al Corpo, nonché la limitazione delle mansioni loro assegnate, erano discriminatorie. Ma non sarebbe onesto dimenticare che la legge è stata varata in un contesto, giuridico e sociale, in cui la parità tra i sessi era ben lontana dall’essere non dico realizzata, ma semplicemente accettata.
Il lavoro delle “donne poliziotto” si è dunque svolto, specialmente nei primi anni, tra notevoli difficoltà, a causa di pregiudizi duri a morire, sia all’interno che all’esterno degli uffici; le prime ispettrici e assistenti si sono trovate talvolta di fronte a persone che, non conoscendone o non volendone riconoscere le attribuzioni, si rifiutavano di declinare loro le proprie generalità, e persino di esercenti pubblici che non volevano esibire loro la licenza.
Le limitazioni imposte all’attività e ai poteri della Polizia femminile sono state poi invocate, sempre nei primissimi anni, per ridimensionarne il ruolo. Un avvocato è ricorso in Cassazione perché le funzioni di pubblico ministero, in un procedimento davanti al pretore, erano state svolte da un’ispettrice di polizia che, a suo dire, non era un funzionario di pubblica sicurezza.
Sono stati invece, spesso enfatizzati quei compiti di assistenza a donne e minori in stato di abbandono che secondo la legge istitutiva dovevano essere soltanto “eventuali” e consistere essenzialmente in segnalazioni agli enti ed organismi competenti. Questo, unitamente alla denominazione “assistenti di polizia” attribuita al personale di concetto, ha contribuito ad alimentare l’equivoco secondo cui il nuovo Corpo era sostanzialmente un servizio sociale. Tanto che un avvocato sostenne davanti al Consiglio di Stato che richiedere alle candidate al concorso per ispettrice di polizia determinati requisiti fisici era illegittimo, dal momento che al Corpo erano demandate mansioni puramente assistenziali.
All’atto pratico, nei suoi primi anni di vita la Polizia femminile si è occupata, con positivi risultati, della bonaria composizione dei privati dissidi, dove un po’ di tatto, sensibilità e di pazienza tornavano più utili della semplice conoscenza della legge. Inoltre, in ogni sede una o più assistenti hanno svolto, in via esclusiva o in aggiunta agli altri compiti, un’attività di “servizio sociale” nei confronti del personale dipendente.
Nelle grandi città, dove l’attività di polizia giudiziaria è svolta dalla squadra mobile o dai commissariati di zona, le appartenenti al Corpo si sono occupate più del carteggio relativo a donne e minori, che del contatto diretto con loro. In città di provincia a basso tasso di criminalità hanno svolto invece vera e propria attività di indagine, da sole o in collaborazione con le squadre mobili, su reati anche di una certa gravità. Mediante servizi di controllo del territorio, hanno svolto un’attività di prevenzione e repressione dell’accattonaggio, della vendita di tabacco o di alcol ai minori, di protezione del lavoro minorile e di quello delle donne, di vigilanza sugli spettacoli e di sequestro della stampa pornografica.
Anche i rapporti con la magistratura ordinaria, in genere proficui, hanno a volte risentito dell’incertezza o della disinformazione circa le attribuzioni del Corpo. Mi limito a citare la protesta ufficiale di una signora che aveva visto il magistrato competente affidare alla squadra mobile, sezione buon costume, un suo esposto in merito all’affidamento dei figli minori. Al contrario, la magistratura minorile ha dimostrato grande apprezzamento per il Corpo, e se ne è servita regolarmente e proficuamente sia per le indagini ed atti di polizia giudiziaria, sia per l’adozione e l’esecuzione di provvedimenti di natura amministrativa o civile a carico di minori.
Merita un cenno anche l’incarico, svolto dall’inizio degli anni Settanta, di ricerca capillare e di recupero alla frequenza di studenti che evadevano l’obbligo scolastico; fatto che configura un reato a carico dei genitori, giustificando così l’intervento dell’autorità di polizia e allo stesso tempo permette di far venire alla luce situazioni di abbandono morale e materiale, nonché di sfruttamento del lavoro minorile.
Né si può dimenticare l’impiego massiccio della Polizia femminile in occasione di calamità naturali. Per la prima volta intervenute per il terremoto nella valle del Belice (1968), ispettrici e assistenti hanno così ben operato da meritare la medaglia di bronzo al merito civile, conferita dal Presidente della Repubblica; inoltre l’ottima prova data ha comportato l’istituzionalizzazione di questo tipo di intervento mediante la formazione di un elenco di persone che hanno chiesto volontariamente di essere impiegate in esso, e che sono in effetti state inviate in missione in occasione di altri eventi sismici: quello di Tuscania (1971), di Ancona (1972) e quelli, disastrosi per intensità e numero di vittime, del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980).
Con il passare degli anni, il contesto sociale e giuridico si è andato sempre più modificando. Già nel 1963 le donne sono state ammesse a tutte le professioni e cariche pubbliche, compresa la magistratura, a parità di mansioni e di svolgimento di carriera. All’inizio degli anni Settanta, parecchi Corpi di polizia municipale hanno accettato le donne, a parità di mansioni, e lo stesso hanno fatto, successivamente, alcuni organismi di polizia privata. A sua volta, il quadro normativo in cui era maturato il progetto della Polizia femminile è andato subendo rilevanti modifiche. In materia civile, la maggiore età è stata anticipata al compimento del diciottesimo, e non più del ventunesimo; in campo amministrativo, la maggior parte delle competenze assistenziali è stata trasferita dallo stato agli Enti locali. In materia penale, è stato cancellato l’intero capo relativo ai delitti contro la sanità e la sanità della stirpe, di specifica competenza del Corpo, e infine, in materia di procedura penale, ripetute modifiche hanno ristretto sempre più la possibilità, per la polizia giudiziaria, di procedere all’interrogatorio delle persone indiziate. L’attività istituzionale della Polizia femminile ne è stata quindi notevolmente ridimensionata. Per converso, il sorgere e l’espandersi del fenomeno del terrorismo ha reso necessari nuovi servizi di prevenzione, tra cui i controlli negli aeroporti, o nei tribunali, durante processi di particolare rilievo, e in essi sono state impegnate in via permanente le assistenti di polizia.
Così nel 1975, quando, per iniziativa del ministro dell’Interno sono stati istituiti dei Comitati di rappresentanza del personale di polizia, i delegati eletti, tra cui chi scrive, si sono trovati d’accordo nel ritenere indispensabili profonde modifiche allo status e alle attribuzioni del Corpo di polizia femminile. Due anni dopo, la legge che riorganizzava i servizi di sicurezza ha previsto che in essi potessero confluire, a domanda, dipendenti civili e militari dello stato, comprese le appartenenti al Corpo di polizia femminile, le quali nel nuovo organismo sono state, di fatto e di diritto, equiparate al personale maschile. Poco dopo è stato istituito presso il ministero dell’Interno l’Ufficio per le investigazioni generali e le operazioni speciali (Ucigos), nel quale sono inserite, a parità di mansioni, due assistenti di polizia.
Decisiva è stata sicuramente l’entrata in vigore, alla fine del 1977, della cosiddetta “legge Anselmi”, che vietava qualunque discriminazione, anche indiretta, fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, qualunque sia il settore o i rami di attività.
Mentre le Forze armate hanno ritenuto di non essere interessate da tale novità legislativa, per cui la domanda di ammissione, presentata da una donna, all’Accademia navale di Livorno, è stata respinta, il ministero dell’Interno ha ritenuto di non poter ulteriormente limitare agli uomini l’accesso ai concorsi per commissario di pubblica sicurezza. E così, nell’autunno del 1979, sono entrate in servizio le prime due donne commissario, seguite, nei successivi concorsi, da diverse altre.
Le legge sul nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza non poteva ignorare questa circostanza, ed ha quindi previsto che la Polizia di Stato espleti i suoi compiti istituzionali con personale maschile e femminile, a parità assoluta. L’unica eccezione riguarda i reparti mobili, ai quali è assegnato “normalmente” personale maschile: scelta che è stata, comunque, già messa in discussione. Le ispettrici che erano già in servizio sono state subito inquadrate, in base alla qualifica rivestita, nel ruolo dei dirigenti o in quello dei commissari, e le assistenti in quello degli ispettori, ma si è dovuto attendere il 1986 per vedere la novità assoluta: il massiccio ingresso (pari al 47%) delle donne nel ruolo degli agenti.
A distanza di trent’anni, abbiamo donne che svolgono il ruolo di questore, di vicario, di dirigente di commissariati, di uffici di specialità, di istituti di istruzione; donne piloti di elicottero, operatori di squadriglia eliportata, paracadutiste, istruttori di tiro, di tecniche operative o di autodifesa.
Risolto il nodo della parità, resta quello delle pari opportunità: non basta infatti che la legge conceda di svolgere determinati ruoli e mansioni, se poi la situazione di fatto (orari di lavoro, sede, cura della famiglia), lo rende difficilissimo o impossibile. Per questo è stato istituito il Comitato per le pari opportunità, il cui compito è quello di individuare e proporre soluzioni normative, e soprattutto organizzative, che, salvaguardando le esigenze di servizio, consentano di conciliare la dimensione professionale con quella personale e familiare.
Le giovani e valide colleghe alle quali, giunta alla fine della mia vita professionale, ho passato, senza invidia, il testimone avranno certo la capacità e le opportunità per raggiungere ulteriori traguardi. A me basta la consapevolezza, suffragata dalla nostra medaglia al merito civile, che ispettrici e assistenti, pur con i loro limiti, hanno scritto una pagina onorevole nella storia della Polizia di Stato.

*primo dirigente della Polizia di Stato in pensione

01/04/2011