Antonella Fabiani

Noi, ispettori

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Speranze e aspettative. Gli anni della riforma raccontati dai nostri abbonati

Con l’avvento della legge di riforma tutti i sottufficiali all’epoca in servizio, specie chi già rivestiva come me il grado di maresciallo, attendevano impazienti la sospirata promozione al nuovo grado di ispettore della Polizia di Stato. Tali aspettative non sono state esaudite subito per vari motivi. Non posso essere molto preciso in quanto la mia nomina ad ispettore non coincise con l’entrata in vigore della legge di riforma, bensì dopo diversi anni ed in seguito a una prova orale che sostenni con esito positivo nel 1989 a Roma, unitamente a tanti altri colleghi. Nonostante il notevole ritardo, il momento della nomina a ispettore con l’apposizione del nuovo grado sulla divisa, divenne per me fonte di gioia ed orgoglio. E ho mantenuto l’incarico rivestito sino ad allora, comandante della squadra di polizia giudiziaria. Dopo la nomina a ispettore ricordo di aver festeggiato orgogliosamente l’avvenimento con familiari, amici e colleghi. Successivamente proseguii la mia normale carriera fino al conseguimento della qualifica finale di ispettore superiore sostituto ufficiale di ps, con l’avvenuto congedo per anzianità.
All’inizio risultarono ben pochi i vantaggi rispetto alle aspettative e, almeno apparentemente, tutto sembrò procedere come prima. Per quanto concerne il mio passato, da sempre addetto alla polizia giudiziaria, come per gli altri colleghi che vinsero il concorso per ispettore da ex sottufficiali, i servizi non subirono grandi scossoni. Si riscontrò, però, un aggravio di responsabilità a causa di una pretesa migliore preparazione professionale. In tale periodo, i funzionari di tutti i livelli e i questori, almeno inizialmente, continuarono a preferire al loro fianco la presenza dei vecchi marescialli e brigadieri (promossi o meno al grado di ispettori) che rappresentavano le vere colonne di tutti gli uffici della Polizia di Stato. Allora l’attività richiedeva un impegno piuttosto gravoso dal punto di vista operativo senza il dovuto riconoscimento economico. Erano gli anni dei sequestri di persona, il periodo più cruento del banditismo sardo, quindi apprezzavo le novità introdotte dalla riforma, specialmente per la concessione finalmente dei miglioramenti economici–normativi, che comportarono ulteriori benefiche novità. Alcuni notevoli cambiamenti si verificarono anche nei vari rami operativi, con mezzi più idonei, nuovi corredi, armamento più moderno ed efficace; l’arruolamento di giovani di ambo i sessi, più colti e preparati. Sotto alcuni aspetti il peso del “militarismo” cominciava ad alleggerirsi e diventare più sfumato anche grazie al ricambio generazionale. Riconosco che la riforma consentiva di operare in modo più autonomo e soddisfacente per me e per l’Amministrazione grazie al contatto più diretto con superiori e subalterni e con l’autorità giudiziaria.
In un primo momento ricordo di aver rimpianto, anche se per poco tempo, le vecchie stellette con tutto ciò che ne conseguiva, per il diverso modo di adempiere a determinate cose. Ho rimpianto anche la disciplina che lo stato di militare imponeva; ma che con il passare del tempo ha assunto una connotazione sempre più leggera fino all’attuazione della riforma. Con i superiori diretti i rapporti rimasero improntati al massimo rispetto così come lo erano prima della riforma, come pure con i colleghi parigrado o subalterni.
Nel mio caso (anche per altri colleghi credo sia stato così), il rapporto con la popolazione non mutò, anzi notai che stima e considerazione aumentarono. I cittadini sentivano la Polizia di Stato più prossima e finalmente più moderna.
Ispettore superiore sups in pensione
Salvatore Murgia (Ozieri)


Ricordo nitidamente il giorno in cui mi fu notificato il decreto di nomina di vice ispettore. Provenivo dal ruolo dei sovrintendenti e avevo da poco superato gli esami orali del concorso riservato al personale appartenente a quelle qualifiche. Fu un momento significativo che avrebbe segnato piacevolmente il percorso della mia vita professionale. Immaginavo che finalmente avrei potuto coronare la mia più grande aspirazione che era quella di entrare a far parte di una struttura investigativa di prestigio, quale era la Criminalpol. L’occasione non mancò di arrivare durante il periodo di frequenza del corso di perfezionamento svoltosi presso l’Istituto di Nettuno dal mese di settembre a dicembre del 1991. Fu infatti allora che funzionari del Servizio centrale operativo della Criminalpol vennero a Nettuno e iniziarono a selezionare gli ispettori che avevano manifestato il desiderio di essere assegnati a tali apparati investigativi. Io, così come altri miei colleghi, mi ritrovai a colloquio con un giovane funzionario e, la cosa di cui oggi vado fiero e di cui conservo un piacevole ricordo, è che quel funzionario non immaginavo nemmeno lontanamente che un giorno sarebbe diventato il capo della Polizia. Sì, perché fu proprio al cospetto di Antonio Manganelli che mi presentai. Dopo qualche anno rividi Manganelli a Lamezia, in Calabria, dove era stato inviato per coordinare il gruppo investigativo costituito dopo l’assassinio del sovrintendente Aversa e della sua povera consorte.
Essere transitato nel ruolo degli ispettori non mi creò alcuna difficoltà, anche se fui assegnato alla stessa sede di provenienza, la questura di Reggio Calabria, dove quasi tutti, normalmente, ci conoscevamo. L’impatto con il nuovo ufficio (il Centro interprovinciale Criminalpol Calabria) non fu traumatizzante. I colleghi mi accolsero con gentilezza e simpatia, facendomi sentire a mio agio, così come di solito ci si sente nel proprio habitat familiare. Devo dire che tale accoglienza ha notevolmente contribuito a lenire in parte le ansie e le preoccupazioni che balenavano nella mia testa, per lo più dovute al fatto che mi chiedevo se fossi stato o meno all’altezza dei nuovi compiti. Dopo poco tempo iniziai ad acquisire padronanza delle mie capacità e a convincermi che la nuova esperienza lavorativa mi avrebbe dato tantissime soddisfazioni professionali. L’entrata in vigore della legge 121/81 fu considerata alla stregua di una rivoluzione copernicana. Ci vollero anni di contestazione e di lotte per superare le reticenze delle forze politiche di allora, spesso arroccate su posizioni diametralmente opposte, su quale fosse il modello di riforma più consono alle esigenze del Paese. Alla fine prevalse il buon senso del legislatore con il definitivo riconoscimento al poliziotto lavoratore di tutti i diritti individuali. Le migliori qualità lavorative determinate dagli effetti della smilitarizzazione e sindacalizzazione, hanno portato il lavoratore di polizia ad esprimere al meglio le proprie potenzialità e ad offrire al cittadino servizi più efficienti a salvaguardia degli interessi della collettività. Pur avendoci convissuto per oltre sette anni, credo di poter dire con profonda convinzione di non aver mai avuto alcun rimpianto delle stellette.
Credo ancora di poter dire a mio sommesso avviso, ma sono certo di poter cogliere il pensiero di tanti altri miei colleghi, che la smilitarizzazione ha ridato maggiore dignità alla categoria che ha così acquisito coscienza anche intellettuale e professionale a tutela dei propri diritti. Il periodo post-riforma ha indubbiamente dato al cittadino una percezione di sicurezza più tangibile. La gente ha iniziato ad avere più fiducia nelle Istituzioni e ad avvicinarsi al poliziotto non più in contrapposizione ma piuttosto come amico.
Sostituto commissario in pensione
Francesco Giordano (Reggio Calabria)


Mi è sempre piaciuto il mio lavoro. Nel 1981 prestavo servizio a Bolzano come responsabile dell’ufficio del personale, ma facevo anche i turni esterni alternandomi con i colleghi. Ho lavorato per trent’anni nell’Amministrazione e devo dire che la riforma, da un punto di vista personale, mi ha portato delusioni: aspettative di progressione di carriera non realizzate (quando sono diventato ispettore nel 1995 non mi fu calcolata l’anzianità che avevo maturato precedentemente come sovrintendente capo). Comunque ho avuto sempre molto rispetto per il nuovo grado di ispettore anche se penso sia stato fortemente inflazionato: in poco tempo molti sono diventati ispettori e questo, secondo me, ha abbassato la qualità che avrebbe dovuto avere questa figura professionale secondo la visione del legislatore. L’intenzione era lodevole, la creazione di un operatore-investigatore, ma alla fine sono diventati tutti ispettori ed hanno continuato a fare il lavoro che facevano prima. Sono comunque soddisfatto.
Prima di lavorare in polizia ero stato sei anni in Germania, da solo, senza famiglia. Questo mi aveva permesso di affrontare quei sacrifici imposti dalle “stellette”, prima della smilitarizzazione.
L’arrivo della riforma ha portato importanti cambiamenti: l’avvento dei sindacati che hanno permesso miglioramenti sull’orario di lavoro, sullo stipendio e soprattutto perché ci ha portato a un maggior dialogo con i cittadini. Il rapporto con la popolazione è cambiato nel senso che si è intensificato, perché la nuova qualifica di ispettore superiore mi aveva permesso di avere molti contatti con loro, per cui davo consigli sui loro problemi quando venivano in questura. E devo dire che ancora oggi che sono in pensione a volte mi capita che qualcuno mi fermi per strada per ringraziarmi per quello che ho fatto nei suoi confronti. Per quanto riguarda il rapporto con i superiori e i colleghi, non ho avuto mai problemi e anche dopo la riforma è stato sempre eccellente. Anche per quanto riguarda il lavoro non ho notato molte differenze: non avevo avuto problemi con le “stellette” e non li ho avuti nemmeno dopo che sono sparite.
Ispettore capo in pensione
Giuseppe Lisciandrello (Bolzano)

01/04/2011