Annalisa Bucchieri

Poliziotti&Obiettivi

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La documentazione fotografica sulla scena del crimine

Messa a fuoco sul sopralluogo
Prima che il nastro bianco e rosso con la scritta “non oltrepassare” venga fatto scorrere per recintare il luogo del delitto, prima che vi possano entrare gli investigatori o il medico legale per la constatazione di morte della vittima, è l’occhio del videofotosegnalatore della squadra sopralluoghi il primo a vedere e “congelare” la scena del crimine. Un compito delicatissimo che comporta sia freddezza professionale, per evitare di farsi offuscare emotivamente dalla visione cruenta del delitto, sia grande responsabilità nel muoversi nello spazio d’azione dell’assassino senza inquinare o modificare con la propria presenza tracce e indizi che potrebbero trasformarsi in prove determinanti.
Gli amanti dei thriller cinematografici, come i cronisti di nera e i divoratori di libri gialli lo sanno: i passi iniziali verso la risoluzione di un omicidio gli inquirenti li compiono dalla scrivania, interrogando le immagini contenute nel fascicolo del sopralluogo relativo alla scena del crimine dove spesso non hanno potuto neanche mettere piede. Delle possibili considerazioni importanti che l’autorità giudiziaria può desumere da una corretta ricostruzione della scena del crimine ne scrisse già molti anni addietro Ugo Sorrentino, uno dei grandi maestri della Scientifica, che partecipò nel 1924 al sopralluogo del delitto Matteotti:“... deve permettere di ricostruire l’ambiente, di visualizzarlo cioè nelle condizioni in cui si trovava quando venne descritto”. Tra gli esempi più recenti di importanza strategica della ricostruzione per immagini, il recente caso nella Capitale di un doppio suicidio di una coppia di fidanzati. Il tentativo dell’uomo era stato vano e la sua vita era salva, mentre la sua fidanzata era morta. In realtà le cose erano andate in modo ben diverso e questo lo hanno rivelato le foto del sopralluogo, che mostravano i tentativi della ragazza di difendersi. Un elemento decisivo per avviare le indagini nella giusta direzione, ossia quella dell’omicidio volontario e del suicidio simulato, a seguito del quale il giudice ha fatto porre sotto controllo il cellulare del presunto assassino. Ma non sono rari neanche i cold case, i casi insoluti del passato, che hanno trovato a distanza di tempo il colpevole grazie allo spunto dato da una fotografia conservata nell’Ufficio reperti del tribunale che tramanda la memoria di una scena del crimine ormai trasformata o degradata dagli anni trascorsi. Tra gli ultimi il caso di Rosanna Fiori, proprietaria della seconda florovivaistica d’Europa, considerata la “Fiat dell’Ogliastra”, uccisa nella sua ditta nel 2001. L’Udi, l’Unità delitti insoluti della Polizia di Stato, riaprendo le indagini è partita dalla foto di un pezzo di stoffa impigliato nella rete di recinzione del vivaio. Dall’esame della posizione del pezzo di stoffa sulla rete gli esperti hanno desunto che si trattava di staging, cioè gli assassini avevano messo di proposito lì il lembo di stoffa per simulare una fuga in quella direzione e depistare gli investigatori, mentre dopo aver freddato la Fiori erano rimasti all’interno del luogo: dovevano essere dipendenti della ditta. Così gli investigatori hanno ridirezionato l’attenzione sui presenti al lavoro quel giorno. Nel maggio del 2010 ci sono stati 14 arresti tra mandanti e killer.
Non ha possibilità di riuscita un’indagine senza un fascicolo di sopralluogo scrupoloso, oggettivo e preciso. Non ha valore scientifico e peso giudiziario un sopralluogo senza un’accurata documentazione fotografica congiunta alla descrizione con annotazioni e al rilievo planimetrico. Sono questi i tre cardini imprescindibili per conservare la memoria della scena del crimine così come la deve aver vista l’ultima volta la vittima e il suo carnefice. Per comprendere meglio la doppia identità del videofotosegnalatore sopralluoghista, per un verso fotografo e per l’altro investigatore, e il ruolo rivestito dalla ripresa e riproduzione delle immagini nelle indagini su un delitto è necessario risalire alla più autorevole fonte nel campo: il Servizio di Polizia Scientifica, diretto attualmente da Piero Angeloni e fondato nel lontano 1903 da Salvatore Ottolenghi. Già dagli inizi il padre dei detective in laboratorio gettò le basi della fotografia giudiziaria e della struttura del sopralluogo mutuandolo dagli studi del ritratto parlato di Alphonse Bertillon. Nel 1908 Umberto Ellero, successore di Ottolenghi, scrisse un manuale di 600 pagine sulla fotografia giudiziaria individuandone le linee guida e il metodo che ne caratterizzano la specificità rispetto alla fotografia in generale. Dopo cento anni rimangono ancora validi i princìpi indicati allora in quel trattato.

“Varcata la soglia”. Appunti di metodo
«Varcata la soglia. È questa la frase d’attacco con cui si apre ritualmente ogni descrizione della scena del crimine quando si tratta di un interno, ovviamente – racconta il responsabile del settore sopralluoghi della Scientifica del Gabinetto interregionale Lazio- Umbria-Abruzzo –. In caso si parli di spazi esterni si parte sempre dalla via di possibile accesso dell’assassino al luogo dell’omicidio. Poi la descrizione continua annotando tutto ciò che l’operatore vede da destra verso sinistra (seguendo il giro antiorario), scorrendo dal basso verso l’alto, e passando dal generale al particolare, infine la possibile via di fuga del colpevole. Gli scatti del fotografo seguono lo stesso metodo e la stessa sequenza delle annotazioni. E nel fascicolo che arriverà al giudice compariranno le inquadrature fatte di pari passo con le note scritte».
Solitamente, infatti, le squadre del sopralluogo, che si alternano per garantire un servizio h24, sono tutte composte almeno da due operatori della Scientifica: uno si occuperà di scrivere le annotazioni e l’altro lo seguirà coprendo fotograficamente il filo narrativo delle descrizioni. Qualora la scena sia particolarmente ampia si documentano anche gli ambienti immediatamente prima e dopo il luogo dove è avvenuto il fatto di sangue. Ad esempio nel caso dell’uccisione di Meredith Kercher i sopralluoghisti hanno fotografato e descritto anche ambienti come la cucina, i corridoi e il bagno interessati dai movimenti dei sospetti e della vittima e non solo il luogo dove è stata infine uccisa.
La prospettiva scelta dal videofotosegnalatore è quasi sempre quella a 90° rispetto al soggetto inquadrato per evitare distorsioni e aberrazioni nelle proporzioni e nelle forme. La ripresa della Scientifica canonica è sempre quella che segue le linee di fuga perpendicolari e parallele, qualora però gli inquirenti o gli investigatori ritenessero necessaria la ripresa soggettiva dal punto di vista della vittima o da un’altra angolazione lo debbono richiedere specificatamente come documentazione integrativa a quella convenzionale. «Ad esempio – spiega il sopralluoghista della Scientifica - in una stanza rettangolare l’operatore si può porre al centro di ogni parete per fotografare quella opposta oppure in ogni angolo per riprodurre quello speculare (dal posteriore destro per riprendere l’anteriore sinistro). Solo così può essere sicuro di avere una visione generale completa. «Naturalment

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01/02/2011