Fabio David

Arte noir

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Naturale ricondurre l’ispirazione pittorica al bello, molto più difficile immaginarla nella sua veste “oscura”, caratterizzata dall’estetica del sangue, della violenza e del crimine

Lo sguardo fisso che esce dalla tela, le labbra ancora leggermente aperte dopo aver esalato l’ultimo respiro; tinte rosso sangue colmano il volto femminile, in primo piano nel dipinto. È la scioccante immagine con cui la pittrice inglese Jenny Saville nel suo Reverse (2003), rappresenta la morte come ultimo atto di un’azione violenta. Un quadro che non lascia nulla all’immaginazione, privo di qualsiasi filtro fra quella che è la realtà e ciò che dovrebbe esserne la rappresentazione.
Provare a raccontare la parte “nera” dell’arte non è per nulla semplice. C’è il rischio di essere risucchiati dalla parte oscura che è in ognuno di noi, quella dimensione dell’interiorità umana che invece di respingere la violenza e la sofferenza ne è incuriosita se non attratta e affascinata. La guida di questo viaggio è lo psichiatra e criminologo Marco Cannavicci, docente presso il Centro europeo di psicologia investigativa e criminologica (Cepic) diretto da Chiara Camerani. La scelta di approfondire l’argomento non con un critico o un esperto d’arte, ma con un criminologo introduce il punto di vista che abbiamo deciso di privilegiare : raccontare quella parte della pittura che fa della violenza, della sofferenza, del crimine la sua musa ispiratrice. In questo la pittrice inglese contemporanea Jenny Saville è maestra. «Le opere di Saville – spiega Cannavicci – sono spesso raffigurazioni di cadaveri presi dagli obitori o direttamente dalla strada, di vittime come oggi si tende a raffigurarle; si tratta di un’artista che ha sollevato il lenzuolo che per pudore e rispetto spesso noi troviamo steso sulle vittime: ci ha fatto vedere le ferite, il sangue, gli occhi sbarrati, la sofferenza e la morte. Tutte cose che cerchiamo di tenere private, nascoste o cancellate da quel bianco sudario in cui viene avvolta la vittima e con essa anche l’idea della morte».

Perché si dipinge la sofferenza?
Una domanda spontanea di fronte alle opere di Jenny Saville, sempre caratterizzate da sguardi intensi come in Rosetta (2005). Ci si interroga sulle motivazioni per cui l’essere umano è attratto dalla sofferenza fino a trasformarla i

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01/02/2011