Cristiano Morabito
Le due giornate di Napoli
Due continenti uniti da uno scopo: contrastare i fenomeni criminali comuni che ne mettono in pericolo la sicurezza. Questo il tema principale della prima conferenza che vede Europa e Africa a confronto
«Noi non abbiamo bisogno di interpreti per capirci, perché parliamo la stessa lingua: quella della polizia». Con queste parole il capo della Polizia Antonio Manganelli ha voluto concludere il suo discorso di apertura della Conferenza Euro-africana, svoltasi a Napoli l’8 e il 9 di febbraio.
Una due giorni all’ombra del Vesuvio, che ha visto la presenza di delegati delle polizie di 68 Paesi (quasi 300 partecipanti tra europei e africani) e di 11 organizzazioni internazionali, tutti riuniti con un solo scopo: rafforzare la collaborazione tra gli organismi di polizia dei due continenti.
È stata un’occasione unica di confronto tra due mondi, apparentemente distanti, ma profondamente uniti nella comune sfida che mette in pericolo la loro sicurezza.
Un percorso che parte da lontano, da quel settembre dello scorso anno quando il capo della Polizia e il segretario generale dell’Interpol Ronald Noble, decisero, in occasione di un incontro a Bruxelles, di ritrovarsi in una conferenza che mettesse seduti attorno allo stesso tavolo Paesi europei e africani.
Quarantotto ore, dunque, possono sembrare poche per affrontare problemi fondamentali che affliggono un’area così vasta come quella africana e che, per forza di cose, si ripercuotono sul Vecchio continente, ma sono solamente un punto di partenza.
Una conferenza, dunque, non fine a sé stessa, come ha sottolineato più volte Manganelli; non un incontro fatto solo di parole e buoni propositi per il futuro, ma di fatti concreti. E a dimostrazione di questo la presenza delle delegazioni di ben 44 Paesi africani (su un totale di 53) e di 24 altre Nazioni (Europa su tutte) per discutere delle problematiche che affliggono il continente nero e che si ripercuotono su tutto il resto del globo. Immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani, traffico di stupefacenti e terrorismo sono stati gli argomenti su cui sono ruotate le due giornate napoletane.
Fin qui, si potrebbe dire, nulla di nuovo rispetto a un normale meeting internazionale sulla sicurezza, ma non è così. Dopo una prima giornata in cui si sono alternati i vari oratori sul palco della sala conferenze dell’hotel Royal Continental di Napoli, e in cui sono stati esposti i “buoni propositi”, il secondo giorno ha segnato la vera e propria novità in fatto di conferenze di questo genere: l’istituzione di quattro tavoli di discussione, sotto l’egida della presidenza italiana, sugli argomenti di cui sopra e ai quali hanno partecipato i delegati delle polizie africane, insieme a europei, asiatici e americani.
Quattro tavoli, dunque, che non esauriscono la loro funzione al termine del summit chiudendo i lavori semplicemente stilando un rapporto finale pieno di buone intenzioni, ma quattro vere e proprie commissioni permanenti che si riuniranno più volte nei mesi a venire per fare il punto della situazione sulle problematiche affrontate.
«I fenomeni che trattiamo in questa conferenza – ha continuato Manganelli – offendono i nostri Paesi e soltanto con un’azione congiunta possono essere contenuti o, addirittura, debellati. Sono spesso connessi fra loro e molte volte favoriti dall’instabilità interna politico-sociale, dalla povertà e dalla disperazione». Argomento quanto mai attuale quello affrontato dal capo della Polizia, alla luce degli ultimi avvenimenti che stanno sconvolgendo il Nord Africa e che, nella prima metà di febbraio, hanno portato di nuovo allo sbarco di migliaia di immigrati clandestini sulle nostre coste.
«Dobbiamo pensare – ha proseguito Manganelli – a quello che noi forze di polizia possiamo fare. È necessaria una forte azione congiunta per fare del nostro stare insieme il valore aggiunto della nostra lotta». E in quest’ottica l’Italia, infatti, ha concluso importanti accordi bilaterali con altre Nazioni. L’ultimo proprio durante i giorni del summit napoletano con Sudafrica, Gibuti e Sudan per fronteggiare i fenomeni criminali legati all’immigrazione clandestina. «Nel realizzare questi accordi – ha detto il capo della Polizia – abbiamo individuato ogni volta cinque obiettivi che ritengo siano di primaria importanza: lo scambio tempestivo di informazioni, l’avvio di investigazioni congiunte, la predisposizione di corsi di formazione per gli operatori nei diversi campi d’azione, l’assistenza tecnica con la fornitura di mezzi e lo scambio reciproco di funzionari. Una collaborazione in cui sono fondamentali anche altri organismi come, nel caso specifico del fenomeno migratorio, di Frontex (l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, ndr)».
Collaborazione è dunque la parola d’ordine, il principio fondamentale perché continenti profondamente diversi tra loro possano trovare un’intesa nella lotta comune a fenomeni che provocano allarme sociale, come il terrorismo. «Attualmente – ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni – la nuova minaccia è quella del cosiddetto “terrorismo in franchising”, ossia quella portata da persone che non vengono più addestrate nei campi di Al Qaeda, ma che vivono nei nostri Paesi e che, spesso, ne hanno anche la cittadinanza». Gli homegrown terrorist, i terroristi fai-da-te, non sono direttamente collegati alla rete del terrore internazionale, ma sono in grado di attivarsi autonomamente. E sono anche i più pericolosi, in quanto più difficili da individuare e, quindi, da neutralizzare. In loro aiuto accorre Internet, su cui si documentano sui principi del fondamentalismo religioso e su cui trovano le “istruzioni” per le loro azioni. E proprio il “Cyberspazio quale nuova piattaforma per la radicalizzazione: esperienze a confronto” è stato l’argomento portante del tavolo dedicato al terrorismo internazionale del summit napoletano. «Internet – ha detto il capo della Polizia – garantisce l’anonimato rendendo più facile il contatto tra gli appartenenti a cellule eversive e, non avendo il cyberspazio confini geografici e fisici, rende più difficili le investigazioni». Importanti accordi sono stati raggiunti anche in questo campo, a latere della conferenza, tra i Paesi e le organizzazioni che hanno preso parte alla tavola rotonda dedicata (tra cui l’Ncis, il Servizio investigativo della Marina statunitense), puntando soprattutto sul rafforzamento delle relazioni sinergiche nel settore del monitoraggio della Rete.
Ma anche il traffico degli stupefacenti e quello ancor più odioso degli esseri umani, sono stati tra gli argomenti che hanno animato il vertice partenopeo.
I trafficanti di droga, dopo il rafforzamento dei controlli nel Nord-Ovest del continente africano, si sono aperti nuove vie, grazie anche alla particolare orografia delle coste africane che, per propria conformazione, risultano difficilmente controllabili. Il tavolo dedicato al narcotraffico ha analizzato in profondità il fenomeno, anche alla luce delle previsioni sulle “nuove vie” della droga, come quella dedicata alla cocaina che si sta aprendo nella regione Sud del continente o quella del Corno d’Africa e dei Paesi che si affacciano sull’oceano Indiano per quanto riguarda l’eroina; e ancora ha individuato l’Africa come futuro epicentro per la produzione di droghe sintetiche. Eroina, cocaina, pasticche tutte destinate al mercato europeo. Favorire la creazione di un flusso informativo che possa dare una conoscenza approfondita e aggiornata della situazione, cercare di standardizzare i sistemi e i linguaggi comunicativi, pianificare attività progettuali comuni e cercare di armonizzare le normative sono i punti fondamentali su cui si sono trovati di comune accordo i partecipanti.
Ma un altro tipo di traffico che purtroppo oggi è una triste realtà, è quello degli esseri umani, dei “nuovi schiavi” del nostro secolo. «Sono ormai provati – ha detto Antonio Manganelli – i contatti tra le nostre organizzazioni criminali e quelle di Turchia, Grecia, Egitto e di cellule di altri Paesi. Noi abbiamo condiviso questo nostro sapere e stiamo combattendo il fenomeno anche attraverso accordi bilaterali. Questa è la strada da seguire». E su questi argomenti si sono confrontati i Paesi che hanno preso parte alla tavola rotonda sul fenomeno, arrivando alla conclusione di rendere “permanente” il tavolo, dandosi appuntamento tra sei mesi con una nuova convocazione per poter fare il punto della situazione.
Traffico di droga, nuovi schiavi e immigrazione clandestina sono tutti fenomeni in mano a quella criminalità organizzata transnazionale che, come ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni, «è il nuovo nemico da combattere che inquina le economie ed erode istituzioni e democrazia. Gli Stati deboli sono più esposti alle infiltrazioni di questa criminalità, che li utilizza come base per la propria attività e li condiziona, o rischia di farlo, ricorrendo sistematicamente a corruzione e violenza. Senza dimenticare che ormai sono provate le sinergie tra terrorismo e criminalità organizzata transnazionale». E a confermare le parole del ministro, si aggiungono anche quelle del capo della Polizia: «L’obiettivo vero è quello di aggredire le ricchezze delle organizzazioni criminali per impoverirle. Dobbiamo riprenderci quel che ci hanno rubato e che, anche attraverso lo spaccio di droga, è costata la vita di molti dei nostri figli».
Dunque, una vera e propria lotta senza confini quella che attende il futuro delle polizie europee e africane, spesso non aiutate da una legislazione disomogenea tra Stato e Stato. «Parlare di armonizzazione di queste legislazioni – ha osservato Manganelli – equivale a fare un esercizio accademico di buone intenzioni. Tutti sappiamo che non è possibile arrivare a un’unica legislazione tra Paesi che hanno tradizioni, culture, obiettivi e princìpi non sempre comuni. Questo deve essere il nostro sforzo: dialogare e lavorare insieme armonizzando ciò che non è armonizzabile; dobbiamo compensare con le nostre tecniche investigative comuni, parlando la stessa lingua, con la voglia di raggiungere lo stesso obiettivo, leggendo insieme quel che i nostri ordinamenti non leggono allo stesso modo».
Un obiettivo comune del quale la conferenza di Napoli è solo il punto di partenza.
La lunga via verso l’Euro-africana
Napoli, Hotel Royal Continental. È qui che sono presenti quasi tutti i capi della Polizia dei Paesi africani seduti vicino ai loro colleghi europei, ai rappresentanti delle Istituzioni comunitarie e alle maggiori organizzazioni internazionali impegnate per la sicurezza mondiale. Obiettivo principale il contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani che, come ha sottolineato il ministro dell’Interno Roberto Maroni in occasione della presentazione del progetto Across Sahara II (realizzato per sviluppare la collaborazione regionale e le capacità istituzionali nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione, foto in basso a sinistra), richiedono una risposta globale: «Bisogna capire, e far capire, che nell’epoca della globalizzazione il problema migratorio è un problema dei Paesi del Nord-Europa non meno di quanto lo sia per l’Italia o la Grecia. Per questo le dimensioni della sfida richiedono risposte globali in termini di condivisione delle responsabilità tra i Paesi europei e di cooperazione con i Paesi di origine e di transito, di collaborazione in ambito multilaterale e con le Organizzazioni internazionali, anche sul versante di programmi di sviluppo e stabilizzazione. Da come e da quanto, nel prossimo futuro, riusciremo a tradurre in pratica l’impegno a rafforzare la capacità dei Paesi terzi di controllare i flussi dell’immigrazione illegale dipenderà in buona parte il benessere delle nostre società, l’integrazione in esse degli immigrati regolari e, più in generale, la sicurezza dei nostri cittadini e di coloro che accogliamo». E pensare che alcuni dei Paesi africani qui rappresentati hanno accordi bilaterali in materia di sicurezza solo con il nostro Paese all’interno dell’Ue. Altri, invece, non sono in buoni rapporti tra loro. Per questo era difficile averli tutti intorno allo stesso tavolo, per questo era importante. L’idea è stata annunciata dal capo della Polizia in occasione del Simposio Eu – Interpol (foto in basso a destra), realizzato per fare il punto sulla cooperazione tra le polizie europee e quelle dei Paesi dell’Africa Occidentale, tenutosi a Bruxelles il 30 settembre scorso. Organizzare una conferenza, quella euro-africana, in Italia, per addivenire alla costituzione di gruppi di lavoro permanenti chiamati a pianificare e a realizzare concrete iniziative operative di polizie europee e africane, per lottare contro le organizzazioni criminali che sfruttano i “nuovi schiavi” e condurre congiuntamente operazioni di polizia per prevenire il fenomeno. Durante l’incontro il prefetto Manganelli ha proposto l’Italia come leader del partenariato di polizia Europa-Africa nella lotta al terrorismo, ai traffici illeciti e al traffico degli esseri umani. Molta strada è stata percorsa per raggiungere questo obiettivo. Una strada fatta di accordi: politici, operativi, bilaterali e multilaterali. Come quello firmato con la Nigeria e coordinato dall’Interpol (foto a destra), per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il traffico degli esseri umani, che ha portato alcuni poliziotti nigeriani, dopo corsi di formazione, a lavorare spalla a spalla con i colleghi italiani in aeroporti internazionali, porti, e in alcune città. O quello sottoscritto con l’Algeria, anch’esso per rafforzare la collaborazione in materia di immigrazione, che ha permesso di incrementare sensibilmente lo scambio di informazioni e di esperienze tra la polizia italiana e algerina. Tra gli accordi più importanti vanno menzionati quelli realizzati con la finalità di contrastare, già alla loro origine, i flussi di immigrazione clandestina verso l’Italia; le intese con il Ghana e il Niger. Come ha spiegato il ministro dell’Interno: «Abbiamo accordi bilaterali ottimi con i Paesi mediterranei dell’Africa, nella fascia che va dal Marocco all’Egitto, ma si tratta spesso di paesi di transito dei flussi clandestini che in realtà originano dagli stati a sud del Sahara. Ecco perché vogliamo allargare a quell’area la fascia di sicurezza non solo per quanto riguarda l’immigrazione, ma anche per il contrasto al terrorismo e al traffico di droga». L’ importanza di queste intese è stata ribadita dal prefetto Manganelli: «Stiamo facendo accordi con tutti i Paesi dell’area. Si tratta di paesi “produttori” di clandestini e vogliamo contrastare questi flussi. È anche un modo per fare lotta al terrorismo perché i paesi islamizzati conoscono il fenomeno del fanatismo e c’è il pericolo che l’immigrazione clandestina possa costituire un veicolo per l’ingresso in Italia di terroristi». Raggiungere il giusto equilibrio tra politica di accoglienza e integrazione da un lato e rigore nei confronti dell’immigrazione clandestina che spesso alimenta altre forme di criminalità. Questo è il difficile banco di prova davanti al quale tutti i Paesi europei dovranno misurarsi.
Mauro Valeri