Raffaele Camposano
I nostri simboli
1. Introduzione
In ognuno di noi accanto alla fredda razionalità, che ci spinge alla pianificazione e alla realizzazione di ogni bisogno o aspettativa, alberga il desiderio innato di ispirare le nostre azioni a qualcosa di più profondo e suggestivo, evocato da figure e simboli.
I sentimenti, le idee e le passioni che ci animano hanno bisogno di queste “materialità” per tradursi in maniera efficace e compiuta nella realtà.
Questo vale per l’individuo ma anche per la collettività nelle sue varie forme di aggregazione, fino a quella più nobile ed evoluta di nazione.
In un momento come quello attuale – alla vigilia dei 150 anni dell’Unità d’Italia – il richiamo da parte delle massime cariche istituzionali ai simboli della storia patria, il più importante e carismatico dei quali è rappresentato dal tricolore, possiede un potenziale unificante e rappresentativo impareggiabile.
Affinché questo potenziale si dispieghi è necessario che da parte nostra ci sia una comprensione chiara del significato e della storia che detti simboli evidenziano.
Le pagine che seguono vogliono essere un contributo che va in questa direzione. Per chi fosse interessato al tema sono disponibili ulteriori approfondimenti storici e normativi sul nostro sito www.poliziamoderna.it.
Concentrare l’attenzione sui simboli della nostra Istituzione è più che mai importante per alimentare non solo l’attaccamento ai valori e alle tradizioni che le sono retaggio, ma per rendere ancor più tangibile il vincolo ideale che unisce gli uomini e le donne poliziotto, i quali, all’indomani della Riforma del 1981, sono chiamati ad operare, più che mai, in difesa delle Istituzioni democratiche e al servizio dei cittadini, facendo appello ad un rinnovato senso di appartenenza non soltanto ad un corpo di polizia ma a tutta la nazione.
2. Emblemi e simboli
L’uso di emblemi e contrassegni simbolici è comune a molti popoli dell’antichità. Nel racconto biblico dell’Esodo ognuna delle dodici tribù del popolo d’Israele nel lungo viaggio dall’Egitto alla Terra promessa era preceduta da insegne di riconoscimento, recanti ciascuna un colore distintivo. Analoghi sistemi, per le stesse finalità, furono adottati dai Sumeri e dagli Egiziani e da molte altre antiche civiltà asiatiche e americane, a riprova che le insegne sono una caratteristica comune a tutte le razze e culture finora esistite.
In Occidente drappi e vessilli erano pure impiegati da Greci ed Etruschi, anche al di fuori dell’ambito militare, in cerimonie pubbliche, riti religiosi e battute di caccia. In epoca romana, il “signum” delle legioni assunse una sacralità che andava ben oltre la precipua finalità identificativa sui campi di battaglia: “Nei confronti di tutte le insegne i Romani coltivarono un profondo rispetto e riverente attaccamento, come simbolo non solo di spirito di corpo dell’esercito, ma anche della tradizione del popolo romano. Il sacramentum veniva pronunziato davanti all’insegna, che era difesa fino alla morte; perderla comportava l’ignominia, tanto che le coorti le quali vi incorrevano, venivano punite facendole bivaccare fuori all’accampamento, senza tende” (A. Longo, “La bandiera”, in Rivista della G. di F. Roma, n. 2/1969) Ricordiamo in particolare Cesare Augusto, che nel 20 a.C. stipulò un trattato di pace con i Parti che prevedeva, fra l’altro, la riconsegna delle “insegne” perdute, 33 anni prima, nella disfatta di Carre nella quale aveva trovato la morte il triumviro Marco Licinio Crasso. Esse furono accolte a Roma con solenni festeggiamenti a dimostrazione del loro alto valore simbolico.
L’etimologia del vocabolo “antesignano” (precursore) non a caso risale proprio ai legionari romani che combattevano ante signa, cioè davanti o nei pressi delle insegne per difenderle. L’origine dell’insegna o arme araldico risale invece agli inizi del XII secolo dopo Cristo, allorquando l’evoluzione della tecnologia militare mutò radicalmente la funzione strategica della cavalleria. Il ricorso a contrassegni specifici in battaglia si rivelò una necessità sia per individuare in modo inequivoco gli schieramenti in campo sia per distinguere ciascun cavaliere, reso irriconoscibile dalla sua armatura “integrale”. L’uso si trasferì, poi, anche nei tornei cavallereschi (cd. giostre) laddove la distinzione dei partecipanti era data proprio dalle insegne da loro indossate.
In epoca rinascimentale, nelle corti italiane “tricolori” di varie fogge e composizione furono inseriti in gualdrappe, stendardi, banderuole e nel contesto degli stemmi araldici. Come altre specie di insegne anche le bandiere furono, da principio, mezzi strategici ausiliari per meglio osservare da lontano il movimento delle truppe. Nacquero come simbolo e attributo divino per poi decadere a puro emblema politico-militare di tribù, clan, gens, casta o di regnanti.
La forma odierna della bandiera ebbe origine in Oriente e fu adottata in seguito dai Greci e dai Romani per la sua facile trasportabilità come stendardo della cavalleria. Attorno al IX sec. d.C. questa forma era già nota in tutto l’Occidente. In Europa la bandiera più antica, che fu usata come simbolo nazionale, risale al XIII secolo. Fu appellata dannebrog (panno danese) e probabilmente derivava foggia e colori dagli stendardi dei crociati medievali. Fu adottata dal re Valdemaro II di Danimarca, detto il Conquistatore, al suo ritorno dalla campagna vittoriosa sull’Estonia (battaglia di Reval del 1219). La prima bandiera nazionale moderna risale alla rivoluzione americana del 1776 e fu adottata come emblema dai coloni in guerra contro la madrepatria, l’Inghilterra.
Molti studiosi sostengono invece che le prime bandiere siano nate sul mare, dove la comunicazione con mezzi ottici è stata per lunghi secoli l’unica possibile. Bandiere di nazioni europee furono issate sulle navi ammiraglie delle flotte militari e su quelle dei navigatori e conquistatori che solcarono i mari nei secoli delle grandi scoperte ed esplorazioni.
Originariamente i colori di alcune bandiere, come ad esempio il bianco, il giallo, il nero, ebbero significati ben precisi (resa, pericolo di contagio, ostilità), in special modo in marina, condivisi poi quale linguaggio in codice da tutti gli Stati.
Col passare del tempo, però, essi si ammantarono soprattutto di significati simbolici o di ordine politico-patriottico. In particolare dopo le rivoluzioni americana e francese ciascun popolo vide nella bandiera nazionale il simbolo dell’unità e dell’indipendenza della propria patria. L’origine del nostro Tricolore ne è l’esempio più lampante.
3. Il Tricolore
La storia e le radici della nostra bandiera ricollegano i valori della Rivoluzione francese al nostro Risorgimento e alla Resistenza e costituiscono il fondamento della democrazia e dei diritti universali dell’uomo che hanno ispirato la nostra Carta costituzionale.
Approfondire la conoscenza della storia, anche attraverso i simboli che costituiscono l’identità della nostra Repubblica, significa promuovere un’attenta riflessione sui valori e sui grandi temi del pensiero politico dal Settecento a oggi.
Il tricolore, simbolo di libertà e d’identità nazionale, ha alle sue spalle una lunga storia, fatta di eventi e di grandi protagonisti.
Il tricolore, bianco, rosso e verde, fu assegnato, inizialmente solo come distintivo militare, dal generale Napoleone Bonaparte il 15 maggio 1796 alle formazioni di patrioti italiani confluite volontariamente nell’Armata d’Italia per combattere contro l’Austria e inquadrate nelle Legioni lombarda e italiana.
Nell’ottobre dello stesso anno il tricolore assunse il titolo di Bandiera rivoluzionaria italiana e il suo verde, proclamato colore nazionale, divenne per i patrioti simbolo di speranza per un avvenire migliore.
Il tricolore italiano quale bandiera nazionale nacque il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia su proposta del deputato del Parlamento della Repubblica Cispadana Giuseppe Compagnoni di Lugo di Romagna nello storico Congresso costitutivo della Repubblica Cisalpina (1797-1802), ove erano convenuti 100 deputati in rappresentanza delle popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio.
A quell’epoca le sue bande di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1790, erano disposte talvolta verticalmente all’asta, tal altra orizzontalmente.
Nel corso del 1802, dopo la costituzione della Repubblica italiana (1802-1805), assunse la forma quadrata con tre quadrati racchiusi uno nell’altro, che rimase invariata anche quando divenne la bandiera del Regno italico (1805-1814), con l’unica aggiunta al centro dell’aquila d’oro napoleonica, recante sul petto lo stemma di Stato dall’araldica incerta.
Abolito alla caduta del Regno italico, il tricolore venne ripreso nella sua variante rettangolare dai patrioti impegnati nei moti del 1821 e del 1831.
Carlo Alberto fece inserire lo stemma sabaudo al centro della banda bianca del Tricolore il 23 marzo 1848, data della dichiarazione di guerra all’Austria. Anche il Granduca Leopoldo II nello stesso periodo permise alle milizie toscane di aggiungere alla bandiera una «sciarpa tricolore italiana a designare l’alleanza desiderata tra i vari popoli della Penisola». Tale sovrapposizione doveva simboleggiare l’unione delle idee e delle speranze italiche, sotto la guida di Casa Savoia. Allo stemma dinastico fu aggiunta una bordatura di azzurro per evitare che la croce bianca e il campo rosso dello scudo si potessero confondere con i colori analoghi della bande del vessillo. Va precisato che per l’impiego come bandiera di Stato e della Marina da guerra lo scudo dei Savoia doveva essere sormontato dalla corona reale.
Allora i colori della bandiera furono disposti in verticale con il verde vicino all’asta. Durante i moti del 1848-1849 il tricolore divenne il simbolo della riscossa nazionale, che attraversò tutta l’Italia.
La variante sabauda con aggiunta al centro dello stemma sabaudo orlato d’azzurro, distaccato dalle bande laterali con la punta inferiore a punta, sormontato dalla corona reale (foggia stabilita dal rd 25 marzo 1860) divenne tacitamente dal 17 marzo 1861 la bandiera del Regno d’Italia, fino al referendum del 2 giugno 1946, quando l’Italia divenne Repubblica e lo stemma sabaudo fu abolito.
La bandiera nazionale, poco alla volta, divenne così per tutti gli italiani un sacro simbolo, oggetto di venerazione e rispetto. La tendenza a conferire alla bandiera un carattere sacro ha profonde tradizioni in una nazione in larga parte cattolica come la nostra: «Il rito della benedizione della bandiera trova fondamento nell’antichissima concezione della sovranità di diritto divino» (Oreste Bovio, “Due secoli di tricolore” – Sme Ufficio storico, Roma 1996, pag. 89).
La prima normativa volta a disciplinare con legge i modelli della bandiera nazionale e della bandiera di Stato risale al 1923 (regio decreto legge 24 settembre 1923 n. 2072 convertito in legge 24 dicembre 1923 n. 2264). Dopo la nascita della Repubblica il decreto legislativo luogotenenziale del 19 giugno 1946 stabilì la foggia provvisoria del nuovo vessillo nazionale, approvata dall’Assemblea costituente il 22 marzo 1947 e inserita all’art. 12 della Costituzione.
Col dpr 29 giugno 1992 è stato approvato lo stendardo del presidente della Repubblica nella nuova foggia che si rifà, anche nella sua forma quadrata a fondo rosso, alla bandiera della Repubblica italiana del 1802-1805. Detto stendardo è la prima