Antonino Errante Parrino

Armi e forze di polizia: uso legittimo, sicurezza e maneggio

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Cenni normativi, tecnico-operativi e deontologici

Armi e forze di polizia: uso legittimo, sicurezza e maneggio

1. Premessa
Dopo i tragici fatti di cronaca di fine anno 2007 e inizio 2008 che tanta eco ebbero nei mass media e per i quali emerse l’esigenza di affrontare con maggiore attenzione la problematica relativa all’uso delle armi da fuoco da parte delle forze di polizia, molti operatori di polizia chiesero alla rivista, fra l’altro, di indicare e illustrare il quadro normativo del vigente ordinamento giuridico che consente un lecito impiego delle armi e dei mezzi di coazione fisica in dotazione.
Al riguardo, Poliziamoderna facendo riferimento alla circolare nel frattempo emanata in materia dal capo della Polizia, nel numero di marzo 2009 pubblicò nella rivista un inserto che riscosse un tangibile grande successo fra i lettori, testimoniato anche da quelli appartenenti alle altre forze di polizia.
Pertanto, anche per assecondare le numerose richieste pervenute di ristampa dell’inserto, si ritiene opportuno illustrare nuovamente, con alcuni punti di novità, gli aspetti salienti di questa sempre attuale problematica, la cui trattazione dovrà essere costantemente proposta all’attenzione degli operatori delle forze di polizia, sia nei momenti di formazione e aggiornamento nella fase iniziale dell’addestramento presso gli Istituti d’istruzione, quale elemento importante per il raggiungimento di un completo bagaglio professionale individuale, sia in un adeguato spazio permanente nell’ambito del periodico aggiornamento professionale, da effettuare nelle sedi delle strutture e articolazioni operative degli uffici e reparti di appartenenza.
È noto che le armi in genere, e in particolare quelle da sparo e da fuoco, sono state inventate e costruite dall’uomo con il principale scopo di utilizzarle per fini bellici, di caccia, di polizia e sportivi.
Ogni arma da fuoco, sia corta che lunga, dotata di specifiche peculiarità tecniche proprie della classe e della tipologia di appartenenza, racchiude peculiari potenzialità offensive per l’incolumità umana che, se utilizzate in maniera superficiale e per fini illeciti, possono invariabilmente arrecare danni irreparabili alla sicurezza del singolo e della collettività.
Allo scopo di evitare ciò, la normativa vigente di settore ne disciplina in maniera categorica la vendita, l’acquisizione, la detenzione e l’uso , in particolare quelle da fuoco, prevedendo e attuando una serie di controlli preventivi e adempimenti imprescindibili per coloro che legittimamente le posseggono o le portano. Lo stato attuale della legislazione sulle armi appare oggettivamente complesso, per certi aspetti disarmonico, in quanto pensato ed emanato in tempi storici diversi, spesso sull’onda di situazioni di emergenza; si evidenzia che, al momento, manca una raccolta normativa organica che dia indirizzi chiari, univoci e razionali, ritenendo auspicabile la predisposizione da parte del legislatore di un testo unico delle armi.
Specifici divieti, controlli e prescrizioni sono previsti sia per le armi da guerra e tipo guerra (quelle a funzionamento automatico con spiccata potenzialità di offesa e in esclusiva dotazione alle forze armate e alle forze di polizia, definite dall’art. 1 della legge 18 aprile 1975, n. 110) che per le armi comuni (prevalentemente detenute e portate su autorizzazione dai cittadini, indicate dall’art. 2 della stessa legge).
La tipologia e le relative caratteristiche dell’armamento (individuale e di reparto) in dotazione al personale delle forze di polizia sono invece tratteggiate da specifiche disposizioni normative (ad esempio, per la Polizia di Stato, dal dpr 5 ottobre 1991, n. 359; per la Polizia Penitenziaria dal dpr 12 dicembre 1992, n. 551; per il Corpo Forestale dello Stato dal dpr 7 febbraio 1994, n. 210).
L’uso delle armi da fuoco può essere lecito o illecito, conforme o non alla destinazione originale dell’arma; inoltre, l’uso dell’arma può essere classificato in diversi modi, dal più semplice e innocuo, caratterizzato dal semplice porto sulla persona, al più pericoloso, come il suo utilizzo per minacciare o a quello più estremo, che si concretizza nel tentativo o nella realizzazione dello sparo per menomare o distruggere la vita umana.
Le problematiche connesse all’uso legittimo delle armi da fuoco da parte dei pubblici ufficiali in ragione della loro peculiare attività operativa, sono molteplici ed estremamente delicate. L’argomento è stato oggetto nel tempo di intenso studio e analisi di moltissimi autori; la varietà delle situazioni oggettive e soggettive che possono indurre all’uso effettivo delle armi da fuoco gli operatori delle forze di polizia , costituiscono il maggiore ostacolo per una trattazione esauriente ed univoca dell’argomento.
Ci limitiamo, pertanto, a delineare e commentare brevemente le più importanti disposizioni di legge che consentono l’utilizzo legittimo delle armi, sia per il privato che per l’operatore della sicurezza in genere, ovvero per i pubblici ufficiali, suggerendo nel contempo alcuni particolari atteggiamenti operativi pertinenti la tematica.
Altresì riteniamo utile premettere un breve cenno di ripasso sui concetti di reato e scriminante. Per reato si intende ogni fatto umano al quale si ricollega una sanzione penale, ovvero ogni fatto umano che aggredisce un bene giuridico meritevole di tutela da parte del legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali, sempre che la misura dell’aggressione sia tale da fare apparire inevitabile il ricorso alla sanzione penale, quando quelle non penali non siano sufficienti a garantire una efficace tutela.
Secondo la maggior parte della dottrina, il reato è composto dai seguenti elementi: il fatto tipico, che comprende il complesso degli elementi materiali del reato (condotta, evento, rapporto di causalità, che lega la prima al secondo ); l’antigiuridicità, cioè la contraddizione del fatto con la norma giuridica che lo prevede e lo incrimina; la colpevolezza, che è la volontà illecita che si atteggia nelle forme del dolo e della colpa. Il reato può configurarsi in vari modi (proprio, comune), manifestarsi in varie forme (consumato, tentato, circostanziato, concorso di reati, concorso di persone nel reato). Vi sono poi delle situazioni che escludono il reato, dette in generale scriminanti.
Per scriminanti, ovvero cause di giustificazione, ovvero cause oggettive di esclusione del reato, si intendono quelle particolari situazioni in presenza delle quali un fatto che altrimenti sarebbe da considerarsi reato, tale non è perché la legge lo consente, lo impone, lo tollera. L’art. 59 del cp stabilisce che le scriminanti sono sempre valutate a favore dell’agente anche se da questi non conosciute o per errore ritenute inesistenti, salvo che l’errore non sia dovuto a colpa , nel qual caso l’agente è ritenuto colpevole se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (scriminante putativa). Si parla, invece, di eccelso colposo quando l’agente travalica per colpa i limiti delle scriminanti fissati dalla legge, dall’ordine, dall’autorità o dalla necessità. Le scriminanti sono, nell’ordine, così come disciplinate dal cp ex artt. 50-54: il consenso dell’avente diritto, l’esercizio di un diritto o di un dovere, la legittima difesa. L’uso legittimo delle armi, lo stato di necessità. Si differenziano da esse le c.d. scusanti (o cause oggettive di esclusione del reato), ovvero quelle situazioni che fanno venire meno la colpevolezza (la forza maggiore, il costringimento fisico, il caso fortuito, l’errore sul fatto costituente reato).

2. Uso delle armi in situazioni di difesa legittima (art. 52 cp)
“Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui, contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Qualsiasi diritto può essere difeso legittimamente, anche con le armi nelle situazioni di estremo pericolo per la propria e l’altrui incolumità, ma deve sempre ricorrere il requisito della proporzione tra la forma di difesa adottata e l’offesa da respingere. Il fondamento di questa scriminante si rinviene nella prevalenza accordata dallo Stato all’interesse ingiustamente aggredito, che fa venire meno il danno sociale che giustifica l’intervento punitivo dello Stato. Rappresenta quindi un residuo di autotutela che l’ordinamento riconosce al cittadino nei soli casi in cui l’intervento dell’autorità non può essere tempestivo. Però, ove vi sia un pericolo attuale per il proprio diritto derivante da una aggressione ingiusta da parte di un terzo, il soggetto può reagire compiendo in danno dell’aggressore un’azione che normalmente costituisce reato, sempre che tale reazione sia assolutamente necessaria per salvare il diritto minacciato e sia proporzionale all’offesa.
L’aggressione deve pero avere i seguenti requisiti: 1) oggetto dell’offesa deve essere un diritto personale o patrimoniale; 2) l’offesa deve essere ingiusta, cioè contro il diritto; 3) il pericolo minacciato deve essere attuale, cioè incombente. Anche la reazione deve avere alcuni requisiti: 1) la necessita di difendersi, dunque l’esser posti innanzi all’alternativa di reagire od essere offeso: 2) la inevitabilità altrimenti del pericolo ( non si può invocare la scriminante da parte di chi sarebbe potuto darsi alla fuga, salvo il caso in cui questa ultima esponga a rischi maggiori; 3) la proporzionalità fra difesa e offesa.
Non potrà invocare la legittima difesa chi, ad esempio, spari per respingere l’aggressione portatagli a mano nuda da una persona quando sarebbe stato sufficiente al massimo per respingerla la semplice minaccia con l’arma.
Il legislatore ha profondamente innovato l’art. 52 del cp con la legge 13 febbraio 2006 n. 59 (Gu n. 51 del 2 marzo 2006), intitolata “Modifica all’art. 52 del cp in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio”, che ha aggiunto due nuovi commi alla norma citata disponendo che: “Nei casi previsti dall’articolo 614 cp (violazione di domicilio), primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a. la propria o altrui incolumità;
b. i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
In generale, quindi, con i due nuovi commi dell’art. 52 cp viene stabilito che quando ci si trova nel domicilio privato o nel proprio negozio o ufficio, si può fare uso delle armi, legittimamente detenute, o di altro mezzo idoneo, per difendere non solo l’incolumità delle persone, ma anche dei beni propri o altrui. L’uso delle armi, nelle citate situazioni, è possibile a condizione che il ladro o rapinatore non desista e che vi sia pericolo di aggressione.
Il legislatore, con tali ulteriori disposizioni, ha inteso rimarcare la prevalenza del diritto di difesa dell’incolumità e della proprietà rispetto alla tutela dell’aggressore da reazioni drastiche, quando i fatti avvengono nell’abitazione o all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
La nuova disposizione ha quindi introdotto una casistica che dovrà essere attentamente chiarita, così come dovranno essere chiariti in senso concreto i concetti di desistenza e di pericolo di aggressione. In dottrina e nelle sedi giudiziarie, al riguardo, sono già emersi diversi dibattiti, discussioni e difformità interpretative.
La Corte di Cassazione – sezione penale – con sentenza del 23 marzo 2007, n. 12466, ha precisato al riguardo che il comma 2 dell’articolo 52 del cp non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui (contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, oppure clandestinamente o con l’inganno), ma presuppone che vi sia un attacco, nell’ambiente domestico o lavorativo, alla propria o altrui incolumità (ci si riferisce ai beni rappresentati dalla vita e dall’integrità fisica), o quanto meno un concreto “pericolo di aggressione” (che deve essere intesa come probabilità generica di aggressione fisica, cioè all’integrità individuale della vittima).
Pur prescindendo dalla sussistenza della proporzione tra la reazione difensiva ed il pericolo di offesa all’incolumità individuale (che viene presunta dal comma 2 della norma in esame, se l’autotutela si esercita nei casi di cui all’art. 614 cp, oppure all’interno di ogni altro luogo ove venga svolta un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale), l’autotutela in ambito privato, pertanto, non può comunque configurarsi senza la presenza degli altri requisiti strutturali richiesti dal comma 1 dell’art. 52 cp, cioè pericolo attuale di offesa ingiusta, costrizione e necessità della difesa. Alla luce di ciò, affinché possa riconoscersi la sussistenza dell’esimente della legittima difesa in un luogo privato, si ritiene indispensabile che il pericolo di aggressione minacciato sia attuale e concreto.
In relazione al concetto di mancata desistenza, la norma vuole indicare che l’aggressore non deve avere abbandonato la situazione di pericolo attuale. L’offesa, quindi, deve essere imminente o perdurante. La specificazione “non vi sia desistenza” sembra che sia stata indicata nella norma allo scopo di non attribuire presunzione di proporzione quando, ad esempio, il ladro fugga senza refurtiva e nonostante ciò il proprietario lo colpisca. Se si valuta, quindi, tale situazione ai sensi dell’art. 52 cp, non sembrano sussistere i presupposti dell’esimente. Il presunto aggressore è già lontano, il pericolo non è incombente, manca l’offesa ingiusta e la reazione è priva di fondamento. Inoltre, è assente qualunque forma di proporzione tra difesa e offesa: nessun bene dell’agente è in pericolo, mentre sparare alle spalle è molto rischioso per la vita e l’integrità della persona in fuga. Secondo la giurisprudenza, in casi simili, la reazione dell’agente può risultare giustificata dalla legittima difesa fino a quando sia diretta alla rimozione dell’offesa , ovvero al recupero di beni eventualmente sottratti: in tutti gli altri casi, la fuga dell’aggressore esclude i presupposti dell’esimente.
Il requisito della mancata desistenza sembra circoscrivere temporalmente l’ambito di applicazione della legittima difesa: in

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01/12/2010