Annalisa Bucchieri, Antonella Fabiani, Anacleto Flori

Facciamo un po’ di polizia

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Preside, professori e studenti della IV e V dell’Istituto di Stato Rossellini di cinematografia e televisione raccontano a Poliziamoderna l’esperienza del calendario 2011

Facciamo un po’ di polizia

(50+1+3)x12=2011
Non vi scervellate a rifare i conti, l’equazione matematicamente è sbagliata ma simbolicamente esatta. Metti 50 ragazzi delle classi IV e V dell’Istituto “ Rossellini”, seguiti da due professori di tecnica fotografica e da una professoressa di laboratorio, ai quali una preside dal piglio passionario affida la realizzazione di un progetto “da professionisti”, commissionato dalla Polizia di Stato, aggiungi un po’ di poliziotti e poliziotte che per qualche ora hanno recitato su set fotografici, fai agitare per un mese e - voilà - avrai il calendario istituzionale 2011. Ebbene è successo, uno degli strumenti comunicativi per eccellenza, che entra nelle case, nei negozi, negli uffici per accompagnarci tutto l’anno è stato ideato e realizzato da ragazzi di 17, 18 e 19 anni. Una vera scommessa, anzi una sfida. «Una sfida sia per la scuola sia per gli stessi ragazzi, accettata da tutti e brillantemente superata soprattutto perché nessuno ha trascurato i propri impegni scolastici e la propria vita privata. Un lavoro che oltre a mettere in campo tutte le loro doti e capacità di fotografi li ha messi davanti alla loro capacità di essere professionisti». A parlare è la preside Maria Teresa Marano dell’Istituto di Stato per la cinematografia e la televisione “Roberto Rossellini” di Roma, che ha avuto il coraggio di accettare la committenza del calendario 2011 della Polizia di Stato. «Ho visto in loro una totale dedizione a questo progetto. Hanno lavorato dalla mattina alla sera andando ben oltre l’orario delle lezioni. Questo è incredibile se si pensa che in genere i ragazzi non vedono l’ora di scappare da scuola».
Si sono messi in gioco anche atteggiamenti e convinzioni nei confronti della polizia, un’istituzione “spinosa” verso cui molti, ragazzi nutrivano pregiudizi: «Però io sono convinta – continua la preside – che la conoscenza elimini il pregiudizio e così questa esperienza è diventata una tappa importante nel loro percorso formativo ed educativo. Questo è un concetto che ho ribadito al capo della Polizia, Antonio Manganelli, e cioè che i nostri studenti in questo mese hanno fatto educazione alla legalità molto di più e molto meglio di quanto facciano seguendo le lezioni di Cittadinanza e Costituzione».
Del valore formativo oltre che professionale di questa esperienza sono pienamente convinti anche i docenti Antonio Fiorenza, Riccardo Pieroni, Stefania Paniccia che hanno guidato le due classi nella ideazione e produzione del calendario. Sono loro a spiegarci il metodo di lavoro seguito, i criteri tecnici e semantici adottati, le difficoltà incontrate e l’importanza che ha avuto per i ragazzi affrontarle e risolverle. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Primo obiettivo didattico: far lavorare tutti
«La difficoltà principale è stata quella di lavorare con 50 teste che devono essere da una parte coordinate, ma dall’altra lasciate libere di esprimere dei pensieri. Infatti quando andiamo a fare un reportage in dieci dobbiamo fare attenzione che non facciano tutti la stessa fotografia. Quindi abbiamo elaborato delle strategie per farli operare in gruppo ma al contempo far emergere il loro modo di vedere e scattare. Rispetto a quello che ci eravamo preposti, l’obiettivo è stato centrato in pieno. Per noi è un gran risultato il fatto che persone che non avevano mai partecipato in modo attivo si siano buttate nella mischia e abbiano cominciato a impegnarsi. Tutti e 50 gli studenti hanno preso parte al lavoro».

Focus group sulle parole
«Dal punto di vista metodologico siamo partiti da tre giorni di riunioni in classe a scrivere sulla lavagna dalle parole non meditate ma spontanee, associate all’idea di polizia e poliziotti che avevano gli alunni. La parola è un grande strumento di sintesi ed è dalle parole trovate che sono nate le immagini iniziali. Attraverso un processo molto ricco di esperienze siamo arrivati alle immagini finali. In tutto questo percorso sono entrate in gioco le influenze esterne. Quindi, ciò che potevamo dire noi insegnanti, quelle che erano le richieste del committente (questo ha avuto maggior peso), la verifica a cui ognuno sottopone sé stesso per vedere se la cosa corrisponde alle aspettative di chi gli ha affidato il progetto».

Si passa all’azione sui set
«Dopo questa fase iniziale collettiva, si sono formati i gruppi che hanno lavorato ognuno al progetto del proprio mese scelto autonomamente. È interessante che alla fine hanno vinto i progetti in cui noi abbiamo interferito di meno. Cioè quelli dove c’erano i ragazzi più sicuri, più determinati che ci hanno allontanati dal set e ci hanno detto: “Adesso faccio come dico io“. Non è un caso che siano i gruppi autori delle foto andate in prima e ultima pagina del calendario (gennaio e dicembre)».

Disciplina e professionalità
Conclusa la fase “teorica” di preparazione e di suddivisione dei compiti, è tempo di mettersi all’opera, di lasciare finalmente spazio a cavalletti, obiettivi e macchine fotografiche. «Il lavoro di gruppo per noi non è una novità, siamo abituati a realizzare progetti comuni. Questa volta però era diverso. Non si trattava del solito compito in classe, ma di un lavoro impegnativo affidatoci da un committente vero, che ci ha dato un input di partenza, una scadenza ben precisa e che soprattutto nutriva una serie di aspettative che non potevamo disattendere. Per questo ci siamo sforzati di far capire ai ragazzi quanto fosse importante la puntualità e il rispetto dei tempi e degli appuntamenti, perché anche da queste cose si vede la professionalità di un fotografo. E non c’è pioggia né sciopero che ti possano fermare».

Il tris di foto
«Una volta terminati gli scatti in giro per la città e rientrati a scuola con tutto il bottino di immagini che immortalavano i concetti, le situazioni e i momenti già individuati, ai ragazzi si è posto il problema di come organizzare il materiale raccolto. In genere i fotografi amano esprimersi con un solo scatto: infatti, una fotografia deve riuscire, da sola, a riassumere un intero evento. In questo caso, abbiamo invece pensato che pubblicare un tris di immagini ci avrebbe permesso di ottenere un racconto fotografico più completo, ma anche di lasciare spazio a più autori all’interno di una stessa pagina. Così facendo abbiamo ottenuto un ulteriore arricchimento del lavoro perché ogni foto principale in sé è già un racconto che convive con altre due piccole foto foriere di altre informazioni aggiuntive, altri dettagli non sempre immediatamente consequenziali al racconto centrale. Ogni pagina, a sua volta, fa poi parte di un racconto più ampio che si sviluppa lungo i 12 mesi».

Bigliettini e frasi
«Quello dei post-it è il tassello che mancava al discorso del racconto fotografico. Poiché la foto può essere interpretata in tanti modi diversi, se noi l’associamo alle parole restringiamo il campo delle possibili interpretazioni. In qualche modo è una sorta di recupero, da parte di chi è abituato a lavorare sulle immagini, della parola come atto di definizione, come circoscrizione: con la frase metto un confine oltre il quale la tua interpretazione non può andare».

Fare “insieme”: un’esperienza con-divisa
«L’intera operazione si è rivelata in fondo una riflessione sul concetto di fotografia. Siamo abituati generalmente a pensare che la fotografia sia la rappresentazione di qualcosa che è esterno a noi. In questo lavoro invece c’è l’immagine come racconto di un’esperienza. Quindi nella foto ci siamo “noi che facciamo la foto”. Ciò nasceva dall’input dell’Ufficio relazioni esterne e cerimoniale, ovvero la parola “insieme”. E si è trasformato in un modus operandi: il calendario si è fatto “insieme”. Quindi, i ragazzi hanno scoperto le persone nei poliziotti che hanno collaborato sui set e, parimenti, i poliziotti hanno scoperto le persone che sono i ragazzi. Da un incontro tra persone, Insieme, appunto, è nato questo calendario.


GENNAIO
Astratta quanto stimolante, proprio perché non d’immediata comprensione. È proprio questa foto così osata quella che costringe più di tutte a riflettere. Lo facciamo in compagnia degli autori: Daniele, Enrico, Nicolas, mossi da una visione cinematografica: «Abbiamo voluto contraddire l’immaginario violento di Scarface e de Il Padrino, dove si glorificava il mafioso. Questa foto dice che la criminalità attacca lo Stato, mettendo in pericolo l’armonia del vivere civile. Il ragazzo che li osserva ha una scelta da fare: onorare il delinquente o stare dalla parte della legalità. L’inquadratura fa sì che chi guarda s’immedesimi nel ragazzo che sta in una posizione di mezzo, ancora in bilico tra i due, e partecipi della sua decisione». Un giovane che impugna un’arma, un altro giovane che deve decidere con chi stare. È un momento quello dei vent’anni in cui ci si sente più dall’altra parte della barricata, ribelli per “legge generazionale”? «Non la pensiamo così – specificano – piuttosto crediamo che i ragazzi hanno dei miti violenti, seguono più facilmente i modelli degli strafottenti, di idoli televisivi e hollywoodiani arroganti. Basta pensare alle felpe con i nomi di quelli della Banda della Magliana, che tanti di noi indossano, portati in auge dalla serie tv Romanzo criminale». Un attimo e la riflessione scivola sul bullismo, una forma di violenza giovanile molto vicina alla loro realtà quotidiana. «Noi siamo grandi ammiratori di Quentin Tarantino, ma rende talmente simpatici i suoi personaggi della malavita che la violenza sembra quasi positiva. Perciò spesso nelle scuole emergono i bulli e si diffonde la legge dei prepotenti a cui gli altri tributano un misto di rispetto e timore». Poi c’è la questione della pistola, piantata in mezzo all’immagine in modo esplicito, non certo per sensazionalismo né per ammirazione. «Ritengo che l’arma sia la compensazione dell’assenza di altruismo», dice Nicolas. La fissità del poliziotto contrasta con il viso trasfigurato del ragazzo che lo minaccia. «Nonostante la violenza l’uomo in divisa rimane impassibile – spiega Daniele – simboleggia la solidità delle istituzioni. Paradossalmente è proprio il ragazzo che ha in mano la pistola quello più fragile: impaurito, agitato. Il poliziotto è stato perfetto, sembrava una statua di sale: gli ho spiegato quello che volevamo e anche la tecnica compositiva che avremmo usato, a croce latina, cioè un collegamento a triangolazione tra i tre protagonisti». Questa foto è una storia di contraddizioni e ha una storia di contraddizioni («All’inizio avevamo due progetti – confidano – di cui uno più narrativo, ma il fatto che tutti ci davano addosso su questo quadro simbolico ci ha fatto intestardire ancora di più») ed è piena di interrogativi aperti, come il bigliettino abbinato recita chiaramente. Del resto è solo ponendosi delle domande scomode che si trovano risposte non banali.

FEBBRAIO
Sono tutti femminili i volti degli autori delle immagini di febbraio. In primo piano una bambina con un coloratissimo piumino in braccio a un poliziotto. Le foto più piccole svelano che è un pilota del Reparto volo. Il post-it in basso ne rivela tutto il significato: “Fuori in divisa, dentro papà”. A parlare un po’ per tutte di questa esperienza del calendario è Giorgia che ,rompendo il ghiaccio, dichiara subito tutto il suo entusiasmo verso il progetto in cui sono state coinvolte, nonostante la diffidenza iniziale presente in molte di loro verso la polizia. Ma il lavoro di gruppo, le riflessioni e il confronto sulle idee che sono venute fuori durante le riunioni sono servite «per prendere confidenza con questa istituzione, mettere alla prova le capacità professionali maturate negli anni di scuola e a lasciare in tutte loro un bagaglio che si porteranno dietro». Il metodo di lavoro seguito, infatti, è stato quello di riunirsi tutti insieme per far uscire più idee possibili sul tema da illustrare: «Con questa foto abbiamo scelto appositamente di rappresentare la parte umana del poliziotto – spiega Giorgia – anche la frase del post-it è stata il risultato di un lungo lavoro di confronto, di tante frasi che ognuno ha tirato fuori sulla polizia. Alla fine abbiamo scelto quella che meglio poteva spiegare il senso di quello che volevamo dire». «I ragazzi della polizia con cui abbiamo lavorato sul set sono stati gentili e disponibili – prosegue la ragazza – ci siamo rese conto che sono persone come noi al di là del lavoro che svolgono. Sul set si è creato un rapporto di complicità che ci ha permesso di vedere il loro lato umano, di scoprire soprattutto persone valide nel loro lavoro. Come me altri ragazzi della scuola hanno cambiato l’opinione negativa che avevano». «Questo penso che possa succedere un po’ a tutti quando ci si trova di fronte a persone o a situazioni che non si conoscono – osserva Simona, un’altra delle ragazze autrici delle foto – ma è importante non fermarsi ai pregiudizi e andare oltre».
E sicuramente ci sono riuscite tutte e cinque. Febbraio racconta nelle sue immagini che dietro la professionalità dei poliziotti “aviatori” esiste un mondo di affetti, una vita familiare.

MARZO
«Quando ci hanno proposto di partecipare alla realizzazione del calendario ci siamo chiesti come mai una istituzione grande come la polizia si rivolgesse a dei fotografi che ancora frequentano la scuola – racconta Gian Marco – ma poi abbiamo capito che era per capire la nostra visione della polizia in quanto giovani. L’idea ci è piaciuta e così abbiamo collaborato volentieri». Dario, Lorenzo e Gian Marco sono i tre ragazzi a cui è toccato “visualizzare” un tema scottante come quello della violenza sulle donne. Le tre foto mettono in scena tutto il dramma di un tentativo di aggressione fortunatamente sventato dall’intervento di una Volante: un muro scrostato da sfondo, il buio rischiarato da una luce violacea, i volti fortemente espressivi dei personaggi esprimono in modo sintetico l’intensità della scena. In veste di attore oltreché di ideatore della foto, Lorenzo (è lui, infatti, a impersonare l’aggressore che tenta la violenza sulla ragazza).
«È un problema a cui siamo sensibili quello della violenza sulle donne, anche se non conosciamo nessuna amica a cui sia capitato – osserva Dario – ma ricorre spesso sulle pagine dei giornali, e poi siamo fidanzati e quindi è una problematica su cui abbiamo già riflettuto».
Per tutti e tre questa esperienza è stata anche «una bella vetrina» dal punto di vista professionale che gli ha permesso di verificare e mettere a frutto tutto quello che hanno imparato negli anni trascorsi a scuola. La frase sul foglietto è stata il risultato di un lavoro collettivo di discussione di tutta la classe sul tema della violenza e quella scelta è sembrata a tutti la migliore.
«Con la polizia abbiamo lavorato bene – dichiara Gian Marco a nome di tutti – anche perché non avevamo nessuno tipo di pregiudizio particolare, ma è stato un incontro soprattutto professionale insufficiente ad approfondire la conoscenza, che non ci permette di dare un giudizio positivo o negativo sulla polizia».

APRILE
Una poliziotta in piedi scrive qualcosa, un altro in ginocchio traccia sull’asfalto con il gesso la sagoma di un uomo, per terra una moto rovesciata. In un’altra immagine un cellulare e poi accanto i due poliziotti mentre informano i familiari. Sono alcune delle fasi più delicate e difficili del lavoro della Stradale.
A realizzare le foto Giulia, Serena ed Elena. Anche a loro è parso strano che fosse stato chiesto a una scuola di partecipare al progetto del calendario della Polizia di Stato e non a fotografi professionisti. Una perplessità cui si aggiungeva qualche pregiudizio sui poliziotti che a loro sembravano «superiori e strafottenti». «Devo ammettere invece che ho trovato persone molto disponibili durante la lavorazione – osserva Elena – Questa esperienza è servita anche per ricredermi su alcune cose che pensavo. Serena invece pensa che il lavoro fatto insieme con i poliziotti non le abbia dato una maggiore possibilità di conoscere il mondo della polizia perché «lavorare è diverso dall’andare a mangiare una pizza insieme».
Sono soddisfatte del lavoro realizzato: “Volevamo fare delle belle foto e mi sembra che ci siamo riuscite – osserva di nuovo Elena – e questo anche grazie all’aiuto di un poliziotto della Stradale con cui ci siamo confrontate. La foto del cellulare e della notizia a casa ci è venuta perché lui ci ha parlato di questa esperienza per loro particolarmente traumatica. Ci ha poi spiegato i particolari tecnici del loro lavoro, del modo con cui si rileva un incidente” .
Riguardo al problema degli incidenti e dello sballo del sabato sera ognuna di loro esprime una opinione differente. Elena ha il patentino ma ha paura degli incidenti, non beve mai per timore di provocarne qualcuno; comunque è convinta che le regone non siano inutili ma servano solo per evitare ulteriori danni.”
Giulia, invece, pone l’accento sulla necessità di rispettare la libertà che il singolo può avere di conoscere i propri limiti, mentre Serena è più fatalista «perché una disgrazia può capitare non necessariamente il sabato sera ma in un giorno qualsiasi della settimana».
Per tutte e tre le ragazze la vita è «troppo breve per correrla».

MAGGIO
La situazione della foto è un po’ irreale perché è difficile che un bambino si trovi da solo tra gli spalti. Ma è proprio il bambino il punctum, il punto significativo dell’immagine, per dirla alla Roland Barthes. «Lo abbiamo scelto perché rappresenta l’innocenza che viene difesa dal poliziotto». Alessio, Lorenzo, Mattia, Alessio P. hanno ideato la scena, l’hanno diretta e fotografata. Ma sono anche parte in causa in quanto tifosi sfegatati. «Oggigiorno è meglio evitare di andare allo stadio con la famiglia. In un certo senso il bambino simboleggia il desiderio di vedere la partita senza paura». Purtroppo l’esperienza di finire in mezzo a uno scontro tra ultras e polizia a qualcuno dei ragazzi è capitata e ne hanno un brutto ricordo. «A volte succede che supporter di una parte si uniscono con quelli dell’altra parte per andare contro la polizia – dice Alessio P. – Rientra nell’abitudine andare contro il celerino o il caschetto blu, come li chiamiamo noi, pure con i cori da stadio. Penso ci siano dei pregiudizi da entrambe le parti, sia del tifoso verso il poliziotto che viceversa». Gli fa eco Mattia: «Anche loro vedono tutti i tifosi come pericolosi (ride). Secondo me la foto è venuta bene perché pur essendo una finzione erano calati nella parte così come l’espressione del bambino è autentica perché realmente con i fumogeni e il rumore si sentiva confuso». La soddisfazione per ciò che hanno realizzato è tangibile: «Ci siamo divertiti tantissimo, così come i nostri compagni di classe che hanno fatto i figuranti ultras, ma soprattutto quando vediamo la foto ci emozioniamo: è veramente suggestiva. Il fumogeno l’abbiamo voluto perché crea più caos, dà il senso del panico in genere. Anche la luce che entra da dietro contribuisce alla spettacolarità dell’effetto globale sulla foto. Sembra quasi una battaglia». L’incontro “ravvicinato” con i celerini che hanno recitato sul set non è stato disinvolto, soprattutto nelle prime battute, ma al termine si sono fermati a mostrar loro gli scatti sul visore della macchina digitale. «...(ridono) alla fin fine non sono tutti “infami”, c’è molta gente tra i poliziotti che fa bene il proprio lavoro, non perché a fine mese deve ritirare lo stipendio, ma perché crede nel lavoro che fa e vuole proteggere i cittadini». E il loro desiderio di godersi la partita di calcio in tranquillità.

GIUGNO
Ancora due ragazze le autrici delle foto di giugno. Jessica e Martina. A Jessica piace fare i ritratti in bianco e nero mentre Martina deve ancora trovare la sua strada. Entrambe amanti degli animali e vegetariane sono state contente di fotografare i cani del reparto cinofili della Polizia di Stato, sapere che molti di loro vengono prelevati dai canili e verificare che sono trattati molto bene. Quando hanno saputo della proposta del calendario entrambe hanno pensato che sarebbe stata una opportunità professionale e anche una forma di pubblicità per il loro lavoro. «Una esperienza positiva dal punto di vista fotografico – osserva Jessica – perché ci siamo dovute confrontare con una situazione in movimento, in azione».
L’immagine che apre il mese mette al centro un bel cane che bambini e adolescenti ricoprono di mille attenzioni, di seguito alcuni momenti dell’addestramento dei cani del reparto cinofili della Polizia di Stato.
Per Marina non è stato un problema lavorare in un progetto legato alla Polizia perché figlia di un vigile urbano: «Non ho nessun problema con le uniformi quindi è stata una cosa normale incontrare i poliziotti. Purtroppo non c’è stato molto tempo per conoscerli in modo approfondito perché abbiamo lavorato in poco tempo. Abbiamo scattato le foto in occasione di una dimostrazione, durante l’addestramento dei cani in una scuola elementare di Roma – continua la ragazza – Abbiamo seguito tutte le sequenze».
La frase scritta sul foglietto in fondo al mese è il risultato di un lavoro collettivo e nasce dall’aver visto quanto anche gli animali possano essere un aiuto per la sicurezza dei cittadini.

LUGLIO
«Ci piaceva l’idea di realizzare per questo mese una piccola foto-story – spiega Sabrina – di raccontare la realizzazione di un sogno da parte di un ragazzo come tanti: indossare un giorno la divisa da poliziotto. Una storia che inizia da Internet, dalla ricerca dei bandi di concorso fino al giorno della presentazione della domanda di arruolamento. è nell’immagine centrale, in cui il ragazzo varca il portone della Scuola di polizia che il sogno finalmente diventa realtà. Poi nell’ultima foto il ragazzo, ormai diventato un poliziotto, guarda soddisfatto la sua prima divisa». Quella immaginata da Sabrina,Eleonora e Nicole è soprattutto la storia di una scelta coraggiosa, che dimostra determinazione e voglia di non lasciarsi influenzare dal giudizio degli altri e dai pregiudizi che molti ragazzi hanno sulla polizia. «È inutile negare che qui in classe, all’inizio, c’era una certa diffidenza intorno al progetto del calendario – continua Sabrina – molti erano perplessi perché pensavano di dover lavorare con gente autoritaria, distante anni luce da noi e invece ci siamo trovati accanto a persone che si sono dimostrate disponibili in tutte le fasi di realizzazione delle riprese. Alla fine è stata una bella esperienza perché abbiamo imparato ad andare al di là dell’immagine stereotipata del poliziotto, cioè del celerino con il manganello in mano pronto a dare addosso agli studenti». Un’immagine violenta che nella maggior parte dei casi non corrisponde alla realtà. «Una realtà – riprendono le ragazze – che è sempre più complessa di come uno se la immagina; e solo partendo da questo presupposto è possibile capire che chi indossa una divisa è una persona come le altre, con i suoi difetti e i suoi pregi, che ci sono bravi e cattivi poliziotti. Ecco noi, con i nostri scatti e con la frase finale, abbiamo cercato di mostrare i lati positivi del loro mestiere concentrandoci su un aspetto che vorremmo diventasse una regola valida per tutti: la polizia è tante cose, ma soprattutto è qualcuno che ti aiuta quando ne hai bisogno».

AGOSTO
La droga ruba la vita e soprattutto la speranza ai ragazzi. Gli scatti di agosto sono drammatici però portano in sé la possibilità che qualcuno venga in tuo soccorso. Federica, Simona, Giorgia, Tiziana raccontano l’esperienza del set fotografico di quel giorno: «Era mattina e il tempo era brutto. Nel sottopasso c’erano anche dei graffiti che, secondo noi, rendevano l’atmosfera un po’ più tetra e degradata. Quando sono arrivati i poliziotti in moto prima di cominciare ad allestire la scena ci hanno spiegato cosa avviene quando devono intervenire in casi come questo. Noi ci abbiamo messo un po’ a decidere come dovevamo impostare il lavoro, poi quando abbiamo capito su cosa concentrarci gli abbiamo detto cosa ci serviva e loro hanno cercato di accontentarci il più possibile. Sono stati dei bravi attori! Ad esempio – aggiungono – il suggerimento di non usare i guanti in questo scatto è venuto da loro, poiché poteva dare un senso di distacco mentre così era come se avessero preso a cuore il ragazzo drogato, quasi lo conoscessero. Ci hanno mostrato che anche loro possono togliere il laccio dal braccio e la siringa dalle mani del malcapitato». La scena che le quattro studentesse hanno prima costruito e poi ritratto è purtroppo una visione che rientra nelle loro esperienze: «Sicuramente è una scena che abbiamo visto anche in prima persona più volte. Certo in prima battuta se dovesse capitare vicino alla scuola chiamerei un professore – dice Giorgia – perché c’è un po’ l’immedesimazione, è una cosa più vicina a noi. Se per strada invece incontriamo un uomo in queste condizioni la situazione potrebbe sicuramente un po’ spaventarmi. Alla fine, comunque, penso che queste persone vadano aiutate, basta in fondo una chiamata al 113». Rincara la richiesta d’impegno, invece, Simona: «Quello che chiedo come aiuto in più alla polizia non è tanto di soccorrere un ragazzo in overdose, quanto riuscire a incastrare chi vende la roba che distrugge la vita dei giovani e poi lavorare sulla vicinanza delle famiglie, nella maggior parte dei casi chi si buca non ha qualcuno in casa che lo sostenga».

SETTEMBRE
«Volevamo tratteggiare la figura di poliziotto come una realtà complessa fatta di impegni lavorativi, di conoscenze professionali ma anche di aspetti più strettamente personali. Da qui l’idea di seguirlo nell’arco di una giornata come tante, nei piccoli gesti di vita quotidiana, mentre si comporta come qualsiasi altra persona, per riuscire a coglierlo nell’attimo di un gesto “fuori ordinanza”. Per questo abbiamo scelto, tra tante, l’ immagine sorridente dell’incontro di un poliziotto (che potrebbe essere il nonno o uno zio, ndr) con un bambino fuori dalla scuola: un incontro in cui il poliziotto trasmette idealmente alle nuove generazioni il suo insegnamento, il valore della legalità ma anche il bagaglio delle sue esperienze». Martina, Cristina, Federica, e Naima raccontano in questo modo l’idea portante del mese di settembre, vale a dire il tentativo di concentrare la propria attenzione sugli aspetti umani del poliziotto, mettendo da parte l’iniziale diffidenza nei confronti di un’istituzione con la quale gli studenti hanno spesso un rapporto conflittuale. «Non a caso abbiamo scelto – spiega Martina – di partire dall’immagine che i bambini hanno della polizia. Quella dei poliziotti che vanno nelle scuole elementari e medie è una presenza importante: è proprio in questi momenti che i ragazzini imparano il rispetto delle regole e soprattutto degli altri». Poi i ragazzini crescono e allora arrivano i primi problemi: la comunicazione si fa difficile, il dialogo si interrompe e il rapporto bruscamente cambia. L’incontro si trasforma spesso in scontro. «Per me è altra storia – continua ancora Martina – rispetto ai miei compagni di scuola, il mio rapporto con la divisa è diverso, meno conflittuale. Il fatto è che io mi confronto tutti i giorni a casa mia con qualcuno che indossa la divisa, dal momento che mio padre è un poliziotto. Per questo spero che questa esperienza sia servita a far scoprire l’umanità di tanti poliziotti, anche se dal punto di vista generazionale e di ruolo sociale le differenze e i contrasti, inutile negarlo, sono destinati a restare tali».

OTTOBRE
Stalking, mobbing, sopraffazione psicologica e soprattutto botte. Sono tanti i modi con cui si esercita la violenza sulle donne. Un fenomeno preoccupante che ha trovato spazio nel calendario grazie alla sensibilità di Erika, Giulia e Pamela: una panchina nel parco e una coppia di ragazzi in una giornata di sole. Poi la mano di lui si alza minacciosa contro il volto di lei. L’immagine non lascia dubbi sulla brutalità del gesto. «Anche se per fortuna noi e le nostre compagne non abbiamo mai vissuto in prima persona una situazione del genere né siamo state testimoni di simili scene – spiega Erika – ci è sembrato giusto richiamare l’attenzione su un tema così delicato come quello dei maltrattamenti sulle donne. E l’intervento della poliziotta che blocca il braccio del ragazzo ha un duplice significato: da un lato sottolinea l’importanza della presenza della polizia nei parchi, dall’altro invita ognuno di noi a non restare indifferente. A volte, infatti, davanti a una coppia di ragazzi che litigano o che si picchiano si preferisce voltare lo sguardo da un’altra parte anche quando sarebbe meglio chiamare il 113». Su cosa fare in questi casi Giulia ha le idee ancora più chiare e battagliere della sua compagna di classe: «Chiamare la polizia è sempre la prima cosa da fare, ma davanti uno che prende a schiaffi una ragazza interverrei di persona; non ce la farei a stare con la mani in mano in attesa della volante». Di fronte a una eventuale richiesta di intervento della polizia le due compagne di scuola hanno posizioni molto diverse. «Io preferirei – afferma Giulia – che a difendermi fosse un uomo, un poliziotto: non so, ma credo in questi casi la prestanza fisica giochi un ruolo importante nel far sentire più sicura e protetta una ragazza che sta per essere aggredita o picchiata». «Io invece – aggiunge Erika – per una questione di solidarietà e di comune sensibilità tra donne mi sentirei più a mio agio se ad intervenire fosse una poliziotta. In ogni caso, come abbiamo scritto nel post-it in fondo alla pagina del calendario, l’importante è non subire in silenzio, mai».

NOVEMBRE
«Un calendario per la polizia? Quando l’abbiamo saputo a momenti ci prende un colpo. Ci siamo guardati in faccia e più o meno tutti abbiamo detto: cavolo, e adesso che facciamo? Certo sarebbe un bel progetto, ma lavorare assieme ai poliziotti…». Cristiano non usa metafore né si nasconde dietro le parole e con tutta la simpatica spudoratezza dei suoi 18 anni ci fa subito capire che parlare di Novembre, di come è nata l’idea della foto al bar non sarà affatto una passeggiata. «Una volta accettato l’incarico – racconta Cristiano – abbiamo messo insieme tutte le idee e le immagini, belle e brutte che ci venivano in mente alla parola polizia, per poi cercare di arrivare a un risultato che desse una risposta comunque positiva all’input ricevuto: “C’è più sicurezza insieme”. Non so se ci siamo riusciti; però lavorare assieme a tanti poliziotti ha portato sicuramente a un risultato positivo: la scoperta di persone disponibili che ci hanno ascoltato e che ci hanno fatto conoscere le difficoltà e i rischi del loro lavoro».
Sembrerebbe filare tutto liscio, ma ecco il primo intoppo. «Certo – continua Cristiano – questo non cancella il fatto che in giro ci sono anche poliziotti che si comportano in maniera davvero scorretta» . «Io infatti – rincara la dose Alessio – non è che poi alla fine ho cambiato idea nei confronti della polizia. Ero e resto diffidente. Ci saranno anche poliziotti che stanno davvero dalla parte dei cittadini, ma ce sono anche di quelli che si rivolgono a te in modo maleducato, solo perché magari porti l’orecchino». Tentiamo allora di riportare il discorso sul binario dell’esito artistico del calendario, dicendo che comunque, nonostante la diffidenza, la foto del mese è ben riuscita. La mossa sembra funzionare. «Inizialmente – riprende a raccontare Cristiano – avevamo pensato a una immagine che ritraesse una divisa e un abbigliamento da adolescente ripresi fianco a fianco ma separati, a simboleggiare vicinanza ma anche differenza. Poi invece, abbiamo deciso per uno scatto più soft, che andasse oltre la nostra interpretazione ed ecco allora l’idea del bar e delle ragazze accanto al poliziotto in un momento di break. L’unica cosa su cui abbiamo insistito è stato il gesto di togliere il berretto al poliziotto: in quel gesto c’è la voglia di mettere da parte uno dei simboli dell’autorità, di annullare le distanze e di stabilire un rapporto alla pari. Un modo per dire che è possibile prendere un caffè insieme senza doversi per forza scontrare o peggio ancora odiare. Credo che la foto lasci intravedere la possibilità di un incontro purché alla base ci sia sempre una reale correttezza». Sul piano del reciproco rispetto, Alessio e Cristiano hanno lanciato il loro guanto di sfida. Sta a noi raccoglierlo.

DICEMBRE
Tutto al femminile il mese di dicembre, sia per le “modelle” della foto che per le autrici, Erika, Giulia e Pamela. E in questa visione dell’altra metà del cielo la contrapposizione giovani e legalità della prima immagine del calendario (gennaio) si è trasformata in una vicinanza reale. «Inizialmente l’idea, pensata per essere la copertina del calendario, era quella di affiancare oggetti che di solito usano i giovani a quelli che utilizzano i poliziotti. Ma la rappresentazione grafica era anticata e il risultato finale un po’ arido, insomma non ci prendeva molto». Così le giovani fotografe hanno avuto un’altra idea: «Abbiamo pensato che mettendo una ragazza e una poliziotta vera si capisse meglio quello che volevamo rappresentare». Cioè che questi due mondi non sono poi così distanti. «Come noi un giorno avremo la loro l’età, loro hanno già avuto la nostra. Il senso era un po’ immedesimarsi in loro e far sì che loro s’immedesimassero in noi». Per la poliziotta che ha partecipato al set è stato così e confessa di essersi molto divertita. In fondo questa è stata un’occasione d’incontro anche per chi porta la divisa: ridurre la distanza che c’è con i ragazzi, cercare di capirli meglio. Perché certo loro non fanno sconti, la loro fiducia va conquistata. «Pur partendo da una visione non del tutto rosea della polizia abbiamo voluto mandare il messaggio di non fare di tutta l’erba un fascio. Le forze dell’ordine possono a volte sbagliare, anche intervenendo in situazioni totalmente inutili, però, altre volte, se non ci fossero loro sarebbe un bel guaio!». Erika per esempio racconta che il solo fatto di vedere una volante all’uscita della stazione della metropolitana vicino casa fino a sera tardi la fa sentire più sicura. Giulia ha un papà poliziotto, per cui con la divisa ha una certa familiarità.
Pure Pamela concorda che in una situazione di difficoltà, sia per strada che navigando in Internet, non esiterebbe a rivolgersi alla polizia per un aiuto. Per affrontare la vita quotidiana e la città, in fondo, come dice il post-it di dicembre, insieme è sempre meglio.

01/12/2010