Elisabetta Sabbatucci
Un talento Freddo
Tutti lo abbiamo amato nel ruolo del Freddo nella serie tv Romanzo criminale. Ora anche il grande schermo ci ha fatto conoscere Vinicio Marchioni con 20 sigarette, il docufilm sulla strage di Nassiriya premiato all’ultima Mostra del cinema di Venezia.
Se ti offrissero un ruolo da poliziotto ti piacerebbe impersonare di più uno della squadra mobile o uno della scientifica, tipo C.S.I.?
Sicuramente un poliziotto d’azione stile Serpico. In fondo il mestiere dell’investigatore è simile a quello dell’attore. Per interpretare un personaggio bisogna osservare come parla, come si veste, che ambiente frequenta. È come ricreare un identikit di qualcuno che non si conosce. Per interpretare il Freddo, ad esempio ho studiato tutto quello che era possibile su quegli anni e su quella banda di persone, come si vestivano, come si muovevano, come parlavano.
Michele Placido ti ha definito il miglior attore italiano emergente. Credi che oggi nel nostro cinema si stia verificando un ricambio generazionale?
Secondo me sì. Alcuni attori hanno capito che questo mestiere si fa perché si studia e si diventa professionisti. Parlo della generazione di Pierfrancesco Favino, di Kim Rossi Stuart, di Claudio Santamaria. Loro sono stati i primi a riportare il nostro mestiere a una qualità elevata dopo molti anni. In mezzo ci metto anche Elio Germano e Valerio Mastandrea. Siamo molti ma ci sono anche tantissime donne.
Nel processo di rivalorizzazione della professione di attore pensi che la palestra del teatro sia fondamentale?
Si, è una palestra incredibile. Ti insegna lo spirito di sacrificio, una grande disciplina e un tipo di concentrazione che ti permette di stare per dieci ore sul set.
Quindi a “istinto e tecnica”, la motivazione del premio ricevuto all’ultima Mostra del cinema di Venezia per 20 sigarette, possiamo aggiungere anche “talento e disciplina”?
Assolutamente sì. Se non ci sono questi elementi non vai da nessuna parte, in più bisogna saper interiorizzare.
Se non ti emozioni, non riesci a immedesimarti nel ruolo. Aver passato molto tempo sul set con Aureliano (il regista del film, nonché il protagonista nella realtà, ndr) mi ha procurato un forte coinvolgimento.
Inoltre, sapere che i familiari delle vittime avrebbero visto il film è stata una responsabilità enorme. Ho cercato di essere più onesto possibile, perché in un film che parla di persone che non ci sono più non te la cavi solo con una questione di tecnica.
C’è stata una figura professionale che ti ha ispirato nel tuo lavoro?
Una in particolare no. Ma è stata fondamentale l’esperienza alla scuola di perfezionamento con il maestro Luca Ronconi. Avere a che fare con un uomo di 74 anni che fa ancora questo lavoro con un entusiasmo e con una passione vera è impagabile.
Qual è la figura di poliziotto che più ti piace nel cinema italiano?
Montalbano, senza dubbio! Anche se uno dei poliziotti migliori, secondo me è Michele Placido ne La Piovra. È stato il primo uomo in divisa dal lato umano, che combatteva per degli ideali. Anche Vittorio Mezzogiorno, pure lui nel cast de La Piovra, è stato uno dei più grandi attori italiani, ma se ne è andato troppo presto...
A microfoni spenti, parlando del suo rapporto con la polizia, Vinicio si propone come testimonial di una campagna contro l’abuso di alcol, per la sicurezza stradale: «Avevo iniziato persino a scrivere un cortometraggio – ci racconta – Sono nella condizione di poter fare qualcosa, quello che dico io viene ascoltato e questo può essere sfruttato, nel bene, con estrema coscienza civile».