Loredana Lutta
Codici di autoregolamentazione per mediare tra libertà e privacy sul web
Per bilanciare tutti gli interessi in gioco sul web si tenta soprattutto la strada della promozione di codici di autoregolamentazione e della negoziazione di misure di prevenzione e controllo.
Craiglist, il popolare sito americano di inserzioni online, ribattezzato anche “l’angolo di strada virtuale più battuto dalla prostituzione”, ha deciso di accogliere le richieste di 40 attorney general e di dotarsi di dipendenti e tecnologia per vagliare gli annunci sessuali. I risultati di questi controlli sono finora stati modesti e per le associazioni che lottano contro il traffico di esseri umani e le forze di polizia il sito continua ad essere una delle principali piattaforme per lo sfruttamento di donne e bambini a fini sessuali. Da parte sua Craiglist, i cui profitti quest’anno dovrebbero aumentare di un quarto, si difende dalla responsabilità per quanto postato dai suoi utenti facendosi scudo col Communications Decency Act.
Ma la libertà di postare a piacimento ha fatto finire sotto tiro soprattutto i social network.
Negli Stati Uniti, una serie di abusi su minori e il caso della tredicenne Megan Meier, tormentata sul suo account Myspace fino al suicidio, hanno indotto il social network a intensificare le misure di sicurezza.
In Australia, lo scorso febbraio, il premier dello Stato del Queensland in una lettera pubblicata sui media del Paese ha chiesto collaborazione al fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, perché non si ripetessero episodi come quello delle pagine aperte in memoria di due bambine uccise su cui sono state riversate oscenità e pornografia.
Il caso di Ashleigh Hall – adolescente stuprata e uccisa da un adulto conosciuto su Facebook che si era spacciato per diciannovenne e aveva precedenti sessuali – ha fatto finire il social network sulle prime pagine dei giornali anche in Gran Bretagna: il Ceop (Child Exploitation and Online Protection Centre), l’agenzia di polizia britannica che si occupa di abusi sui minori, lo ha pubblicamente criticato per non aver attivato sulle sue pagine il “tasto d’allarme” attraverso il quale gli adolescenti possono segnalare pedofili e bulli online dai quali si sentono minacciati.