Annalisa Bucchieri
Ballo, dunque sogno
Dalla difficile gioventù vissuta in Russia al grande successo e all’amore trovato in Italia. Natalia Titova si racconta
Dietro il sorriso ammaliante della fata-maestra di Ballando con le stelle, Natalia Titova, colei che ha trasformato nel reality televisivo i ranocchi in principi azzurri innamorati, vedi il nuotatore Massimiliano Rosolino (suo attuale fidanzato), e i principi in ballerini, vedi Emanuele Filiberto (con il quale ha vinto la 5^ edizione del programma), c’è una professionista con la determinazione di un condottiero e la forza di un lottatore. La Titova ha iniziato a ballare a Mosca, sua città natale, quando aveva 4 anni, nonostante i medici avessero sconsigliato ai suoi genitori quella pratica così impegnativa per una bambina cagionevole di salute. Ma lei, testa dura e volontà ferma fin da piccola, non ha mai voluto rinunciare al suo sogno in punta di piedi. Chi ha avuto modo di vederla esibirsi dal vivo al Teatro Verdi di Trieste a settembre scorso, durante le celebrazioni di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia di Stato (nella foto a pag. 36), sa che quel sogno è riuscita a coronarlo appieno.
Poliziamoderna ha incontrato Natalia Titova proprio a ridosso della tournée teatrale in coppia con Samuele Peron, che la porterà da fine aprile in tutta Italia partendo da Fermo e toccando i festival estivi più significativi.
È in uscita un suo libro autobiografico. Perché raccontarsi, in fondo lei è giovane… quale messaggio le premeva lasciare?
Il mio libro è un grido di sofferenza per i ragazzi italiani che non sanno cosa vogliono fare o non ci provano neanche, ma si bloccano prima di affrontare le difficoltà. Da un anno e mezzo ho smesso di insegnare agonismo perché soffro nel vedere i giovani allievi poco motivati. Vivono in una società nella quale hanno tutto, ma manca loro la grinta e la voglia di sognare. Per loro funzionano più gli stereotipi, cioè volere essere uguali al modello, che i miti positivi, voler diventare bravi come il proprio modello. Non c’è la voglia di scoprirsi, bensì di somigliare. Spero che la mia storia possa far riflettere e stimoli all’impegno verso i propri obiettivi. Io non avevo niente e ho lottato per raggiungere il massimo. Mi sono addirittura industriata a disegnarmi i vestiti da gara con quel poco che c’era a disposizione in Russia. E ancora oggi mi disegno i costumi di scena.
La fama e il successo sono arrivati con il reality condotto da Milly Carlucci, al quale lei ha partecipato fin dalla prima edizione nel 2005. Com’era la vita di Natalia Titova quando ballava “senza stelle”?
È stata caratterizzata dall’agonismo, 25 anni consecutivi di gare di ballo, iniziate in Russia giovanissima e continuate in Italia, dove sono arrivata dodici anni fa, contattata dalla Federazione nazionale danza sportiva per fare coppia con un ballerino italiano, Simone Di Pasquale. Con lui abbiamo girato il mondo per le competizioni internazionali, raccogliendo vittorie e soddisfazioni, e abbiamo anche aperto una scuola. Ci allenavamo ogni giorno, senza soste; una volta al mese andavamo in Inghilterra per fare lezione con le più brave insegnanti. Insomma prima del programma esisteva solo il modo agonistico di vivere la danza, per cui quando mi proposero Ballando con le stelle all’inizio rifiutai, mi sembrava una versione troppo “leggera” del mio lavoro. Accettai solo di accompagnare Simone per aiutarlo nelle prove dello spettacolo. Milly Carlucci ha penato per convincermi, ma dalla prima edizione io sono stata al suo fianco. Da allora la mia vita è cambiata.
Nei blog come nei forum dedicati alla danza si leggono frasi di ammirazione nei suoi confronti per la perfezione dei movimenti, la grazia e la bellezza: quanto lavoro e spirito di sacrificio sono necessari per questo risultato?
Sono nata a Mosca in un periodo molto difficile, era proibito entrare e uscire dal Paese, vivevamo in una chiusura mentale totale come in una sorta di Truman Show (film con Jim Carrey, ndr); in un certo senso contenti perché non vedevamo niente oltre confine. Le donne erano mortificate nella loro femminilità: non dovevano essere appariscenti, niente trucco, capelli sciolti, gioielli, sarebbero state etichettate volgari e fra l’altro neanche c’era la possibilità di comprare queste cose. Quando qualcuno portava un ombretto a quattro colori dalla Polonia era festa. La prima donna occidentale che vidi fu Romina Power insieme ad Al Bano a un concerto al Bolshoi, ne rimasi sconvolta: allora esistevano bei vestiti da sera, acconciature e scarpe brillanti! Desiderai fin da allora esser più bella, più donna, diversa dall’omologazione a cui mi costringeva il mio Paese. Le russe, infatti, sono rinomate per il loro fascino che non è un regalo di natura, bensì frutto di applicazione e controreazione alla penuria provata per molto tempo. Ho sentito la spinta a studiare come diventare desiderabile, raffinata; ho frequentato corsi di portamento, di cura della persona, di modi di seduzione. E ho preso a modello sempre le donne affascinanti non quelle belle.
Perché la ricerca del fascino è fondamentale nella sua professione?
È importante per il fatto che nel ballo che io pratico siamo in coppia e quindi non interpretiamo, faccio il caso della danza sia classica che moderna, una farfalla o il vento o un qualsiasi elemento bensì dobbiamo esprimere il carattere dell’uomo e della donna; lavoriamo per perfezionare la nostra identità femminile e maschile. Il ballo in coppia mi ha portato ad approfondire il comportamento, lo sguardo, l’atteggiamento dell’essere donna, ho scoperto il mio corpo e la mia sensualità. La maestra più importante che ho avuto negli ultimi 5 anni, una norvegese, mi riprendeva sempre perché diceva che i gesti e le movenze non devono essere artefatti ma partire da dentro. Non serve imparare solo la tecnica ma cambiare se stessi, lavorare interiormente per tirar fuori la propria unicità.
Spesso il suo nome è associato allo sport, non solo per questioni sentimentali ma anche per sua attitudine personale, così come per motivi professionali (si è esibita al Peroni Village del Sei nazioni). Si sente vicina all’agonismo sportivo?
Sicuramente. Lo sport è un modo di affrontare l’esistenza, c’entra nella danza come nello studio delle lettere, come nel computer. Sport significa disciplina, impegno per un obiettivo, sai che “devi” allenarti sempre anche se non ti senti. Sport è fare sacrifici, cadere ma rialzarti e, dopo aver perso, impegnarti per vincere la prossima volta. Grazie a mio papà ho acquisito una giusta mentalità competitiva e un sano agonismo: è il percorso che importa, non la vittoria.
Esiste un problema doping anche nel ballo?
Sì. Adesso, infatti, anche nella danza sportiva, prima delle gare i partecipanti sono sottoposti ai controlli antidoping. In un giorno si arrivano a fare anche 35-40 balli, quindi un impegno fisico notevole (ogni turno di selezione sono 5 balli nel latinoamericano). Molti si prendono cose per “tirarsi su”, ma il fisico non è abituato, perché magari in allenamento si assumono integratori normali; così in gara questi “aiuti”, persino quelli banali, come il mix di caffè e taurina, diventano controproducenti perché elettrizzano e basta.
La diverte di più un passo doble o una rumba?
Veramente mi diverto in tutti i balli, grazie alla perfetta sintonia con il mio partner Samuele Peron. Una volta in un tango gli ho strappato la camicia. Durante un jive lui in un gesto di esuberanza mi ha dato una testata sullo zigomo… ci facciamo trascinare ogni volta nel mood del ballo, la rumba è un sognare ad occhi aperti, il valzer abbandonarsi al romanticismo… Forse è per questo che riusciva così bene con Emanuele Filiberto, un vero principe nei modi. Noi ballerini professionisti abbiamo tutto dentro e nel momento giusto sappiamo tirarlo fuori.
In automobile procede tranquilla come in un valzer o va veloce stile rock’n’roll?
In Italia guido da un anno e mezzo. Nel ballo siamo abituati ad essere dinamici, reattivi e veloci pur mantenendo il controllo per evitare di urtare le altre coppie in sala. Per cui posso dire di essere attenta, ma non vado piano. La mia patente non ha macchie, del resto è russa, quindi non ci sono i punti da togliere…
Natalia fa rima con Italia, cosa ama e cosa invece non ama di questo Paese?
Non mi piace l’indolenza della gente, la tendenza a farsi trasportare dal flusso degli eventi senza forza di volontà. Quello che amo molto, invece, è che qui è sempre festa, c’è desiderio di ridere e godersi la vita. E poi pizza e spaghetti dove li mettiamo? In vacanza sto più attenta a mangiare rispetto a quando sono in piena attività. Visto che da 4 anni non faccio più agonismo mi limito di più soprattutto per la pasta, ma la pizza è un appuntamento frequente.
Ha potuto constatare un aumento di iscrizioni alle scuole di ballo sull’onda di Ballando con le stelle?
C’è stato sempre grande interesse per la danza sportiva, le gare attirano ogni anno migliaia di persone, però finora era stato un mondo a parte, poco popolare. Adesso invece il programma ha aperto le porte al grande pubblico. Ha aiutato persone che non avevano mai ballato e che pensavano che fosse ormai troppo tardi a credere che l’età non è un limite invalicabile. Vedere che donne e uomini di 50 e 60 anni vengono al reality e in tre mesi imparano a ballare dà speranza di riuscita a tutti.