Antonella Fabiani

Ascoltare la Rete

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Territorio di sperimentazione di nuovi linguaggi e relazioni umane, gli esperti spiegano le abitudini del popolo dei socialnetwork

Paradiso per alcuni, luogo pieno di ombre per altri. La Rete continua a far parlare di sé sollevando polemiche che dividono l’opinione pubblica tra favorevoli e contrari. A scatenarle la recente sentenza di condanna del Tribunale di Milano contro tre dirigenti di Google per non aver impedito l’inserimento di un video che ritraeva atti di bullismo su un bambino down.
E se a prendere le difese di Internet sono stati alcuni interventi come quello del presidente della Camera, in un recente convegno a Montecitorio, che ha considerato Internet strumento di pace «in grado di far incontrare le persone in qualsiasi parte del mondo creando così un antidoto contro la violenza», come pure quello di uno dei massimi studiosi di tecnologie digitali, Derrick de Kerckhove, che ha lanciato l’allarme «contro chi vorrebbe imporre controlli sul Web», rimangono ancora sospesi molti dubbi e interrogativi sui pericoli.
Interrogativi che vanno a toccare temi come la libertà, la democrazia, i diritti di espressione del “popolo” che percorre abitualmente le autostrade informatiche che rimbalzano nell’opinione pubblica “virtuale” e “reale” coinvolgendo le riflessioni degli esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni in generale. Perché ormai il Web è una dimensione che non si può ignorare. Perché da qui passa il modo di comunicare e di relazionarsi di molte persone, da qui passano anche le differenze generazionali rispetto alla cultura digitale. Ben 14 milioni di italiani con un profilo dentro Facebook rivelano la crescita esponenziale (135% rispetto alla sua nascita nel 2004) che ha avuto nel nostro Paese il più famoso socialnetwork del mondo. Milioni di utenti presenti con i loro gusti, i loro nomi che mantengono e costruiscono le relazioni in un territorio virtuale ormai diventato un vero e proprio fenomeno di massa: «La comunicazione in Rete aumenta i gradi di libertà della conversazione delle persone – osserva Giovanni Boccia Artieri, docente di Scienza delle comunicazione all’Università degli Studi di Urbino, esperto dei new media – e questo fa sì che non si abbia una reale percezione della propria esposizione, con la sensazione di un abbassamento dei controlli sociali e un basso rischio di conseguenze legali. In pratica si è indotti a credere che quello che si compie nel Web abbia scarse conseguenze per la propria vita sociale reale. Questo fa aumentare il livello di disinibizione nella comunicazione e le persone tendono a esprimersi in modi più diretti, emotivi e spesso sopra le righe».
Senza contare che cresce la possibilità da parte degli utenti di produrre molto facilmente i contenuti (per esempio la ripresa video con un semplice cellulare) e distribuirli attraverso le piattaforme di socialnetworking come Youtube dove possono essere visti da moltissime persone. Questo crea una sovraesposizione che ha determinato un mutamento dei concetti di pubblico e privato nella nostra società.
«Non siamo ancora in grado di utilizzare questo livello di sovraesposizione – spiega il sociologo – Il fatto è che in Rete non si ha l’esatta percezione di quanto sia elevata l’esposizione in pubblico, e questo riguarda sia gli adulti sia gli adolescenti. Anche se i ragazzi hanno una considerazione degli ambienti come Myspace o Facebook diversa rispetto agli adulti. Per i giovani hanno la stessa intimità della loro cameretta, per cui può accadere che mettano nel loro profilo informazioni che decontestualizzate possono apparire ad un adulto eccessive o trasgressive».
«Il punto è che la Rete non è un luogo “diverso” dalla vita reale – continua l’esperto – e quindi si ritrovano forme ed eccessi in eguale modo. Razzismi e stupidità come solidarietà e genialità. Spesso dietro ai comportamenti devianti ci sono, appunto, deviazioni non necessariamente dovute al mezzo: se uno ha disturbi comportamentali, ad esempio, li avrà in tutti gli ambienti che frequenta. Se un ragazzo con problemi utilizza un socialnetwork per farsi notare non significa che su questo ci sia violenza. C’è violenza come c’è nella vita reale. Credo che occorra esaminare caso per caso e non mettere sotto accusa l’intera Rete. È invece importante sottolineare il fatto che l’indignazione e la nascita di gruppi di denuncia contro quello del tiro al bersaglio contro i down siano partiti da altri gruppi interni a Facebook: questo significa che è un ambiente simile ad un ecosistema capace di riequilibrare gli squilibri».
Una “comunità virtuale”, quindi, sempre più vicina negli atteggiamenti e nei comportamenti a quella reale con gli stessi rischi di emulazione dei comportamenti negativi. Ma eliminarli significherebbe chiudere la Rete con la conseguenza di chiudere moltissimi canali di comunicazione. Quello che c’è in gioco ora nel Web è un equilibrio molto delicato tra il diritto alla privacy da una parte e alla libertà di parola dall’altra: «Non dimentichiamo che stiamo parlando di uno spazio che produce da solo gli anticorpi – osserva Altieri – in cui c’è sempre qualcuno pronto a segnalare chi ha comportamenti scorretti e a “bannarlo” (ovvero eliminarlo) dal gruppo. Quindi se questo ambiente crea un gruppo contrario alla morale o alla sensibilità di qualcuno è possibile sia segnalarlo all’interno della Rete sia creare dei gruppi contro questo gruppo. Poi ci sono le vie legali: posso denunciarlo alla magistratura come semplice cittadino».
«Da questo punto di vista la sentenza della magistratura italiana verso i dirigenti di Google rischia di creare un precedente pericoloso nel campo dei diritti civili – osserva il sociologo – Penso che la responsabilità iniziale dei contenuti spetti all’utente e sanzionare preventivamente o impedire di caricare, distribuire i video significa bloccare la pulsione sociale a produrre contenuti e metterli in Rete».
In realtà i meccanismi della Rete sfuggono ancora al completo controllo di chi li utilizza, di conseguenza possono crearsi situazioni valutabili in modo differente. Se il filmato in cui c’è il bambino down picchiato viene tolto dalla Rete, probabilmente nessuno lo replicherà; invece, nel caso di un video cinese di denuncia di maltrattamenti inserito su Youtube, visto da milioni di persone, anche nel caso fosse tolto, potrebbe essere ripescato e rivisto e costituire una prova di denuncia di lesione dei diritti umani. Così, se è vero che c’è chi inneggia alla mafia o partecipa a un videogioco in cui la prova consiste nell’impedire ai clandestini di arrivare sulle spiagge italiane e farli “morire” in mare, è anche vero che questi utenti sono presenti con nome e cognome su Facebook, quindi sono rintracciabili per verificare se si tratta di gioco o di qualcosa di sanzionabile.
Strade e percorsi diversi che attraversano un medesimo “luogo virtuale” ancora da esplorare, in cui le parole prendono un significato diverso rispetto alla vita reale. Chi sta dentro e chi fuori la Rete dovrà imparare ad approcciare questa nuova dimensione perché cambiano i parametri del rapporto tra “pubblico” e “privato”. Ma le frontiere dei nuovi media possono fare da cartina di tornasole su come il nostro Paese “sente” alcuni temi: se nella vita reale discussioni su temi sociali o politici possono non oltrepassare il luogo dove si svolgono, nella Rete prendono vita e si amplificano, possono raccogliere adesioni o indignazione, possono creare nuovi gruppi e rimbalzare e arricchirsi delle opinioni degli utenti.
Il Web può essere un luogo di riflessione su tematiche sociali, politiche, ambientali, dove si sperimentano nuovi linguaggi, dove si confrontano generazioni diverse, dove cambia il modo di relazionarsi con gli altri; può diventare lo specchio del Paese in cui viviamo nei suoi aspetti positivi e negativi. Una sorta di ecosistema virtuale provvisto di anticorpi contro possibili “dissonanze”, ma i cui residenti da più tempo possono aiutare i “nuovi” a fare la giusta esperienza. Spazio, ormai sempre più vicino alla vita, dove ci può essere anche violenza e stupidità, seppure virtuali, che diventano il prezzo della libertà e della democrazia anche in Rete.


Un amore diverso
di Eugenio Finardi

Appena ho saputo del gruppo su Facebook contro i bambini down ho provato orrore pensando ad Elettra, mia figlia di 27 anni che è una persona disabile. Ma poi ho pensato che sicuramente l’autore era una persona che stava in una condizione peggiore di mia figlia. E questa intuizione è stata poi confermata dal risultato delle indagini della polizia: infatti si trattava di un ragazzo psicolabile con problemi di inserimento. Ho provato pietà per quella persona, pur non ammettendo quello che ha fatto non riesco a provare rabbia, ma pietà e comprensione.
Da questo punto di vista penso che la Rete abbia una funzione positiva perché permette a questi malesseri, che sono il segnale di un malessere più generale, di emergere. Scoprire un ragazzo con problemi psicologici che probabilmente ha bisogno di aiuto, permette di sminare e di curare situazione incancrenite che magari potevano sfociare nella realtà in una aggressione a una persona down. Credo che la violenza in Internet rispecchi la violenza che esiste nella nostra società: è un po’ come la musica che può essere usata per esprimere i sentimenti più spirituali o carnali dell’uomo. E per fortuna quello che avviene di negativo nel Web rimane, consentendo alle forze dell’ordine in molti casi di poterlo rintracciare. Da questo punto di vista penso che la condanna dei tre dirigenti di Google sia un attacco alla libertà di espressione, che in questo modo può condurre a seppellire certi disagi in forme di aggregazione più sotterranee.
Il fatto che sia partito dalla stessa Rete il movimento di protesta è il segnale che esiste una coscienza in questo spazio, forse una delle ultime coscienze rimaste nella nostra società. Poi, da un punto di vista umano penso che molte persone con diversi tipi di handicap siano abbandonate a se stesse: e penso al ragazzo cingalese che ha aperto il gruppo contro i down come al signore che ha aggredito Berlusconi. Sono i segnali di una società ad alta tensione dove c’è molta rabbia nell’aria, che conduce le persone con problemi psicologici e senza la capacità di elaborarli, a vivere con angoscia e a scaricare la propria ansia in atti che potrebbero essere evitati se qualcuno si accorgesse di loro. Purtroppo oggi tutto viene delegato alla polizia che dovrebbe essere invece l’ultima risorsa. Oggi si guarda solo l’apparenza delle persone, la loro ricchezza materiale e invece andrebbe accesa l’attenzione verso il loro stato d’animo, verso il loro spirito.
Sicuramente essere un artista ha arricchito il rapporto con mia figlia. Perché essere artista consiste essenzialmente nell’addestrare i propri “sensori”, quei sensori che aiutano a mantenere viva la capacità di stupirsi, di commuoversi e indignarsi. Aiuta a mantenere puro il cuore in modo da sintetizzare le emozioni e poterle trasmettere agli altri. Io ed Elettra abbiamo un rapporto molto profondo, molto di pelle: sento la sua gioia e i suoi malesseri allo stesso modo. Elettra è stata l’esperienza più forte della mia vita che prima della sua nascita era fatta di rock’n’roll, concerti e bevute: lei mi ha costretto ad approfondirmi, a crescere, ad aumentarmi. In realtà è stata lei ha creare quello che io sono oggi, ad avermi fatto confrontare con delle situazioni che mi hanno condotto a una crescita umana e morale più importante.

01/04/2010