Giulia Soi

Prevenire con il dialogo

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Intensa l’attività di contrasto degli operatori della polizia postale grazie a un continuo monitoraggio della Rete e alla collaborazione con i responsabili dei Portali

Cercare di far luce sulla controversa questione dei contenuti del World wide web è un’operazione difficile, complessa quanto necessaria. In assenza di una legislazione ben definita e di vincoli prestabiliti dal sistema, bisogna individuare efficaci strategie da applicare tempestivamente, che siano volte tanto a prevenire quanto a curare. Per capire se già esistano e quali siano, ci siamo rivolti al direttore del Servizio polizia postale e delle comunicazioni Antonio Apruzzese.
La delicatezza dell’argomento appare evidente, soprattutto dopo gli ultimi eventi relativi a varie altre forme di violenza online, e richiede una costante applicazione di tecnologie e policy di contrasto, per evitare la pubblicazione di contenuti deprecabili di ogni sorta.
Secondo Antonio Apruzzese, a livello preventivo le operazioni possibili si restringono a un mero, anche se continuo e costante, lavoro di monitoraggio precoce della Rete. Per coadiuvare tale controllo, inoltre, sarà sicuramente utile il codice di autoregolamentazione proposto e promosso dal ministro dell’Interno Maroni, al fine di disciplinare i rapporti tra i vari operatori del Web.
Internet è infatti un mondo con dei propri codici di condotta, la cosiddetta “netiquette”, e delle autonome reti sociali, i tanto amati o criticati socialnetwork. Si tratta di un pianeta che si evolve molto in fretta, creando spesso un considerevole gap tecnologico tra gli utenti che sono abituati a viverlo, quelli che vengono definiti i “nativi digitali”, ovvero i giovani, e quelli che invece non lo frequentano poi così spesso, cioè gli “immigranti digitali”, ovvero per lo più gli adulti.
La competizione tra le due “popolazioni” è ovviamente improponibile: chi naviga saltuariamente nel Web non potrà mai raggiungere la competenza tecnica di chi ci è cresciuto e ci vive a tempo pieno.
Per questo, secondo il direttore della polizia postale, è necessario un continuo dialogo tra i due mondi, una condivisione di linguaggi e contenuti che possa chiarire la reale ed effettiva valenza dei messaggi veicolati e che stabilisca una collaborazione biunivoca. Solo così si potranno finalmente evitare certi messaggi e certe manifestazioni deprecabili e condannabili.
Al di là dei possibili scenari futuri, comunque, un intervento urgente è d’obbligo visto che i fatti di cronaca recenti hanno rivelato realtà eclatanti, che – dalle minacce gravi all’istigazione – per la giustizia italiana possono essere definiti “reati pesanti”. Rimane indiscutibile il ruolo della polizia postale nella ricerca degli autori dei messaggi che violano le leggi pubblicati in Rete e nell’eventuale rimozione degli stessi.
La missione non è semplice, spiega Antonio Apruzzese, perché la quasi totalità dei server dei siti coinvolti in questi casi (socialnetwork e portali del calibro di Facebook e Youtube) si trova in territorio statunitense. Inevitabilmente, dunque, l’azione della polizia postale finisce per coinvolgere anche le forze dell’ordine americane e la giurisdizione delle varie contee.
Il più notevole ostacolo di questo coinvolgimento sta nella differente concezione giuridica che vige nei vari Paesi: il diritto anglosassone, infatti, non contempla l’esistenza dei reati di opinione oppure di istigazione alla violenza e questo complica drasticamente la collaborazione fra i canali giudiziari internazionali. Si tratterebbe infatti di percorrere il sentiero rigido e formale della cooperazione tra forze dell’ordine internazionali ma, a causa della estrema diversità dei sistemi giuridici, ciò porterebbe a procedure assai complesse, con tempi molto lunghi e un esito pericolosamente incerto.
Per ovviare a questo rischio, si è scelto di stabilire un contatto diretto con i responsabili dei portali stessi che – in linea con i codici e le consuetudini della Rete – hanno accettato di buon grado la collaborazione. Tale collegamento permette un intervento immediato, che va oltre tutte le difficoltà giuridiche formali. Sarebbe infatti impossibile applicare un’attività di repressione vera e propria, o richiedere l’oscuramento totale di un canale di comunicazione diffuso a livello globale, per la pubblicazione di singoli contenuti relativi ad una singola nazione. Metaforicamente parlando, sarebbe come pretendere la chiusura di tutte le edicole del mondo a causa della pubblicazione di un solo articolo sotto accusa all’interno di una sola testata.
La strategia adottata dalla polizia postale è dunque simile a quella che normalmente viene usata nella lotta contro la pornografia e la pedopornografia: è stata creata una sorta di “black list” di tutti i siti a rischio, che è tenuta costantemente sotto controllo e aggiornata. Non appena viene rilevato all’interno di essa un contenuto contrario a principi etici o giuridici condivisi, o che possa costituire reato anche per un singolo Paese, esso viene segnalato ai responsabili della piattaforma multimediale che lo ospita. Immediatamente, questi si adoperano per bloccare l’articolo, il video o il gruppo individuato, per poi cancellarlo definitivamente dai propri canali.
Ad oggi, secondo Antonio Apruzzese, questa è la linea di intervento che ha riportato più successi. È un sentiero che si snoda quotidianamente, andando al di là di leggi e territori nazionali, avvalendosi di un dialogo e di una collaborazione costanti. Allo stato attuale delle cose, risulta il modo migliore per intervenire in maniera efficace nel complesso mondo di Internet: ne rispetta infatti i tempi, le regole e i linguaggi, ma contemporaneamente consente le procedure istituzionali e abbatte i tempi tecnici.
La collaborazione diretta tra forze dell’ordine e responsabili dei portali è risultato finora il modo più valido per ottenere successi significativi, come è recentemente accaduto nel caso del gruppo di Facebook intitolato “Giochiamo al tiro al bersaglio con i bambini down”, che è stato tempestivamente oscurato: il creatore è stato individuato nei pressi di Roma e denunciato.

01/04/2010