Roberta Cacalloro

Cinquant’anni di polizia “al femminile”

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Il Corpo di polizia femminile, istituito in seno all’Amministrazione della pubblica sicurezza, per il miglior espletamento dei propri compiti d’istituto, nasce a seguito della legge n. 1083 del 7 dicembre del 1959. È un corpo civile, con competenze limitate per materia ed alle esclusive dipendenze del ministero dell’Interno.
Tale Corpo era articolato su due ruoli: uno direttivo denominato delle ispettrici di polizia, ed uno di concetto, denominato delle assistenti di polizia. A tutto il personale venivano applicate, salvo quanto diversamente disposto dalla legge istitutiva, le disposizioni inerenti gli impiegati civili dello Stato.
Al personale femminile di polizia erano affidate le seguenti attribuzioni:
prevenzione e accertamenti dei reati contro la moralità pubblica ed il buon costume, la famiglia e l’integrità e sanità della stirpe nonché dei reati in materia di tutela del lavoro delle donne e dei minori;
indagini ed atti di polizia giudiziaria relativi a reati commessi da donne o da minori degli anni 18 o in loro danno;
vigilanza ed assistenza di donne e di minori nei cui confronti siano stati adottati provvedimenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o che siano stati, comunque, convocati presso gli uffici di pubblica sicurezza;
eventuali compiti di assistenza nei confronti di donne nonché di minori in stato di abbandono morale e sociale mediante opportuni collegamenti con autorità ed enti che tali specifici compiti perseguono.
Il personale era inoltre suddiviso secondo le seguenti qualifiche:
per il ruolo delle ispettrici: ispettrice capo; ispettrice di 1^ classe; ispettrice di 2^ classe; ispettrice di 3^ classe; vice ispettrice;
per il ruolo delle assistenti: assistente superiore di 1^ classe; assistente superiore di 2^ classe; assistente di polizia di 1^ classe; assistente di polizia di 2^ classe; assistente di polizia di 3^ classe.
Per la qualifica di vice ispettrice era previsto l’accesso al periodo in prova mediante concorso pubblico per esami al quale potevano partecipare coloro che erano in possesso della cittadinanza italiana, di età compresa tra i 24 e i 32 anni, di laurea in giurisprudenza o scienze politiche, che tenevano una buona condotta nonché appartenenti a famiglia che godeva di ottima reputazione, possesso dell’idoneità psico-fisica al servizio di istituto, stato di nubile o vedova. Le stesse modalità di accesso erano previste per il ruolo delle assistenti, con l’unica variante per il titolo di studio in quanto per quest’ultimo ruolo era sufficiente il diploma di istituto di istruzione secondaria di 2° grado.
“Nell’esercizio delle loro funzioni e nei limiti delle loro attribuzioni, le ispettrici di polizia sono ufficiali di polizia giudiziaria ed hanno la qualifica di ufficiale di pubblica sicurezza. Le assistenti di polizia sono ufficiali di polizia giudiziaria ed hanno la qualifica di agente di pubblica sicurezza”.
Le vice ispettrici in prova e le assistenti di 3^ classe in prova, dopo aver conseguito la nomina, venivano assegnate ad un istituto di istruzione di polizia per la frequenza di un corso di formazione della durata non inferiore a quattro mesi.
Per contrarre matrimonio le ispettrici e le assistenti necessitavano dell’autorizzazione del ministero dell’Interno subordinata ai requisiti di moralità dello sposo e della sua famiglia, se contraevano matrimonio senza la necessaria autorizzazione decadevano dall’incarico.
Le ispettrici e le assistenti di polizia possedevano una uniforme di servizio, le cui caratteristiche e modalità per l’uso erano stabilite dal regolamento. La prima divisa era a carico dell’amministrazione, significando che le successive uniformi erano a carico delle dipendenti, a differenza di quanto accade invece oggi. Il personale del Corpo di polizia femminile veniva collocato a riposo al compimento del sessantesimo anno di età. Coloro che presentavano le dimissioni avevano comunque diritto alla pensione qualora avessero raggiunto i 15 anni di servizio e i 55 di età, oppure qualunque età al raggiungimento dei venti anni di servizio effettivo. Tutti i benefici concessi alla forza pubblica riguardanti l’uso dei trasporti pubblici comunali venivano estesi anche alle ispettrici ed alle assistenti.

Il personale femminile dell’Amministrazione militare anglo-americana del territorio di Trieste
A differenza del territorio italiano, dove l’entrata delle donne nei Corpi di polizia, nonché in molti altri settori della pubblica amministrazione e della magistratura, era vietata dalla legge e soprattutto estranea a quella che era allora la mentalità comune, nel Territorio libero di Trieste, sotto l’amministrazione militare anglo-americana, le donne, per la differente legislazione nonché per la differente cultura sociale, avevano invece già da anni la possibilità di far parte della polizia civile.
Le appartenenti a tale corpo, chiamate “triestine”, venivano pertanto ammesse nelle forze dell’ordine a parità di trattamento economico e di stato giuridico con il personale maschile.
Le stesse, una volta transitate alle dipendenze del commissario generale del Governo per il Territorio di Trieste, furono impiegate esclusivamente con mansioni amministrative e nel 1960, quando ne ebbero la possibilità, alcune di loro, circa una ventina, a richiesta confluirono nell’appena costituitosi Corpo di polizia femminile.
All’art. 14 della legge 1083/59 si prevede che il personale femminile di polizia alle dipendenze dell’Amministrazione militare anglo-americana del Territorio di Trieste, può a domanda da presentarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della summenzionata legge, chiedere di essere inquadrato nei ruoli rispettivamente delle assistenti e delle ispettrici, previo possesso dei previsti titoli di studio.
Le stesse entravano nell’amministrazione italiana con il grado immediatamente inferiore a quello già posseduto precedentemente, con il criterio della precedenza per chi possedeva il titolo di studio più elevato e, a parità, per chi aveva più anzianità nel grado ricoperto.
Potevano riscattare, ai fini pensionistici, gli anni prestati nella precedente amministrazione e, se ammesse, venivano assegnate ad un istituto di istruzione di polizia per la frequenza di un corso professionale della durata non inferiore a quattro mesi.

La via per la parità
Con la legge istitutiva del Corpo di polizia femminile, si ravvisa il chiaro intento del legislatore di non voler affidare alle donne gli stessi compiti già attribuiti al personale maschile, come era avvenuto per il governo alleato, né quello di affidare loro esclusivamente compiti di supporto amministrativo-logistico, come avevano fatto alcuni governi stranieri introducendo la figura della “ausiliarie”.
Si pensò così che la migliore soluzione fosse quella di inserire all’interno degli uffici di polizia un nucleo ristretto di personale femminile, ad ordinamento civile, che, con particolare qualificazione, accertando alcune tipologie di reati, riuscisse ad evidenziare situazioni di disagio personale, familiare, a volte anche sociale, relativi al sesso femminile o a minorenni, nello specifico ogni tipo di reato commesso da donne o minori o in danno di donne o minori, e tentare di porvi rimedio.
Per la delicatezza, nonché anche per le poche e specifiche funzioni ad esse affidate, per entrare in tale corpo, alle aspiranti veniva chiesto un adeguato titolo di studio. Il corpo si componeva quindi di un ruolo direttivo, le ispettrici, e di un ruolo di concetto, le assistenti, ed era però privo di ruolo esecutivo, mancando in esso il ruolo degli agenti.
Pertanto le ispettrici e le assistenti per assolvere a pieno ai loro compiti venivano solitamente affiancate da personale maschile, facente parte del ruolo degli assistenti/agenti del Corpo delle guardie di ps, che prestava loro ausilio durante le pattuglie per la prevenzione o la repressione dei reati di cui le stesse dovevano occuparsi e per le attività connesse al servizio svolto.
Il Corpo di polizia femminile era composto da personale civile, ma aveva ordinamento militare in quanto le dipendenti erano obbligate ad indossare la divisa nonché a portare la pistola d’ordinanza. Nella pratica però alcune di esse, soprattutto per la delicatezza dei compiti svolti, prestavano servizio sovente in abiti civili, soprattutto nel trattamento con i minori per far sì che gli stessi, nel denunciare reati per i quali avevano già subito una violenza sia fisica che psicologica, trovassero in loro delle figure più familiari che istituzionali. Tale Corpo fornì un alto contributo professionale alle questure, dimostrando di essere tecnicamente preparato a percepire con maggiore sensibilità psicologica i reati subiti o consumati dai minori o dalla popolazione femminile, espletando funzioni costanti di osservazione e prevenzione di fenomeni particolari, quali: l’accattonaggio minorile, l’abbandono della formazione scolastica obbligatoria, lo sfruttamento della prostituzione.
Il servizio da esse svolto era spesso sottovalutato, in quanto riguardava più gli interventi di prevenzione che non di repressione dei reati, ma era particolarmente impegnativo soprattutto quando, trattando i reati connessi alla prostituzione, si aveva a che fare con gli sfruttatori.
Queste donne svolgevano quello che era il vero compito della prevenzione con l’assistenza alle vittime di reati, permettendo loro di parlare e di sfogarsi e di confessare problemi comunque risolvibili, ma che, sembrando insormontabili, potevano sfociare nel compimento di reati. Molte delle ispettrici ed assistenti seppero comunque dimostrare la loro capacità e competenza al punto di arrivare a collaborare senza problemi con il personale maschile, che in alcune sedi di servizio le riteneva ormai indispensabili.
Ciononostante, già a pochi anni dalla sua entrata in vigore, a dispetto di quanto previsto e voluto dal legislatore, buona parte del personale di cui era costituito il Corpo di polizia femminile venne impiegato in attività burocratiche o in funzioni sì indispensabili ma non di loro competenza, quali la custodia e l’accompagnamento di donne o minori trattenuti, compiti normalmente attribuiti ad agenti di sesso maschile.
Più rilevante fu l’attività che il Corpo di polizia femminile svolse su richiesta ed a fianco della magistratura minorile che meglio seppe apprezzare l’opportunità di utilizzare personale che possedeva tanto i mezzi, i poteri, la mobilità e la continuità di servizio delle tradizionali forze di polizia, quanto una cultura, una specifica preparazione e una maggiore sensibilità.
La polizia femminile non si sottrasse neanche ai compiti di più immediata assistenza alle popolazioni afflitte da gravi calamità naturali, contribuendo direttamente alle opere di soccorso, come dimostrato nell’intervento da esse effettuato nella valle del Belice a seguito del terremoto del 14 gennaio 1968, quando vennero lì inviate numerose ispettrici ed assistenti impegnate per mesi nel soccorso delle popolazioni colpite e nella gestione delle tendopoli lì installate. Per tale intervento vennero dati riconoscimenti personali alle dipendenti che operarono in quella situazione e venne conferita la Medaglia di bronzo al merito civile al Corpo di polizia femminile. Tra i vari compiti svolti da tale Corpo vi era anche l’assistenza alle famiglie o agli orfani dei poliziotti ed anche, ove possibile, la gestione di colonie destinate a prestare aiuto ai soggetti sopra menzionati, il tutto sempre in raccordo con il ministero dell’Interno.

Verso la riforma
Negli Anni ’70 la società italiana accelera le sue trasformazioni. Si ebbero modifiche nella legislazione civile e penale. Inizialmente alcuni corpi di polizia municipale, successivamente anche corpi di vigilanza privata iniziarono a immettere in ruolo personale femminile, con stato giuridico e mansioni identici a quelli del personale maschile. In virtù di ciò, all’interno dell’amministrazione della pubblica sicurezza, in vista anche di una riforma globale che veniva già da tempo richiesta, si iniziò a rivedere la presenza delle donne nell’amministrazione stessa.
Non si poteva poi omettere quella che era la difficoltà gestionale ed organizzativa del personale di polizia, allora composto da circa 70mila unità, ove erano presenti ufficiali provenienti dall’Accademia di polizia, nel cui corso di studi erano previste materie e schemi organizzativi molto simili a quelle delle forze armate. Tali ufficiali, inquadrati militarmente, si trovavano poi, per quel che riguardava l’ordine pubblico e l’impiego ordinario di polizia giudiziaria, a dipendere in modo prevalente dal personale inquadrato nel ruolo civile dei funzionari di pubblica sicurezza. A questa diarchia di funzioni si andava sommando la richiesta delle ispettrici di polizia che, svolgendo già mansioni di funzionari direttivi e dirigenti dello Stato, reclamavano compiti di effettiva direzione gestionale.
Per uniformare quindi l’organizzazione della pubblica sicurezza, oltre che alla nuova prospettiva sociale anche alle polizie europee, si sentì l’esigenza di concludere questa nuova fase, già iniziata nel 1979 quando venne presentato un disegno di legge di riforma dell’amministrazione della pubblica sicurezza, emanando la legge n. 121 del 1° Aprile 1981.
Attraverso tale legge l’autorità nazionale di pubblica sicurezza è affidata al ministro dell’Interno. La nuova amministrazione diventa civile (ma con un ordinamento speciale) ed è inserita nel Dipartimento della pubblica sicurezza guidato dal capo della Polizia, direttore generale della ps. In tale nuova amministrazione confluiranno tutte le figure già presenti nei disciolti Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e Corpo di polizia femminile.
La riforma, attuata con la legge 121/81, stabilì tra l’altro che personale maschile e femminile avesse parità di carriera e di mansioni.
Grazie a tale riforma oggi sono comuni i concorsi, la formazione iniziale e la partecipazione a corsi di specializzazione o qualificazione, molte donne hanno avuto possibilità di carriera pari agli uomini, diventando anch’esse questore, dirigente di commissariato, di istituto di istruzione o di sezioni della polizia stradale, pilota d’elicottero, istruttore di tiro, di tecniche operative o difesa personale.

01/03/2010