Raffaele Lupoli
Ripartendo da L’Aquila
L’intensa attività della questura e dei poliziotti abruzzesi a quasi un anno di distanza dal sisma che ha devastato il cuore della regione. Il controllo del Gicer per evitare infiltrazioni mafiose nella ricostruzione
Sei aprile 2009. A breve distanza dal sisma un poliziotto arriva nei locali della questura, a L’Aquila, e riferisce ai superiori sulla situazione che si è trovato a fronteggiare. Poi si mette a disposizione senza badare a turni e orari di servizio. Così per giorni e giorni. Una scena che da quel tragico mattino si è ripetuta tante volte. Messi in salvo i parenti, gli uomini e le donne della Polizia di Stato hanno scavato tra le macerie, hanno liberato le vie d’accesso per i soccorritori, hanno vigilato per evitare che malintenzionati approfittassero del caos per rubare nelle case o nei negozi. «Sono davvero fiero di come si sono comportati i miei uomini. E non mi riferisco solo all’immediato dopo-terremoto – afferma commosso il questore uscente, Filippo Piritore, a pochi giorni dal suo trasferimento alla questura di Genova – In questi mesi la nostra provincia è stata l’ombelico del Paese: tra visite istituzionali, concerti e spettacoli di solidarietà, summit di rilievo globale come il G8, ci siamo trovati a gestire situazioni nuove e in alcuni casi di grande delicatezza».
Tutto questo in condizioni logistiche pesantemente compromesse: il terremoto ha reso inagibile la sede della questura, in via Strinella, dove ora i lavori proseguono per restituire quanto prima possibile i locali al personale. «Non ce ne sarebbe bisogno, ma questa è una delle “raccomandazioni” che lascerò al mio successore (Stefano Cecere, ex questore di Pescara, ndr) – sottolinea Piritore – L’impegno mostrato dal personale della questura aquilana in questi mesi va ripagato restituendo loro al più presto la sede di lavoro. Chiederò al dottor Cecere di invitarmi all’inaugurazione».
Le difficoltà non frenano il lavoro, dunque, e l’opinione pubblica ha appreso con piacere che dopo il sisma a l’Aquila si sono registrati meno reati. Sono infatti diminuiti rapine, estorsioni, sequestri di persona, violenze sessuali, furti, spaccio di droga, abusi d’ufficio. Un effetto collegato anche alle speciali misure di prevenzione e vigilanza attivate da prefettura e forze dell’ordine.
D’altro canto il personale si è gettato con impegno e slancio nelle nuove sfide poste dal terremoto, che si sono affiancate giorno dopo giorno al lavoro ordinario. «La provincia de L’Aquila ha cambiato volto – riprende il questore – I duemila chilometri di strade della provincia meritano la consueta attenzione, il centro storico, pur disabitato, deve essere costantemente vigilato. In più dobbiamo monitorare i 19 nuovi insediamenti del Progetto case e i numerosi Map, i moduli abitativi provvisori dislocati tra le frazioni aquilane e i comuni del cosiddetto cratere».
Proprio gli appalti per gli alloggi hanno impegnato prefettura e forze dell’ordine in un lavoro incessante di “radiografia”, per scongiurare che le mafie, attraverso il meccanismo spesso opaco dei subappalti, mettano le mani sulle cifre colossali programmate per la ricostruzione. Un lavoro supportato da una struttura creata ad hoc, il Gruppo interforze centrale per l’emergenza ricostruzione, in sigla Gicer, incaricato dal ministero dell’Interno di svolgere attività di analisi e monitoraggio proprio sulla filiera dei lavori per i nuovi alloggi e, in una seconda fase, sulla ricostruzione degli edifici pubblici e privati lesionati dal sisma. «Fra i nostri compiti vi è anche quello di tenere sotto osservazione il ciclo dei rifiuti, in particolare le macerie che saranno rimosse, e quello del calcestruzzo, comprese le attività di cavazione», spiega Andrea Caridi, funzionario di polizia con un’esperienza di lungo corso nell’antimafia e coordinatore del gruppo costituito da rappresentanti di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e Direzione investigativa antimafia.
L’attività di intelligence cui ha contribuito anche il Gicer ha portato al ritiro della certificazione antimafia a una serie di ditte appaltatrici, con conseguente esclusione dall’esecuzione dei lavori. «Il nostro filtro investigativo – precisa Caridi – opera in perfetta sintonia con la prefettura de L’Aquila, che coordina le attività, e si integra efficacemente con il supporto informativo delle forze dell’ordine presenti sul territorio e quelle delle aree di provenienza delle ditte di altre regioni e poste sotto osservazione». Un esperimento di cooperazione che si espande anche alle forze sociali. «L’attività coordinata delle diverse forze di polizia non è l’unica “rete” messa in campo – spiega il coodinatore del Gicer – Questi primi mesi di attività, da quando lo scorso settembre il Gruppo è stato istituito, sono serviti anche a mettere in piedi una serie di relazioni con autorità giudiziaria, associazioni, sindacati ed enti locali».
La fase più difficile comincia adesso. Dopo gli appalti già affidati dalla Protezione civile nazionale e dal provveditorato alle opere pubbliche a più di 1.100 imprese per realizzare case, scuole, ospedali, edifici di culto, con la fine della prima emergenza si passa alla fase della cosiddetta ricostruzione pesante: il risanamento dei centri storici (a cura della Regione e delle autonomie locali, sotto la gestione del nuovo commissario governativo, il presidente della Regione) vale all’incirca 15 miliardi di euro e durerà svariati anni.
«Nell’area terremotata è sempre molto forte il pericolo di infiltrazioni di ’Ndrangheta, Cosa nostra e, soprattutto, Camorra» ha ribadito il pubblico ministero Olga Capasso, uno dei quattro magistrati della Dia messi a disposizione dal procuratore nazionale, Piero Grasso, per l’attività di prevenzione delle possibili infiltrazioni mafiose negli appalti. Gli altri componenti del pool sono Vincenzo Macrì, Alberto Cisterna e Gianfranco Donadio.
Rassicurazioni sull’impegno delle forze dell’ordine sono giunte dal capo della Polizia Antonio Manganelli a margine della cerimonia di inaugurazione del nuovo centro operativo della polizia stradale de L’Aquila, il 10 febbraio scorso (vedi box).«A livello centrale presso la Criminalpol abbiamo organizzato un gruppo fortemente specializzato che lavora a tempo pieno sul tema L’Aquila» ha dichiarato il prefetto Manganelli, sottolineando i risultati ottenuti grazie all’attività investigativa e ricordando che «le attenzioni delle organizzazioni criminali si indirizzano sempre nelle zone dove c’è la possibilità di fare affari».
La “cura” di una poliziotta
“Vita, morte e miracoli dal terremoto”, recita così il sottotitolo del libro di Fabrizio Paladini Gli artigli dell’Aquila che raccoglie le testimonianze “a caldo” di chi quell’alba terribile del 6 aprile 2009 ha tremato insieme alla terra. Tra queste compare la storia di Antonella Pasqua (nella foto), operatore sanitario della Polizia di Stato in servizio presso la questura de L’Aquila. Una storia che comprende sia la vita – un matrimonio felice e tre figli adorabili – che la morte – la perdita in un incidente sul lavoro dell’amato marito Beniamino – che il miracolo – la salvezza dal sisma che ha distrutto il paese dove lei abita, Paganica. Poliziamoderna è andata a trovarla a quasi un anno di distanza dal disastro nella sede provvisoria all’interno della Caserma Rossi degli Alpini, una serie di container prefabbricati dove Antonella continua a lavorare come molti suoi colleghi, nonostante i grandi disagi che la situazione comporta e pur avendo perso la casa, presente in servizio fin dal giorno successivo al terremoto.
Come ha fatto il vostro presidio sanitario ad attivarsi immediatamente dopo il disastro?
Io e i miei colleghi, medici e infermieri, siamo entrati subito dentro la questura a recuperare il materiale nell’ufficio sanitario, rischiando di rimanere sotto l’edificio lesionato. Poi per fortuna è iniziato ad arrivare il rifornimento da Roma. Oltre a montare la tenda, abbiamo preparato l’ambulanza d’istituto che abbiamo utilizzato per portare tutti coloro che avevano bisogno al pronto soccorso allestito in emergenza fuori l’ospedale, e lì poi i sanitari decidevano dove smistare i pazienti, a Teramo, Avezzano o Pescara.
I primi tempi, quindi, avete lavorato per la popolazione civile?
Sì, soprattutto per loro e per tutti i soccorritori, i Vigili del Fuoco, i colleghi e i volontari, che scavando nelle macerie si ferivano. Visto che l’ospedale era crollato e mancava un punto di riferimento, il nostro posto medico avanzato ha sopperito alle prime emergenze e necessità. Per esempio, non c’erano farmacie aperte e molte persone sono scappate di notte senza poi poter rientrare a casa a prendere i medicinali necessari per le cure. Abbiamo rifornito soprattutto gli anziani e i malati cronici di farmaci salvavita, da quelli per il cuore a quelli per il diabete.
E adesso, a distanza di quasi un anno?
Si è molto ridotta l’assistenza alla popolazione civile mentre è aumentata quella ai poliziotti perché vi sono molti aggregati del reparto mobile. In pratica il personale è raddoppiato. Poi vi sono i colleghi che si sono trovati senza il medico curante della Asl, quindi hanno bisogno di assistenza per sé e per le loro famiglie. Per non parlare di quelli che come me hanno perso la casa e hanno vissuto nelle tendopoli fino all’autunno.
Ora, però, è riuscita ad avere una sistemazione abitativa.
Per fortuna, sì. Intanto sono molto riconoscente ai miei ex colleghi di Pescara che mi permisero di abbandonare la tenda facendo una colletta per comprarmi una struttura di legno dove poter andare con i miei tre figli. Ora ci è stato assegnato un appartamento nell’ambito del Progetto case a Paganica, il nostro paese. È piccolissimo (mia figlia di 29 anni dorme con me perché non abbiamo una stanza in più). Però, almeno abbiamo recuperato un po’ d’intimità. Certo la considero una sede provvisoria. Il mio obiettivo è ricostruire la mia casa di Paganica, è del 1700 e l’ho comprata con mio marito Beniamino, prima di sposarci e l’abbiamo sistemata da soli.
Nonostante lo spavento del terremoto, lei vuole rimanere a Paganica?
Certo la mia casa mi ha salvato, ci ha protetto. Io ho aspettato che finissero le scosse per uscire, fuori c’era pericolo che ci cascassero addosso le tegole, i camini, i balconi. La casa è posizionata nel centro storico del paese, in zona rossa, e per il momento è stato emesso solo il decreto con linee guida per la ricostruzione sostenuta dagli incentivi governativi delle zone a b c d, quelle con lesioni meno gravi. Ma io non demordo.
Quando è entrata in polizia?
La prima volta ci provai nell’81. Pur avendo passato le prove preliminari non andai alle visite psicofisiche e attitudinali perché nel frattempo era arrivato il secondo figlio. Poi uscì il concorso per 200 posti da operatore tecnico sanitario, con quattro dure prove d’esame. Feci domanda quasi alla scadenza dei termini. Essendo già arrivata a quota tre figli e avendo un lavoro part time, studiavo la notte. Ma ce la feci. È stata dura lasciare i figli per sei mesi per il corso di Casal Lumbroso a Roma, ma mio marito ha sopperito a tutto.
Come è arrivata alla questura de L’Aquila?
È stato grazie alla sensibilità dell’allora capo della Polizia Fernando Masone che rispose positivamente ad una mia richiesta di trasferimento. Facevo una vita impossibile da pendolare perché la prima destinazione datami dopo il corso è stata Pescara, due ore di viaggio ad andare e due a tornare. Per fortuna mia madre mi ha aiutato tantissimo ed anche tutti i paesani di Paganica. Vivere in un piccolo centro comporta il vantaggio del reciproco sostegno. Ecco anche perché non voglio andare via.
Il paese di Paganica ha ripreso a vivere?
Un minimo, da qualche mese hanno riaperto l’ufficio postale, la farmacia e qualche bar; la maggior parte degli abitanti lavora nel capoluogo, a 9 chilometri di distanza. Siamo gente di tempra forte e i nostri ragazzi rugbysti ne sono stati un esempio: ci hanno dato nel campo sportivo un rifugio salvifico, hanno fornito calzini e tute per gli anziani, bevande calde per tutti.
Parliamo del futuro, cioè dei suoi tre figli.
I due miei figli maschi hanno ripreso a frequentare l’università perché la loro facoltà è a Bazzano, mentre la primogenita sta facendo la pratica per dare l’esame da avvocato, vuole fare il magistrato. Mantenerli agli studi è pesante con uno stipendio solo e la pensione minima del papà. Ma mi danno tante soddisfazioni e sono la leva che mi fa andare avanti e sperare in una rinascita. Questa è la mia “cura”.
Annalisa Bucchieri
Stradale: Il nuovo Coa
Il sisma ha danneggiato pesantemente la struttura che li ospita ma non ha fermato il loro lavoro. Subito dopo le 3,32 del 6 aprile ci si era resi conto che la sala operativa del Centro operativo autostradale (Coa) de L’Aquila era inagibile, ma gli agenti in servizio non hanno mai smesso di controllare e gestire la rete autostradale con l’ausilio di radio e telefonini. Il 10 febbraio scorso il capo della Polizia Antonio Manganelli ha inaugurato la sede ristrutturata, deponendo una corona in ricordo delle vittime proprio in quel piazzale che subito dopo il terremoto ha ospitato anche le tende di alcuni familiari di poliziotti che avevano avuto le case devastate. «Quando si indossa una divisa e si porta un’arma, vivere in tenda è ancora più difficile – racconta il commissario capo Felice Donati – Sembra passato molto più di un anno da quella triste notte e da allora il lavoro della nostra struttura è stato intenso come mai prima. Eppure tutti gli operatori, nonostante tanti di loro avessero subito perdite ingenti, non si sono risparmiati per garantire l’incolumità dei viaggiatori e predisporre vie d’accesso alternative». L’autostrada che arriva al capoluogo abruzzese era pesantemente compromessa dalla scossa: sono stati chiusi il tratto dell’A24 Tornimparte-Assergi e quello della A25 tra Pratola Peligna e Bussi. «A 45 minuti dal sisma eravamo già in grado di consentire il passaggio dei mezzi di emergenza – prosegue Donati – e dopo pochi giorni la viabilità è stata ripristinata normalmente». Fin dai primi interventi gli uomini della Stradale hanno capito che il loro lavoro sarebbe cambiato radicalmente. «Da quel momento abbiamo garantito la sicurezza dei mezzi di soccorso e dei rappresentanti istituzionali giunti nell’area del cratere – conclude il commissario capo – prima per i funerali solenni e poi per fare visita agli sfollati. E poi c’è stato il G8, con le delegazioni dei grandi della Terra. Un lavoro che ha impegnato tutti gli uomini a disposizione, oltre ovviamente a quelli inviati da Roma».
Il Prefetto Gabrielli e il controllo antimafia
Un primo bilancio della macchina della sicurezza messa a punto immediatamente dopo la scossa del 6 aprile 2009, quando si è trattato di restituire un alloggio agli sfollati e rimettere in piedi gli uffici della pubblica amministrazione, a partire dalle scuole. Ma soprattutto una riflessione sulle sfide che il territorio aquilano ha davanti a sé all’alba della “fase due”, quella della vera e propria ricostruzione. Il prefetto de L’Aquila Franco Gabrielli (nella foto), il cui impegno nella gestione del post-terremoto è unanimemente apprezzato, ha accettato di accompagnarci in questo breve viaggio tra gli appetiti criminali e le misure messe in campo per scongiurarli.
Signor prefetto, com’è strutturata l’attività di intelligence e repressiva volta a prevenire e contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti?
Già l’articolo 16 del decreto 39, approvato il 28 aprile, a pochi giorni dal sisma, ha predisposto l’attivazione di due strumenti. Il primo è il Gicer, di cui sovraintendo le attività. Stante la vastità dei problemi, è una proiezione a livello centrale del Gruppo interforze presente presso ogni prefettura per il contrasto delle infiltrazioni. Questa struttura sovraprovinciale si è rivelata un ottimo strumento non solo di analisi e raccolta di informazioni, ma anche di operatività sul territorio, ad esempio con il controllo di discariche e cave. L’altro strumento, di natura consultiva, è la Sezione specializzata del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza sulle grandi opere. In quella sede affrontiamo quesiti che attengono a problematiche tecniche con profili strategici. Nelle more della costituzione della sezione, il prefetto de L’Aquila si è avvalso del Comitato. Tale collaborazione ha portato all’emanazione l’8 luglio 2009 delle linee guida che hanno improntato la disciplina degli appalti in questa prima fase.
A lei tocca anche monitorare i certificati antimafia.
La nuova legislazione non ha modificato la competenza del prefetto de L’Aquila, che fa da raccordo sia “in salita” sia “in discesa”, come terminale delle richieste di certificazione antimafia. Quelle riguardanti imprese non aquilane vengono trasmesse alle prefetture competenti, mentre nel flusso contrario, la nostra prefettura riversa alla stazione appaltante le certificazioni giunte da altre province.
A quante ditte è stata revocata la certificazione?
Finora la revoca è intervenuta soltanto per due ditte, ma nessuno è così ingenuo da pensare che le organizzazioni criminali siano estranee alla possibilità di lucrare anche in questa drammatica vicenda. Al momento gli strumenti per affrontare questo rischio ci sono e stanno funzionando. I dati, anche per la natura e le tempistiche di questa prima fase, sono confortanti.
Cosa cambia ora che si comincia a predisporre la “fase due”, quella dei mille cantieri per ristrutturare le abitazioni?
Come dicevo le misure messe in campo finora erano calibrate sulla gestione dell’emergenza e dell’immediata post-emergenza. La prima fase è stata caratterizzata dalla sostanziale univocità della stazione appaltante in capo al Dipartimento della protezione civile. Ora è doverosa una rivisitazione delle modalità d’azione per ricalibrare l’attività preventiva e di controllo alla luce della frammentazione delle stazioni appaltanti. Per mettere a punto questa nuova strategia abbiamo in programma diversi incontri: con il prefetto Bruno Frattasi, presidente del Comitato per l’alta sorveglianza delle grandi opere, e ovviamente con l’architetto Gaetano Fontana, capo della Struttura tecnica di missione, una delle tre macroaree di cui è composta la nuova struttura commissariale.
Quali saranno le linee guida di questa nuova strategia?
Il primo passo è giungere a una completa circuitazione delle informazioni: la lotta alle infiltrazioni passa attraverso la circolazione delle informazioni e la partecipazione di tutti i soggetti. Poi va favorita la creazione di una stazione unica appaltante.
R.L.