Marco Venturi*

Legalità = sviluppo

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Io di mestiere faccio l’imprenditore. Ho un’azienda – la Sidercem – che lavora nel settore dei servizi. Ci occupiamo di qualificazione dei materiali da costruzioni. La filosofia dell’azienda è stata da sempre quella di assumere un comportamento eticamente corretto verso il territorio, i nostri clienti e nei confronti dei lavoratori. Per noi il rispetto delle regole, dei diritti dei lavoratori e le garanzie di sicurezza e salubrità sul posto di lavoro sono delle priorità. Sembra un’affermazione scontata ma non lo è nella nostra realtà in cui molto spesso si cercano le scorciatoie per risolvere i problemi e di fare utili dando stipendi da miseria ai collaboratori. Questo vivere fuori dalle regole è molto diffuso e sono pochi i soggetti che denunciano questi fatti. Chi come noi vuole rispettare le regole, denuncia il malaffare e fa investimenti sul personale, sulla ricerca, sull’innovazione qualificando i servizi, sembra un paradosso, ma rischia di andare fuori mercato. Il mio impegno all’interno di Confindustria Caltanissetta è nato a metà degli Anni ’90, quando decisi di aderire al gruppo giovani imprenditori di cui era presidente Antonello Montante. Dopo qualche anno io diventai presidente dei giovani e Antonello si candidò a presidente della territoriale. Insieme ad Antonello e altri colleghi abbiamo da subito condiviso alcune idee partendo dal rispetto delle regole. Chiedevamo semplicemente un ricambio generazionale, un’associazione libera da qualsiasi forma di condizionamento e che fosse un esempio, sul territorio, nella cultura della legalità. Iniziammo una battaglia senza precedenti a quei poteri forti sia interni che esterni all’associazione che non volevano il cambiamento. Questo nuovo corso dette molto fastidio e cominciarono le minacce.
Con l’elezione di Antonello Montante a presidente di Confindustria Caltanissetta, il nuovo gruppo dirigente, con tante difficoltà ma con determinazione, ha rotto con le vecchie logiche del passato. E ha deciso con forza di stare dalla parte delle imprese sane, nel mercato della libera concorrenza e della legalità. La sconfitta della mafia è anche una condizione per lo sviluppo economico. La mancanza di legalità è il più grande ostacolo al decollo economico della Sicilia. Il contributo che ha dato Confindustria Sicilia in questi ultimi anni nella lotta all’illegalità e al potere mafioso è sotto gli occhi di tutti. In pochissimo tempo si è riusciti a rimettere al centro del dibattito politico il rispetto delle regole e il rifiuto netto a qualsiasi forma di estorsione e pratiche illegali. La morte di Libero Grassi è stato lo “strumento pedagogico” dell’organizzazione mafiosa per impedire che altri potessero seguirne l’esempio. I mafiosi trasmettono dei messaggi che scoraggiano le loro vittime a resistere e ad opporsi. Per questo dobbiamo essere in tanti a condividere questa battaglia.
Molti non si aspettavano che una organizzazione come Confindustria prendesse delle posizioni chiare e nette contro il potere mafioso. Le tante connivenze che hanno caratterizzato la storia del nostro sistema politico, economico e sociale rendono difficile questo percorso. Ci vuole una vera trasformazione culturale nel vedere in un modo diverso lo Stato, l’economia e l’impresa. Nel 2006 ho ricoperto l’incarico di presidente della piccola industria della territoriale di Caltanissetta; nel 2007 quello di presidente della Camera di commercio di Caltanissetta, carica che svolgo attualmente; nel 2008 quello di presidente regionale della piccola industria di Confindustria Sicilia e a maggio 2009 quello di assessore regionale all’Industria. Ho accettato questi incarichi da tecnico perché testimoniare questo rapporto libero col potere è il modo migliore per cambiarlo e perché sono convinto che bisogna continuare a lavorare insieme per portare avanti la sfida del cambiamento, per rendere le istituzioni trasparenti e i cittadini protagonisti attivi della vita pubblica. La politica è costruzione del futuro non può essere un semplice esercizio del potere.
Come membro della nuova Giunta regionale sto continuando le battaglie iniziate nel sistema confindustriale per l’affermazione anche all’interno dell’amministrazione regionale del binomio legalità-sviluppo, per contrastare i poteri criminali e mafiosi e le molte connivenze che in essa sono ancora presenti. Serve una regione leggera e rigorosa, una pubblica amministrazione che funzioni, vicina ai cittadini e alle imprese, inflessibile contro chi non rispetta le regole e danneggia la comunità. La politica e le istituzioni devono svolgere in tutte le proprie componenti una funzione “agevolatrice” verso i cittadini e le imprese e di controllo per il rispetto delle leggi e non di ostacolo con una burocrazia molte volte incapace di dare risposte immediate alle esigenze delle aziende che vogliono investire sul nostro territorio.
Ci sono molte eccellenze all’interno dell’amministrazione regionale. Ma si tratta di generosità individuali e di professionalità isolate. I dipendenti della Regione Sicilia sono mal distribuiti per funzione e sul territorio. In rapporto agli abitanti, sono il 50% in più che al Nord. Serve una grande ristrutturazione. Si devono utilizzare in modo oculato il turnover e la mobilità. Non si può accentrare il potere nelle mani di pochissimi dirigenti o addirittura nelle mani di uno solo per tantissimi anni. È necessaria un’azione immediata per coinvolgere e valorizzare il personale migliore e penalizzare i furbi anche arrivando al licenziamento. Questo sarà un banco di prova anche per i sindacati. Altrimenti sarà l’ennesima sconfitta di tutti coloro che, nel pubblico come nel privato, lavorano con serietà. Bisogna semplificare, ridurre il numero delle leggi, eliminare le incertezze di interpretazione. Ho iniziato il mio lavoro vincolando i dirigenti e il personale tutto a comportamenti rispettosi del grande valore che l’amministrazione regionale ha nella rappresentanza degli interessi del popolo siciliano. Ho trovato un assessorato molto burocratizzato. Migliaia di pratiche ancora inevase per mancanza di autorizzazioni e pareri di nostra competenza. Mi sembra assurdo fare attendere mesi e mesi alle aziende che intendono investire sul nostro territorio. Quello che intendo fare nell’immediato è snellire le procedure per diminuire i tempi di risposta e qualificare maggiormente il personale. Ho trovato circa 500 dipendenti e mi sembra doveroso nei confronti dei cittadini e delle imprese, con tutto questo personale, smaltire in tempi brevissimi le migliaia di pratiche ancora ferme nel mio assessorato. Sono parecchi in Sicilia gli enti pubblici inutili e le società a partecipazione pubblica che gestiscono servizi inefficienti con costi elevatissimi che incidono profondamente sugli investimenti. Si sprecano risorse pubbliche per stipendi, opere e servizi inutili. Molti dipendenti che sono stati assunti nel passato sono opera di clientele politiche e non di professionalità necessarie a supportare la crescita della Regione. Carrozzoni inutili e dannosi che anziché promuovere la buona impresa producono il proliferare di investimenti fasulli con effetti catastrofici per l’immagine più complessiva della nostra regione. Occorre mettere mano ad un profondo processo di riforma. La regione non può essere una azienda, deve svolgere il ruolo di regolatore e non di gestore.
La mancanza di infrastrutture a sostegno della produzione, impedisce alla Sicilia di fare quel salto di qualità che merita. Noi dobbiamo evitare per i prossimi anni la polverizzazione delle risorse straordinarie dell’Unione Europea in interventi inutili e concentrarle al contrario sulla realizzazione e il potenziamento delle infrastrutture: ferrovia, autostrade, strade, porti, aeroporti, logistica, reti idriche, necessari per ridurre i profondi divari esistenti con il resto del Paese. In Sicilia vi sono spazi, fisici ed economici, per la crescita produttiva. Noi dobbiamo eliminare lo stereotipo che dipinge la Sicilia come una terra improduttiva, arretrata e atavica dove i poteri criminali e mafiosi con la complicità di burocrati e imprese hanno suggerito in questi anni una modernizzazione senza riforme e senza un piano di sviluppo, con uno spreco dei finanziamenti pubblici, la devastazione del paesaggio e delle coste e la distruzione di una qualsivoglia idea dello Stato di diritto.
Se vogliamo uscire dalla crisi e combattere i poteri criminali e mafiosi dobbiamo essere capaci di progettare e realizzare un nuovo modello di sviluppo e indirizzare le risorse disponibili in alcune linee d’intervento capaci di disegnare l’intero sistema produttivo per creare imprese sane e dare lavoro a migliaia di siciliani. Dobbiamo abbandonare l’idea del pubblico imprenditore, che ha registrato e continua a registrare fallimenti continui. Noi, se ci riusciamo, dobbiamo capovolgere l’idea che in Sicilia i benefici di molti passano in secondo piano rispetto ai vantaggi di pochi ma ben garantiti e protetti.

*Assessore all’Industria della Giunta regionale siciliana

01/12/2009