Annalisa Bucchieri

Scacco alla mafia economy

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Confiscare e riutilizzare le aziende della criminalità organizzata rappresenta un altissimo valore simbolico e un’occasione di lavoro pulito

«La sicurezza delle imprese conferisce sicurezza all’intero tessuto economico e quindi produce cultura della legalità in generale. Ma non solo. Permette di creare le condizioni positive affinché gli operatori industriali investano in tutte le parti d’Italia, accrescendo la produttività sana del Paese senza squilibri geografici».
Le parole del prefetto Francesco Cirillo, vice capo della Polizia, alla guida della Direzione centrale della polizia criminale, ribadiscono l’impegno delle forze dell’ordine su questo fronte. Un impegno che trova il riscontro più lampante nella priorità che la lotta all’inquinamento criminale dell’imprenditoria legale ha nell’agenda istituzionale del ministro dell’Interno Roberto Maroni e del capo della Polizia Antonio Manganelli. Come dimostra il recente protocollo d’intesa firmato alla loro presenza, nella sede della Confindustria campana, tra il presidente dell’Unione industriali di Napoli Giovanni Lettieri, il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, il prefetto e il questore della città partenopea, rispettivamente Alessandro Pansa e Santi Giuffrè, e infine il direttore della Dia Antonio Girone. «Il protocollo – spiega Francesco Cirillo – ha segnato un momento importantissimo della collaborazione tra istituzioni, Confindustria e forze di polizia. Prevede che manager dell’industria valutino l’attività delle aziende confiscate alla camorra, attraverso l’analisi dei beni, dei contratti in essere e delle potenzialità di sviluppo, scegliendo di amministrare solo quelle non completamente affette dal cancro mafioso, che abbiano quindi una parte sana su cui puntare per la rigenerazione, che abbiano un valore occupazionale alto e presentino maestranze e tipologie merceologiche fondamentali per il territorio». Individuare le aziende manovrate dalla criminalità organizzata che inquinano il circuito legale del denaro, drogano il mercato della concorrenza e danneggiano quelle pulite, potendo usufruire di una corsia preferenziale per affari e contratti è, quindi, solo il primo passo. Dopo bisogna decidere ciò che si deve eliminare e ciò che si può riutilizzare per il bene comune. È la prima volta che nella gestione dei beni confiscati oltre ai custodi giudiziari subentrano i professionisti della linea imprenditoriale. Un’assunzione di responsabilità da parte del mondo dell’industria del tutto nuova e indispensabile alla strategia antimafiosa del ministero dell’Interno che mira prima di tutto all’aggressione dei patrimoni dei clan. Sequestrare e confiscare beni ottenuti illecitamente acquista un valore non solo economico ma anche simbolico per la pubblica collettività solo se si riesce a riutilizzarli in breve tempo per fini socialmente utili e, nel caso delle imprese, per offrire produttività e posti di lavoro al territorio. Compito delle forze dell’ordine sarà quello di garantire la sicurezza dell’azienda “dopo” la rigenerazione, cioè evitare che la paura di minacce e ritorsioni creino il vuoto di mercato attorno ad essa.
Tra le strategie adottate dal Dipartimento della pubblica sicurezza un capitolo importante lo occupa la difesa degli appalti sia pubblici che privati da infiltrazioni criminali attraverso i Gicer, costituiti dalla Direzione centrale della polizia criminale. I Gicer nascono per l’Abruzzo e in particolare per impedire infiltrazioni mafiose nei contratti di appalti stipulati in fase di ricostruzione dopo il tragico terremoto de L’Aquila. Qui è già operativo il gruppo interforze guidato da un funzionario che ha dedicato la vita all’antimafia, Andrea Caridi, il quale lavora in stretta collaborazione con il prefetto Franco Gabrielli, con le associazioni imprenditoriali locali, l’autorità giudiziaria, la Dia. Il filtro investigativo funziona e ha già bloccato alcune società apparentemente “immuni” ai primi controlli.
Modello di cooperazione interistituzionale ancora da affinare è invece quello della stazione unica appaltante. L’ultima in ordine di tempo è stata inaugurata a luglio scorso a Caserta dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, il quale ha sottolineato come la stazione unica appaltante (che vede riuniti imprenditori e una decina di comuni del casertano, tra i quali Casal di Principe) sia «uno strumento che aiuta le amministrazioni a gestire i soldi pubblici, dà speditezza e garanzia ai sindaci negli appalti che vengono fatti in maniera trasparente. Così la criminalità organizzata viene tagliata fuori». In Italia ne esistono altre due: una in Sicilia che fa capo alla Regione, la seconda a Napoli sotto l’egida del prefetto Alessandro Pansa. Purtroppo non esiste una norma che impone la sottoscrizione alla stazione unica, in questo momento è una cabina di regia su base volontaria. Il ministro sta pensando perciò ad omogeneizzarle e diffonderle in tutta Italia, con criteri simili di organizzazione.
Cirillo è uomo concreto e sa che i frutti della sinergia tra istituzioni e comparti produttivi privati si vedono anche in piccole collaborazioni, oltre che nei grandi protocolli. E racconta di quando il ministro dell’Interno, spiegando al presidente della Fiat Luca Montezemolo che quasi un centinaio di autovetture Ferrari, Porsche, Maserati sequestrate alla criminalità organizzata avevano bisogno di costosi interventi meccanici per poter essere riutilizzate, ricevette da Montezemolo stesso l’offerta di collaudi gratuiti da parte di due suoi supertecnici.
Le nuove strategie, basate sulla sinergia con associazioni ed enti per combattere le infiltrazioni criminali nell’economia nazionale, si sono sviluppate tutte a partire dallo snodo cruciale che ha rappresentato la collaborazione tra il ministero dell’Interno e il mondo produttivo contro l’aggressione sistematica di racket ed usura all’imprenditoria legale. Lo illustrano chiaramente le parole del prefetto Cirillo, «Dal momento in cui Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia, ha chiesto agli imprenditori che hanno pagato il pizzo a Cosa nostra di denunciare, assicurando la solidarietà degli altri affiliati e la protezione dell’associazione, qualcosa è cambiato in positivo. Gli imprenditori hanno iniziato a far fronte comune contro la mafia, permettendo così alle forze di polizia di investigare senza l’ostacolo dell’omertà».

L’omertà è il muro di gomma che non solo impedisce a chi indaga di andare avanti ma addirittura fa rimbalzare indietro le indagini. Lo sa bene Francesco Gratteri, a capo della Dac, Direzione centrale anticrimine, organismo investigativo per eccellenza della Polizia di Stato: se non si sradica l’omertà non si riuscirà a sradicare l’estorsione e l’estorsione è la malerba che impedisce alla fiducia nello Stato e al valore della legalità di attecchire e crescere. Come illustra Gratteri «il fenomeno colpisce soprattutto il Mezzogiorno, dove sono radicate le organizzazioni criminali mafiose che da sempre utilizzano il pizzo e la tangente per la penetrazione capillare del territorio e il controllo dell’economia locale. Infatti, nonostante la fonte di reddito più ingente delle organizzazioni criminali sia a tutto oggi il traffico della droga (basti pensare alla conclamata dominanza internazionale della ‘Ndrangheta nel monopolio della cocaina) e a seguire quello delle armi, nonché il controllo di quote significative degli appalti pubblici e privati, si continua a chiedere il “pizzo” al commerciante come la tangente al piccolo imprenditore locale. Perché, a fronte di un guadagno nettamente più basso di quello per esempio della droga, l’estorsione conferisce il potere sul territorio al quale le mafie sono radicalmente, emotivamente, familiarmente legate benché aspirino ad internazionalizzarsi».
La riprova è che l’estorsione è la pratica base di tutte le mafie (sia di Cosa nostra che della ‘Ndrangheta, sia della Sacra corona unita che della Camorra) e colpisce trasversalmente categorie produttive che vanno dal piccolo esercente all’industriale o all’impresa locale che rappresentano, in quella determinata economia, un passaggio della catena produttiva in un contesto di libero mercato.
Il racket è un fenomeno gravissimo perché da forma di vampirismo, che succhia sangue a chi lavora, si trasforma facilmente in forma di impossessamento. Infatti, come sottolinea Gratteri, può non risolversi solo in un guadagno immediato, ma tradursi in compartecipazione societaria: il taglieggiatore chiede spesso al posto della tangente di diventare azionista e così gradualmente arriva a impadronirsi dell’azienda, lasciando intatto solo lo chassis esterno e sfruttando in tal modo il buon nome originario della società come salvacondotto per penetrare nel mercato sano.
«Il ruolo di Confindustria, Confcommercio, e le altre associazioni di categoria in questa partita è strategico – fa notare Gratteri – perché rispetto a 10 anni fa, epoca in cui era difficile che offrissero un contributo a noi forze di polizia con informazioni, oggi c’è consapevolezza e responsabilizzazione che non lascia margine all’omertà. Da parte nostra, bisogna dire che i risultati importanti conseguiti nella lotta alla mafia, non ultimo l’arresto di Domenico Raccuglia da parte della Squadra mobile di Palermo, ci hanno fatto acquistare credibilità e fiducia. Noi per primi dobbiamo vigilare sul territorio da cui traiamo elementi di conoscenza. Sicuramente però l’ombrello di protezione che enti, corporazioni e associazioni offrono ad un proprio associato è un aiuto a denunciare e a fornire indicazioni utili alle forze dell’ordine». «È un ruolo pari – conclude il direttore della Dac – a quello che gioca l’investigatore, il quale, al di là dell’abilità professionale che lo aiuta a risolvere il caso, deve essere altamente sensibile nel comprendere lo stato d’animo della vittima senza esporla. Ma esponendosi al posto suo».


La Salerno-Reggio Calabria e l’Expo 2015: non abbassare la guardia
Tra le strategie anticrimine a difesa degli appalti pubblici e privati spiccano due iniziative che riguardano attività di costruzione di grandi infrastrutture e servizi:
due protocolli d’intesa tra l’Anas, la prefettura competente il tratto interessato ed i Contraenti generali dei due maxi-lotti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, onde rafforzare l’attività di prevenzione dalle infiltrazioni mafiose in tutti i rapporti contrattuali stipulati a valle con affidatari e sub affidatari;
il Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle Grandi opere, che ha il compito di promuovere l’analisi dei dati e delle informazioni, provvedere al supporto delle attività dei prefetti e procedere all’esame delle segnalazioni relative alle anomalie istituzionali riscontrate nell’attuazione delle Grandi opere. È stata prevista l’istituzione presso la prefettura di Milano di una sezione specializzata di supporto alle indagini e di raccordo tra gli uffici interessati per l’Expo2015. L’evento è talmente imponente e “goloso” che gli affaristi della ’Ndrangheta e Camorra hanno infatti mostrato di aver spostato l’asse degli interessi economici nella provincia lombarda. Si prevede una sezione specializzata anche per i lavori del ponte sullo stretto di Messina.

01/12/2009