Anacleto Flori

Ragazzi d’oro

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Una squadra di grandi campioni e giovani speranze, che ha portato l’Italia del pugilato sul tetto del mondo

Finalmente il suono del gong spazza via l’ansia dell’attesa. Il cuore pompa sangue e adrenalina, mentre le voci dagli spalti e gli incitamenti dall’angolo diventano all’improvviso brusii sempre più lontani. Al centro del ring i pugili si studiano, si muovono con circospezione; poi accennano un colpo, uno scarto di lato. Prove generali di combattimento. Il primo pugno che arriva dritto al volto ha l’effetto dirompente di un rompighiaccio: i guantoni si incrociano, si scontrano, cercano un varco, un punto debole nella guardia. I colpi si infittiscono, diventano grandinata, le teste oscillano nel tentativo di schivare l’ondata di diretti e montanti mentre le gambe disegnano eleganti passi di danza. Quando i pugni cominciano a farsi sentire, il respiro diventa affannoso, le braccia sono ormai di piombo e i minuti passano sempre più lentamente: prima, seconda, terza ripresa. Il suono del gong arriva come una liberazione per i due pugili che alzano le braccia al cielo e mandano baci al pubblico, come a dire «sono io il campione...». Poi a centro ring si consuma l’ultimo atto, quello più impietoso: il verdetto dei giudici e la gioia del vincitore cui fa da contrappunto lo sconforto dello sconfitto che sportivamente alza il braccio dell’avversario e ne sancisce la vittoria. Ma c’è ancora tempo per l’ultimo gesto, l’ ultimo atto di profondo rispetto: l’abbraccio che cancella ogni traccia di ostilità tra i due contendenti e li fa sentire profondamente fratelli, perché alla fine tutti i pugni, quelli dati e quelli presi, lasciano gli stessi segni, fanno comunque male. Questo è il pugilato, questo il suo fascino.
Un fascino che viene da lontano. Da quei primi epici incontri, narrati nelle pagine dell’Iliade e dell’Eneide, in cui i pugili si affrontavano proteggendosi le mani con lacci di cuoio e placche di piombo.
In epoca moderna la prima scuola di quella che all’epoca veniva definita “la nobile arte della difesa” nacque a Londra nel 1719 e sempre nel Regno Unito venne codificato nel 1867 da J.S. Douglas, marchese di Queensberry, un prototipo di regolamento che conteneva già alcune delle regole principali della boxe moderna. In Italia il pugilato acquista grande popolarità solo a partire dalla metà del Novecento con le prime telecronache degli incontri che tenevano incollati alla tv milioni di spettatori. Neppure la polizia rimane insensibile al fascino e ai valori di riscatto morale del pugilato, dando vita nel 1956 alla sezione boxe delle Fiamme oro che dopo i primi anni trascorsi presso la scuola sottufficiali di Nettuno ha ora trovato la sua sistemazione ideale all’interno del Centro Polifunzionale di Spinaceto. Una struttura moderna e attrezzata lontanissima dalle vecchie palestre di una volta dove l’odore acre di sudore si mescolava a quello del fumo. Macchinari per il potenziamento fisico si alternano ai sacchi di cuoio dove “fare i pugni” e alle corde da saltare mentre sullo sfondo di una parete bianca si staglia imponente il “quadrato” del ring… «Ora i ragazzi stanno “facendo fiato” – spiega l’allenatore Giulio Coletta che con occhio attento osserva i pugili che corrono in fila indiana, inanellando giri su giri – La mattina è dedicata al lavoro fisico in palestra e poi nel pomeriggio si “incrociano i guantoni“ e si passa agli aspetti più propriamente tecnico-tattici».
Ogni giorno due sedute di allenamento, che diventano tre in prossimità dei grandi tornei o quando si è chiamati in nazionale. Per questo la boxe è uno sport che richiede passione e un grande spirito di sacrificio. «Certo non basta la forza – continua l’allenatore – a fare di un buon pugile un campione, ma sono soprattutto la capacità di soffrire, l’intelligenza tattica e la fantasia a fare la differenza. Quando un pugile sale sul ring è davvero solo: noi dall’”angolo” possiamo dargli consigli sulla “lettura” del match, possiamo incoraggiarlo, aiutarlo a superare un momento di difficoltà, ma alla fine è lui che deve affrontare l’avversario, tirare fuori il meglio di sé e portare a casa la vittoria». E a proposito di campioni e di vittorie come non ricordare quelle prestigiose fatte registrare ai recenti Campionati mondiali di Milano da due delle “stelle” più luminose della squadra delle Fiamme oro: il super massimo Roberto Cammarelle, definito il migliore pugile del torneo, che dopo l’oro olimpico di Pechino 2008 ha bissato sul ring di casa (è infatti nato 29 anni fa a Cinisello Balsamo) il titolo iridato conquistato ai mondiali di Chicago del 2007 e Domenico “Mirko” Valentino (24 anni di Marcianise, vera e propria fucina di talenti pugilistici) che ha trionfato nella categoria piuma.
Per questi successi, ottenuti sotto gli occhi del capo della Polizia Antonio Manganelli con la maglia della nazionale, un merito particolare spetta sicuramente al direttore tecnico Claudio De Camillis (arbitro internazionale tra i più apprezzati e titolati al mondo) che con pazienza e tenacia ha saputo mettere insieme un gruppo di atleti che negli ultimi anni ha dominato la scena del panorama pugilistico italiano e internazionale (su 10 boxeur ben 5 fanno parte del giro azzurro). E così oltre alle due “stelle mondiali” la squadra cremisi può contare su un organico in cui esperienza ed entusiasmo giovanile si mescolano dando vita a un mix che si è dimostrato vincente alla perfezione: dai veterani Clemente “Tatanka” Russo (peso massimo, storico argento olimpico a Pechino, ma poco fortunato a Milano), Vincenzo Picardi (bronzo ai mondiali di Chicago nei mosca), Carmine Cirillo (welter), Valerio Giannini (piuma), Salvatore Grieco (medi) e Ivano Del Monte (mediomassimi) alle belle speranze rappresentate da Francesco Rossano (supermassimo come Cammarelle) e soprattutto da Dario Vangeli (21 anni, campione italiano dei welter leggeri, sul quale i tecnici ripongono grandi speranze in vista delle Olimpiadi londinesi del 2012) la cui storia è l’emblema di quello che oggi può rappresentare il pugilato per un ragazzo. «Ho iniziato a boxare quasi per caso: vicino casa avevano aperto una nuova palestra e così sono entrato spinto dalla curiosità. Poi con il tempo ho scoperto una vera e propria passione per quello che io considero non solo uno sport ma una scelta di vita e così sono entrato nel gruppo sportivo della polizia. La boxe ti tiene lontano dalla strada, ti insegna a vivere; è uno sport di disciplina, che al di là dell’aggressività, richiede autocontrollo, freddezza, intelligenza: se non usi la testa, nel pugilato non vai da nessuna parte. È per questo che amo questo sport».
A ricordarci che i campioni non nascono mai per caso, ma che sono quasi sempre frutto di una seria programmazione è proprio De Camillis, l’artefice del miracolo “cremisi”: «Oggi ci godiamo il successo dei nostri pugili, ma nello sport la cosa più difficile è rimanere ai vertici. Non è facile tirar su un campione. Per arrivare ai livelli raggiunti da Cammarelle, Russo e Valentino abbiamo impiegato quasi dieci anni di duro lavoro: prima di tutto bisogna avere la fortuna di poter contare su ragazzi che abbiano del talento, lavorare sulla tecnica, farli crescere con pazienza, anche attraverso le sconfitte. Perché il livello dei tornei e dei campionati internazionali è altissimo e non si possono mandare i ragazzi allo sbaraglio. Una delle prime regole che insegno loro è di non esporsi inutilmente, di non prendere troppi colpi. Il coraggio e il carattere nel nostro sport sono doti fondamentali, ma non bisogna dimenticare che ogni atleta nel corso della propria carriera sostiene qualcosa come 200-300 incontri e allora diventa importante pensare all’incolumità fisica. E poi uno dei segreti di questo strepitoso successo credo sia nello spirito di gruppo che si è creato, che si respira fuori e dentro la palestra: qui i ragazzi sono prima di tutto amici che si aiutano l’uno con l’altro. La boxe è uno sport individuale, certo, ma lo spirito di squadra serve a far crescere tutti. Dall’ultimo arruolato alla prima stella».
E se il segreto del successo è dunque il lavoro, quello di De Camillis e dell’attuale staff tecnico (Giulio Coletta, Michele Caldarerella e Domenico Filippella) ha avuto forse il più bel riconoscimento da Roberto Saviano, l’autore di Gomorra, che, nel suo ultimo libro, ringraziando la sezione di boxe delle Fiamme oro per l’alternativa offerta a ragazzi che altrimenti rischierebbero di finire in giri sbagliati ha detto: «Senza le Fiamme oro non esisterebbe il pugilato dilettantistico. Quindi non esisterebbe più la boxe in Italia».


Regole e Divieti

Colpi proibiti - È vietato:

  • colpire con il palmo, con il polso e con il taglio della mano;
  • colpire con la testa, con la spalla, con l’avambraccio e con il gomito;
  • portare colpi facendo prima compiere al corpo un giro su se stesso;
  • colpire di manrovescio;
  • colpire di striscio e danneggiare comunque l’avversario;
  • colpire l’avversario a terra;
  • colpire al di sotto della cintura, alla nuca, alle spalle e ai reni.


Non costituisce colpo proibito, il colpo regolarmente vibrato che giunge in parte del corpo non ammessa, per fatto o colpa dell’avversario.
Non sono proibiti i colpi vibrati sulle braccia e sugli avambracci, ma essi non sono validi ai fini del punteggio.

Redazione e controllo dei cartellini
Se la giuria dell’incontro è composta da un arbitro e tre giudici, per giudicare l’incontro verranno utilizzate le macchinette contacolpi (nei tornei internazionali i giudici sono 5 e per contare i punti viene usato il sistema computerizzato dello “score machine”). Al termine dell’incontro, ciascun giudice dovrà trascrivere sul cartellino di punteggio il numero dei colpi, totali e per ciascuna ripresa, segnalati dalla macchinetta.
Se la composizione della giuria dell’incontro prevede che l’arbitro svolga anche le funzioni di giudice, al termine di ogni ripresa, l’arbitro-giudice e i giudici provvedono a registrare sul cartellino i punti conseguiti da ciascun pugile, secondo le norme che seguono:

  • vengono assegnati 20 punti al pugile che, nella ripresa, ha colpito l’avversario con un numero di colpi validi superiore a quanti ne ha ricevuti.
  • al pugile soccombente viene assegnato un punteggio inferiore nella misura di:
  1. 1 punto - da 2 a 4 colpi di differenza
  2. 2 punti - da 5 a 7 colpi di differenza
  3. 3 punti - da 8 a 10 colpi di differenza
  4. 4 punti - da 11 a 13 colpi di differenza.

Controllate le somme, il giudice appone in calce al cartellino, insieme con la propria firma, il nome del vincitore.
Il cartellino di norma non deve mai essere corretto. Qualora un giudice incorra in un errore e se ne accorga, deve circoscriverlo e porre la correzione controfirmata a fianco.
Al termine dell’incontro, l’arbitro ritira i cartellini dai singoli giudici e, dopo averli controllati, li consegna al commissario di riunione; questi procede subito alla loro verifica e se rileva degli errori e delle incompletezze deve invitare il giudice che lo ha redatto a perfezionarlo.

Esito degli incontri
L’esito di un incontro di pugilato è deciso nei modi che seguono:

  • vittoria ai punti
  • pareggio
  • vittoria per arresto dell’incontro da parte dell’arbitro
  • vittoria per fuori combattimento
  • vittoria per abbandono
  • vittoria per sospensione tecnica
  • vittoria per squalifica
  • vittoria per assenza dell’avversario
  • No-Contest.
01/11/2009