Alice Vallerini

Riso agrodolce

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Il rapporto tra satira e polizia italiana in un volume che raccoglie le irriverenti vignette pubblicate sui giornali ”fin de siècle”

«Una risata ci seppellirà» annunciava il comico statunitense Jerry Lewis, nel suo più celebre aforisma, mentre le gag irresistibili dei suoi film facevano sbellicare folle di spettatori. E aveva visto giusto. Quella “macchietta” dallo straordinario talento aveva fatto della satira, associata a un’espressività vincente, il cardine di uno stile e di una carriera: ironizzare sulla complessità e anche sulla drammaticità di alcuni aspetti della vita, “ribaltare”gli stereotipi, far leva sul grottesco per tirarne fuori il comico possono diventare strumenti per sprigionare allegria. E permettere all’humor di prendere il volo in una manciata di battute attraverso un linguaggio semplice e irriverente, ma dal contenuto profondo. Proprio come quello delle vignette apparse sui giornali italiani tra l’Ottocento e il Novecento, le prime a dare l’avvio all’intramontabile stagione della presa in giro delle “intoccabili” istituzioni, forze dell’ordine in primis.
Oggi alcune delle centinaia di immagini pubblicate sui quotidiani e sulle riviste specializzate dell’epoca, opera del tratto graffiante di artisti dallo spiccato senso dell’umorismo e lo sguardo attento verso la realtà storico-sociale del loro tempo, sono raccolte nel volume In nome della legge, a cura del presidente del Centro studi Galantara, Fabio Santilli, che ha realizzato il testo in collaborazione con l’Ufficio storico della Polizia di Stato, diretto da Raffaele Camposano, e la Biblioteca centrale di Roma.
Basta scorrere le pagine del testo per cogliere uno spaccato della polizia nel corso dei decenni, le sue contraddizioni, l’evoluzione subìta nel tempo. Gli autori delle vignette, impertinenti e bonari, non risparmiano critiche e mettono nero su bianco con il giusto spessore i punti deboli e i metodi più discutibili applicati negli anni dalla macchina-sicurezza. In un attimo saltano all’occhio i problemi legati alle lungaggini della burocrazia, alle formalità correlate all’organizzazione gerarchica dei poliziotti, le peculiarità del rapporto agenti-cittadini che non sempre è stato all’insegna della trasparenza e dell’apertura come lo è oggi. Così mentre si sfoglia il libro ci si trova a riflettere. Col vantaggio che al lettore scappa anche un sorriso.

L’immagine del “birro” nel tratto graffiante dei vignettisti
L’attenzione dei vignettisti negli anni è tutta rivolta al “birro”, al questurino, sempre ritratto in situazioni assurde, al limite del paradossale, puntualmente in contrasto con la formalità dei ruoli ricoperti dagli agenti. Per comprendere le ragioni di questa impostazione basta soffermarsi sui contributi dei vari autori a corredo del materiale raccolto nel libro: gli approfondimenti sull’evoluzione della satira in Italia, che esplode dopo la concessione dei primi statuti a Napoli, Torino e Roma, passano in rassegna le caratteristiche comuni dei primi giornali di stampo umoristico come l’Arlecchino, il Fischietto, il Don Pirlone.
Non sorprende che non appena il genere ha preso piede, il pubblico si sia appassionato e siano fiorite decine di altre edizioni. E nemmeno il fatto che in tutte le pubblicazioni il disegnatore, la cui vocazione giornalistica si sommava alla missione di dispensare buonumore, non puntava solo a divertire ma ad informare: nelle vignette si mischiavano tragedia e commedia, finendo per dar vita a quel tipo di caricatura spregiudicata e pungente che tutti i potenti temono.
Non è un mistero che le forze dell’ordine abbiano da sempre fornito ai disegnatori spunti per sviluppare l’arte della derisione: le matite non addomesticate di moltissimi arti

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01/11/2009