Ivo Carezzano
"Umiltà e onestà"
Parole e immagini per raccontare le tre giornate triestine dedicate al Patrono della polizia. E per ricordare, attraverso il Premio San Michele Arcangelo, la vita esemplare di un poliziotto
“Una bandiera. Lui potrebbe e dovrebbe essere come la nostra bandiera. Un uomo, un poliziotto che ha voluto lasciare una testimonianza di vita sia privata, nel raccontare la sua malattia, sia pubblica, nel raccontare la sua gioia di essere in polizia. Forse tutti noi dovremmo prendere esempio da questo grande uomo che ha saputo affrontare una così grave e irrimediabile situazione, con un coraggio che pochi avrebbero avuto. Quest’uomo e la sua famiglia meritano grande rispetto e onore”. È questo il testo di uno dei messaggi lanciati in rete da colleghi poliziotti per ricordare la straordinaria vicenda di vita esemplare e di morte coraggiosa dell’ispettore capo Giuseppe Fierro, istruttore alla Polgai, la Scuola di polizia di Brescia, scomparso a 40 anni. A lui, all’eccezionale esempio che ha saputo dare a tutti, è stato assegnato il 29 settembre a Trieste, in occasione della festa del Santo Patrono della Polizia di Stato, il Premio San Michele Arcangelo, istituito per la prima volta “come riconoscimento alle persone che si sono distinte nella loro vita per valori legati al senso di giustizia, altruismo, legalità e spirito di sacrificio”.
Il 29 settembre il capo della Polizia è stato tutto il giorno a Trieste e più volte, come ha detto, ha pensato e ripensato all’ispettore capo Giuseppe Fierro. Ha pensato a lui quando è stato ricordato Giovanni Palatucci: l’eroico questore di Fiume, città oggi croata a due passi da Trieste, che durante l’occupazione tedesca salvò migliaia di ebrei in fuga dalle camere a gas e morì a sua volta deportato a Dachau, per il quale è in corso il processo di canonizzazione, straordinario esempio di coraggio e sacrificio. Ha pensato all’ispettore capo quando al mattino, in occasione del giuramento in piazza Unità d’Italia dei 325 allievi agenti del 172° corso, ha sottolineato, nel suo discorso, come oggi il ruolo del poliziotto sia centrale nel confronto e nella vicinanza con i cittadini «perché i cittadini hanno bisogno di una divisa che sappia confortarli e la polizia non è più solo lo scudo dalla prepotenza della mafia o dell’eversione, ma è anche quella del poliziotto della porta accanto, del poliziotto che ascolta i bisogni altrui e mira a soddisfarli». E chi più di Giuseppe Fierro è stato il poliziotto della porta accanto? Come non ripensare all’ispettore capo che, colpito da un cancro inesorabile, è andato per anni a fare la chemioterapia all’ospedale in divisa perché gli altri malati traessero coraggio e capissero che il male quando colpisce non guarda in faccia nessuno e che anche uomini giovani e forti e addestrati devono combattere la loro battaglia insieme con anziani e donne e bambini e far loro coraggio ed essere d’esempio perché anche un sorriso può aiutare chi soffre?
Anche questo aveva raccontato Giuseppe Fierro nel suo testamento spirituale e il prefetto Antonio Manganelli lo sapeva bene, perché ricordava alla perfezione quando i suoi funzionari addetti al concorso interno per il passaggio da ispettore capo a superiore Sups gli avevano portato l’elaborato di quell’ispettore di Brescia che, alla prova scritta, certo era andato fuori tema – visto che non aveva svolto l’argomento professionale proposto – ma aveva raccontato gli ultimi anni della sua esistenza di poliziotto sempre attivo e sempre presente sul lavoro e impegnato a trasmettere ai suoi allievi alla Scuola Polgai tutto il suo sapere e la sua grande esperienza di polizia giudiziaria e di computer e la sua esistenza difficile quant’altri mai di uomo condannato a morire di lì a poco. E con una moglie poliziotta e due figli meravigliosi, Leonardo e Leonora, che presto sarebbero stati orfani. E il prefetto Manganelli aveva voluto ricordare la storia esemplare di quell’ispettore ai futuri poliziotti e ai giovani funzionari in occasione di giornate di studio a Roma.
Ed è così che a Giuseppe Fierro è stato dedicata la prima edizione del Premio San Michele Arcangelo, istituito proprio nel 60° anniversario della Bolla con cui Papa Pio XII proclamò Michele Arcangelo patrono e protettore della Polizia di Stato: quell’angelo il cui nome in ebraico significa “Chi come Dio?” ed è rappresentato come un combattente che vince e schiaccia il dragone, simbolo di Satana e del male. E l’Arcangelo era ben presente nel pomeriggio del 29 settembre nella cattedrale di San Giusto, durante la Santa Messa: in quella chiesa tanto cara alla memoria degli italiani, simbolo di una città italianissima restituita all’Italia dopo immani sacrifici, è stata anche esposta la Bolla Papale del ’49 ritrovata dall’Ufficio storico della polizia e custodita presso l’ordinariato militare.
Così a sera, al Teatro Verdi, quando il capo della Polizia ha consegnato il Premio alla vedova di Giuseppe Fierro, assistente capo Laura Colella, e l’attore Sebastiano Somma ha letto le quattro pagine protocollo sulle quali l’ispettore capo aveva stilato le sue memorie di poliziotto figlio di poliziotto e fratello di poliziotto e del suo orgoglio di quella professione che per lui era una missione e persino le incredibili parole che chiudono quel testamento e chiedono scusa alla Polizia di Stato per aver usato carta non sua ma dell’Amministrazione per lasciare il suo testamento spirituale, che è riassumibile in due sostantivi: “Umiltà e onestà”, quando tutto questo è successo, allora tutto il Teatro Verdi si è alzato in piedi e ha applaudito la storia di un poliziotto che ne rappresenta al meglio 106mila, quanti sono cioè oggi gli uomini e le donne della Polizia di Stato. Questo gli aveva insegnato suo padre poliziotto, questo lasciava lui in eredità ai suoi figli e a tutti noi.