Annapaola Palagi
Aiutare chi aiuta
Quando lo stress negativo sfocia in una vera e propria sindrome: il burn out. Tra le professioni più a rischio quella del poliziotto. Come intervenire
Emozioni, sentimenti, momenti di sconforto – così come quelli di soddisfazione o di gioia – fanno parte di tutti noi che, in quanto esseri umani, siamo soggetti a stimoli esterni che possono essere causa di stress. «Ma lo stress non sempre ha conseguenze negative – dice la dottoressa Giorgia Minotti, psicologa della Polizia di Stato – anche la nascita di un figlio, ad esempio, è un evento che provoca stress ma certamente di natura positiva». Mentre ci sono dei casi in cui a provocare uno stato emotivo particolarmente difficile è il lavoro. Quando dunque la causa delle nostre insoddisfazioni è l’attività lavorativa, arriviamo a un punto in cui non la svolgiamo più con lo stato d’animo e la professionalità necessari. Mettiamo in atto una sorta di difesa dallo stress creando un distacco emozionale e cercando di evitare contatti sociali. In questo caso si parla di una persona affetta dalla sindrome del burn out. In inglese significa “bruciato”: una persona che si è “cotta” nel corso degli anni affrontando problematiche lavorative troppo pesanti.
Si tratta di uno stato di malessere psicologico che in genere colpisce le persone che lavorano nel campo delle cosiddette helping profession (professioni di aiuto). Medici, infermieri, ma anche appunto poliziotti che nella maggior parte dei casi svolgono un lavoro che li chiama ad aiutare gli altri, anche in situazioni molto difficili e di alto impatto emotivo. L’immagine comune del poliziotto è infatti quella di una persona sottoposta a un lavoro pericoloso e impegnativo; ma chi lo fa spesso trova nella sua attività quotidiana aspetti appaganti e soddisfacenti. Tra questi per esempio proprio il potersi rendere utile al prossimo, il contatto con i cittadini o ancora il senso di responsabil