Roberta Sacchi*

Sembra un gioco

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Prevenire gli abusi contro i minori. Un programma di simulazioni per insegnare ai bambini a (ri)conoscere le situazioni a rischio

Strumenti normativi ad hoc, task force di operatori della polizia altamente specializzati e l’istituzione di una giornata nazionale contro la pedofilia rappresentano il livello delle risposte messe in campo dal Parlamento italiano, dalle forze dell’ordine e dalla società civile di fronte al fenomeno degli abusi nei confronti dei bambini. E nella battaglia antipedofili anche la scuola può giocare un ruolo fondamentale, aprendo le proprie porte e sperimentando iniziative di conoscenza e di prevenzione destinate agli alunni. Ma anche iniziative come quella realizzata dalla “Cooperativa TRE - Formazione e Ricerca”.

Intorno al fenomeno pedofilia c’è ancora una gran confusione. Naturalmente nei bambini. E anche negli adulti. A parlarci, con gli adulti e con i bambini, si ha l’impressione di una gran minestra fatta di killer, drogati, rapitori, zingari, appartenenti a sette di ogni tipo, trafficanti di organi, organizzazioni di maestre indomite, internauti perversi. Il pedofilo si riconoscerebbe dai baffi nazisti. Come Joseph Fritzl il padre-orco viennese. Dagli occhi cerulei. Come Luigi Chiatti, il mostro di Foligno . Al limite è un vecchio rimbambito, facile da riconoscere per la schiena curva. Comunque estraneo. Esterno. Lontano.

“Sembra un gioco…”. La prevenzione primaria della pedofilia
“Sembra un gioco…” è un programma di prevenzione primaria della pedofilia che adotta i giochi di simulazione quale metodo di riconoscimento per evitare situazioni a rischio.
Per capire come prevenire la pedofilia siamo partiti da due punti fermi. Il primo è stato la letteratura scientifica internazionale.
“Sembra un gioco…” si ascrive all’interno dei cosiddetti programmi di prevenzione 3 R (riconoscere, resistere, riferire). Questi programmi sono adottati nel mondo anglofono, con particolare riferimento agli Stati Uniti d’America e diretti ai bambini della fascia d’età delle scuole elementari. La lunga e sistematica applicazione ha consentito di testare la loro efficacia nel prevenire comportamenti a rischio, da parte dei bambini, che “facilitano” il verificarsi ed il perpetuarsi del fenomeno, promuovendo, allo stesso tempo, comportamenti sicuri.
In secondo luogo abbiamo cercato di capire quale fosse lo “stato dell’arte” nel nostro Paese; cosa sanno gli adulti, cosa sanno i bambini, cosa fanno gli adulti e cosa i bambini, cosa dicono gli adulti ai bambini e cosa i bambini agli adulti. Insomma, abbiamo cercato di capire da che punto dovevamo partire.

La prima R… ovvero Riconoscere
Ri-conoscere. Ovvero, quando vediamo un barboncino sappiamo che è un cane a prescindere dal colore, dalla lunghezza del pelo, dalla forma del muso. Riconoscere significa osservare un oggetto, una persona, un evento e ascriverlo all’interno di una certa categoria. Siamo in grado di apprendere un numero sempre maggiore di informazioni grazie a questo straordinario meccanismo, informazioni che ci servono per difenderci, esplorare, mangiare. Per vivere.

Ma come si fa a riconoscere un pedofilo?
Se, per carità, ne avessi già incontrato uno, avrei avuto esperienza del suo modo di fare, di muoversi, di parlare. Ne avrei, appunto, un’idea. Se, dopo averne incontrato uno, ne incontrassi un altro, facendo un confronto tra le informazioni passate e quelle presenti potrei ri-conoscere il secondo. È chiaro quanto questo meccanismo è estremamente efficace per la sopravvivenza.
Se questa esperienza, per fortuna, non mi fosse mai capitata, potrei documentarmi, parlarne, prendere informazioni e farmene, per così dire, un’idea astratta. Il punto è che per i bambini le idee astratte sono poco utili. Il concetto astratto di “scottarsi” è molto difficile che si formi, in un bambino, senza l’esperienza diretta del toccare il forno

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01/10/2009