Alberto Bordi*

Una risposta concreta alla mafia

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La confisca dei beni alla criminalità organizzata rappresenta una vera opportunità per utilizzare gli immobili per fini istituzionali o di utilità sociale

A Roma, nei pressi della porta Ardeatina, all’interno di un grande parco, c’è la Casa del Jazz, costituita da tre edifici che ospitano un auditorium multifunzionale per concerti dal vivo, alcune sale di prova e di registrazione. Non tutti sanno che questa straordinaria attrattiva per i musicofili della Capitale è il frutto della confisca della villa appartenuta al boss della banda della Magliana Enrico Nicoletti, successivamente assegnata al Comune di Roma. Una lapide posta all’ingresso, con i nomi delle vittime di mafia, testimonia la vittoria di una battaglia di civiltà, esattamente come quella portata a termine nel “Parco della legalità” di Casal di Principe, realizzato in una villa confiscata al boss Francesco Schiavone (detto Sandokan) ed inaugurata dallo stesso ministro dell’Interno Roberto Maroni. Quella tra lo Stato italiano, più correttamente tra la nostra Repubblica in tutte le sue componenti costituzionali, e la criminalità organizzata, è infatti una contrapposizione di antica data, quasi un confronto estremo, tra le forze del bene e le forze del male, tra legalità ed illegalità. In questo difficile confronto le istituzioni, complessivamente considerate, sono da sempre alla ricerca di strumenti, strategie e soluzioni che permettano di contrastare in modo sempre più efficace le organizzazioni dedite al crimine e all’illegalità. Al riguardo va ricordato come il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso abbia, in più occasioni, indicato quale strategia vincente per contrastare la malavita organizzata quella di colpire i mafiosi nelle tasche, negli affari, nelle rendite. In sintonia con questa linea, fin dalla metà degli anni Sessanta il legislatore nazionale ha ritenuto che fosse particolarmente utile sequestrare e confiscare i beni della mafia, con l’intento, da una parte, di impoverirne il patrimonio e, dall’altra, di destinare tali beni a finalità di utilità pubblica o sociale. Con questa ratio la legge 575 del 1965 ha disciplinato la confisca dei beni di cui dispongono, direttamente o indirettamente, coloro che sono indiziati di appartenere ad associazioni di stampo mafioso, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta, ovvero quando si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
La disciplina primigenia, estesa successivamente ai beni di persone pericolose per la sicurezza pubblica o che percepiscano proventi da

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01/08/2009