Giovanni Calesini

Norme a fil di lama

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Secondo la legge solo il coltello a scatto necessita di autorizzazione al porto. La maggior parte delle armi da taglio viene considerata “impropria” e liberamente commercializzata. Casi particolari e luoghi comuni

L’11 gennaio 2009 rispondendo ad una interrogazione sulla criminalità diffusa, il ministro dell’Interno ha riferito in parlamento che «tra gli strumenti più comuni utilizzati dai giovani (anche per la loro facile reperibilità) rientrano le armi da taglio». E in effetti scorrendo le cronache più recenti si rileva che questi strumenti di offesa, che sembravano relegati ai racconti di duelli rusticani, sono tornati prepotentemente di attualità e non solo tra i giovani: scontri fra tifosi, rapine, risse notturne, omicidi passionali, liti fra automobilisti, mettono in evidenza sempre più spesso una inaspettata diffusione di coltelli e strumenti da punta e da taglio.
Per arginare i reati connessi al porto abusivo dei coltelli, si auspica un forte inasprimento delle pene. Si tratta di un fenomeno che, in passato, è stato ripetutamente affrontato dalle autorità.
Già negli stati preunitari, ad esempio nel Regno delle due Sicilie, era sorta l’esigenza di disciplinare il porto delle armi da taglio: “Tra le armi di cui in forza di queste leggi è vietata l’asportazione, s’incontrano le armi da fuoco di qualunque specie, ogni ferro puntuto che portasi dentro qualunque mazza, gli stiletti, i coltelli a fronda di oliva, i coltelli a scorciacapre, gli scannatoi, le baionette, i ferri denominati triangoli, i fusetti, le sciabole, i coltelli puntuti ad un taglio, i coltelli a piegatojo con molla. Le indicate leggi non comprendono nella classe di armi vietate gli strumenti rurali, e quelli di qualunque arte, quando si portino per l’esercizio della medesima; purché nel portarsi per transito, si portino palesi, o dentro pelle, o astuccio, o ligati con lacci”. (Istruzioni per la gendarmeria reale, del 26 dicembre 1827).
Analoghe disposizioni si rinvengono nel codice penale del Regno di Sardegna del 1859:
“Art. 453. Le armi o sono tali propriamente o tali si considerano dalla legge. Sono armi proprie quelle da fuoco, ed altre, la cui destinazione principale ed ordinaria o la difesa propria o l’altrui offesa. Sono considerate armi dalla legge e chiamate armi improprie le altre macchine di fuoco, o tutti gli strumenti, utensili o corpi incidenti o perforanti o contundenti, come forbii, coltelli da serrare, sassi, canne e simili, ogniqualvolta se ne faccia uso per uccidere, ferire, percuotere o minacciare.
Art. 454. Nelle disposizioni del presente Codice, ove si parla di fatti in cui siano intervenute armi, persone armate, o minacce a mano armata, sotto il nome d’armi vengono sia le armi proprie e le improprie”.
Nel nostro ordinamento, sulla distinzione tra armi proprie e armi improprie è basata l’attuale normativa relativa alle armi non da sparo.

A) ARMI PROPRIE NON DA SPARO (ART. 4 DELLA LEGGE 110/75)
Secondo la Cassazione, oltre alle armi da sparo la qualificazione di arma propria deve essere attribuita solo agli oggetti la cui destinazione è l’offesa alla persona.
La categoria delle armi non da sparo comprende quindi sia le cosiddette armi bianche (pugnali, spade sciabole eccetera) sia gli strumenti dei quali è vietato il porto in modo assoluto (mazze ferrate, bastoni ferrati, sfollagenti e noccoliere), sia i bastoni animati per i quali il porto è consentito (caso unico di questa categoria) previa licenza del prefetto.
La Cassazione classifica tra le armi proprie non da sparo o “bianche”, il coltello a serramanico a scatto, detto anche “molletta”, il cui porto, vietato in modo assoluto, integra la fattispecie criminosa di cui all’art. 699 cpp secondo comma . Alcune sentenze tuttavia hanno fatto rientrare tra le armi proprie anche il coltello a serramanico che, pur non essendo a scatto, presenta una lama che diventa fissa alla fin

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01/08/2009