Alice Vallerini
Adolescenza violenta
Esce il primo rapporto sulla devianza minorile in Italia. A Sud soprattutto italiani invischiati nelle organizzazioni criminali. Al Centro e al Nord principalmente nomadi e stranieri. E a fianco del nuovo bullismo dei “rampolli di buona famiglia” ritorna
Adolescenti che accoltellano coetanei nel corso di liti scoppiate per banalità, ragazzi che cominciano ad assumere droghe quando sono poco più che bambini e poi commettono rapine e scippi sotto l’effetto di ecstasy, cannabinoidi, cocaina. Giovani che avviano carriere criminali sulle orme del percorso già intrapreso da mamma e papà, o prendono parte ad uno stupro solo per sentirsi parte del “branco”. Figli del degrado e di situazioni familiari complesse, oppure dell’era del benessere che lascia spazio alla solitudine e alla tecnologia ma sempre più spesso allontana i ragazzi da contesti fatti di calore umano e di socialità.
Ha mille facce la devianza minorile in Italia, così come si evolvono nel tempo le caratteristiche degli ospiti degli istituti penali per under 18, dei centri di prima accoglienza e delle comunità per minori del Paese. Luoghi dove si incrociano storie di vita, sguardi, dove si mischiano l’innocenza dell’infanzia e la violenza, dove il dolore si legge negli occhi di ogni ragazzino, anche di quello con l’aria sfrontata e l’atteggiamento da “bullo”, che all’apparenza non ha paura di niente e di nessuno.
Vanno letti con un occhio rivolto alla complessa realtà del sistema giudiziario e con una costante attenzione alle differenze che esistono tra regioni i dati contenuti nel 1° Rapporto sulla devianza minorile in Italia, frutto della collaborazione tra il Dipartimento e i servizi territoriali della giustizia minorile: solo una riflessione di ampio respiro sui numeri, capace di tenere conto di aspetti sociali, educativi, culturali e politico-economici del nostro tempo permette infatti di mettere a fuoco l’immagine del disagio tra adolescenti. Le ragioni alla base della loro vulnerabilità.
Da una prima lettura delle statistiche sul disagio giovanile in Italia pubblicate nella relazione del ministero della Giustizia del dicembre 2008 emerge una situazione sostanzialmente stabile nel tempo, salvo il “picco” di denunce riscontrato nel 2004. È però concentrandosi sull’analisi delle cifre nei differenti contesti locali e sugli scenari regionali della devianza che si riescono a mettere a fuoco le differenze qualitative dell’utenza delle comunità per minori e degli istituti penali (Ipm). Ecco allora venire a galla un dato che spesso sfugge alle osservazioni sul disagio giovanile: la prevalenza di ragazzi stranieri nelle strutture del Nord Italia, la maggiore concentrazione di nomadi in quelle situate nelle zone del Centro, e al Sud la più forte presenza di minorenni italiani coinvolti nella criminalità organizzata.
L’interpretazione fornita dalle autrici del Rapporto – Isabella Mastropasqua, Tiziana Pagliaroli e Maria Stefania Totaro – ai numeri pubblicati nel volume permette di andare oltre l’asettico linguaggio delle cifre: le esperte delineano i tratti connotativi delle varie tipologie di giovani che per motivi diversi approdano alla delinquenza, scavano nei loro percorsi di vita cercando di tracciare un filo comune sulla base delle caratteristiche del nostro territorio. Dall’approfondimento emergono in primis i tratti-chiave dell’utenza italiana dei centri di accoglienza e degli istituti penali per minori, target che caratterizza soprattutto le strutture del Meridione. Qui la maggior parte dei giovani si avvicina alla delinquenza perché cresciuta in condizioni di degrado, lontano da forme educative costruttive. «Quella che oggi si riscontra al Sud – spiega Isabella Mastropasqua – è una sorta di nuova questione meridionale. La forte presenza di minori italiani nelle strutture penitenziarie testimonia che il Sud soffre di investimenti e risorse nell’area servizi sociali». Chi sono dunque i giovani che in queste aree si avvicinano alla malavita? Non sempre ragazzi cresciuti nell’ambiente della criminalità organizzata, spiegano gli esperti, ma spesso vissuti ai margini della società e avvicinatisi alla delinquenza nell’illusione di un futuro migliore. «Abbiamo riscontrato che i membri delle organizzazioni criminali prestano molta attenzione all’educazione dei propri figli – evidenzia Mastropasqua – li mandano a studiare all’estero e poi li fanno approdare nei clan già nei ranghi alti, come “gestori d’impresa”. Sono invece i figli di famiglie indigenti residenti nei piccoli centri del Meridione o nelle periferie delle città ad entrare nel giro del crimine organizzato in posizioni subalterne, attratti dai vantaggi offerti dall’antistato».
A spingere verso la devianza i minori italiani sono anche dinamiche familiari complicate, la moltiplicazione delle esperienze affettive ricondotte al “mordi e fuggi”, l’impossibilità di prevedere un percorso lavorativo non precario, l’influenza esercitata dai mass media. «Spesso questi giovani hanno problemi di tossicodipendenza o psicopatologici – spiega un’altra autrice del testo, Tiziana Pagliaroli – vivono una situazione di disadattamento sociale, di disagio generalizzato frutto del modo di vivere di oggi».
Nelle zone del centro Italia, lo attestano i monitoraggi, la maggior parte dei ragazzi coinvolti nel mondo della devianza minorile appartiene invece all’etnia rom ed è per lo più costituita da romeni nati in Italia e con caratteristiche stanziali, come i rom abruzzesi, anni fa meglio integrati nella società contadina locale e oggi alle prese con una difficile convivenza con il nuovo assetto socio-economico delle terre dove abitano da tempo. Secondo gli esperti a fare le spese dell’evoluzione di certe aree sono stati soprattutto rom e sinti che «collocati ai margini della società hanno sviluppato una economia incentrata sulla commissione di reati predatori». Proprio in questi gruppi si riscontra il maggior numero di ragazze, solitamente una minoranza nell’universo prettamente maschile della devianza minorile: oggi l’utenza femminile straniera dei penitenziari è pari all’11,7% mentre quella italiana si attesta al 2,7. «In molte regioni è forte la presenza di nomadi italiani – puntualizza Pagliaroli – risiedono soprattutto in Abruzzo, Molise, Campania e nel Napoletano». Il Centro per la giustizia minorile del Lazio, per fare un esempio, da anni si caratterizza per la forte presenza di stranieri con una componente rilevante di rom. Solo nel corso del 2007 hanno fatto ingresso nell’Istituto penale per minori di Roma 242 ragazzi, il 45% dei quali di nazionalità romena.
Spostandosi verso il nord del Paese, le statistiche portano a scoprire altri scenari: i numeri attestano che la maggior parte dei minori che approdano nelle strutture penitenziarie e nei centri di accoglienza è di origine straniera. Milano, Roma e Torino registrano le presenze maggiori, mentre la sola Lombardia ospita oggi un quarto degli under 18 stranieri dislocati in strutture di tutta Italia. Si tratta per lo più di romeni ma anche di nordafricani, sudafricani e asiatici. La provenienza maggioritaria dei ragazzi presi in carico dai servizi penali italiani, più in generale, è riconducibile all’Europa dell’Est (il 36% del totale è di origine romena) ma il dato si ridimensiona se rapportato al fatto che i rumeni costituiscono la più consistente fetta di immigrati nel Paese: come evidenzia il dossier Caritas Migrantes 2007-2008, la loro presenza negli ultimi anni è raddoppiata. «Troppo semplice affermare che i romeni delinquono di più rispetto ad altre etnie – evidenzia Pagliaroli – il dato va rapportato a quanti sono, e siccome il numero è consistente va da sé che la possibilità che commettano illeciti si moltiplica». C’è da aggiungere inoltre, come spiegano gli autori della relazione, che nonostante l’impegno della società e della scuola ad accogliere stranieri e ad integrarli, crescere all’estero non è quasi mai un’impresa facile: quello che per un giovane italiano si presenta come un percorso lineare, per uno straniero è spesso un cammino tortuoso e duro da affrontare, capace di provocare frustrazione e dolore che facilmente si trasformano in tendenza a commettere illegalità. Le statistiche sulla presenza degli stranieri nelle scuole, d’altronde, parlano chiaro: negli istituti dell’infanzia e nella scuola primaria se ne concentra la percentuale maggiore mentre pochi continuano a frequentare gli istituti d’istruzione superiore.
Nelle ricche province del Nord la devianza minorile interessa anche un’altra “fetta” di ragazzi, stavolta italiani sebbene in percentuale decisamente inferiore rispetto ai coetanei di altre nazionalità. Sono i cosiddetti “ragazzi senza problemi”. Giovani di ceto medio, scolarizzati e figli delle apparentemente impeccabili “famiglie bene” il cui benessere, come è sottolineato nella relazione, è quasi esclusivamente materiale: uno stato che rende i minori fragili, esposti alla sofferenza.
È in questo contesto che violenze di gruppo, stupri e aggressioni assumono significati simbolici di autoaffermazione, di condivisione con il gruppo dei pari. Forme riempitive di “un grande vuoto”.
Inoltre gli esperti spiegano che oggi soprattutto nel Nord Italia, complice la crisi galoppante, si riaffacciano poi forme di devianza legate a condizioni di svantaggio economico e relazionale rese ancora più evidenti dall’evoluzione degli spazi urbani. In certe zone dell’hinterland e nelle borgate delle città si assiste in sostanza ad un ritorno dei cosiddetti “ragazzi di periferia” che a differenza di un tempo devono fare i conti con una realtà sociale in rapida evoluzione e con la rincorsa perenne verso i modelli irraggiungibili proposti dalla tv. «Si tratta di giovani annoiati, alla ricerca di esperienze forti – conclude Isabella Mastropasqua – molti ai margini di metropoli del Nord come Milano o Torino. Sono ragazzi di borgata che si muovono in bande. Per loro commettere reati è un modo per dire: ci siamo anche noi».
La prevenzione della polizia
L’attività di contrasto dei reati commessi dai minori è costantemente monitorata dal Servizio centrale operativo attraverso l’analisi delle segnalazioni provenienti dagli uffici investigativi territoriali. Dall’impegno degli agenti emerge che i reati sono commessi sia da italiani che da stranieri, con la prevalenza di questi ultimi per quanto riguarda i delitti contro il patrimonio, ad eccezione del danneggiamento, per il quale la presenza degli italiani è nettamente superiore. Anche i reati di tipo associativo e i reati contro la persona (in particolare le lesioni personali) sono commessi quasi esclusivamente da minori di nazionalità italiana, nelle regioni meridionali e nelle isole. L’attività di prevenzione è seguita con particolare attenzione e viene svolta mediante frequenti incontri con studenti, sia nelle scuole che negli uffici di polizia dove viene illustrato il lavoro degli operatori. Vari sono gli argomenti trattati, dalla prevenzione all’uso di alcol e droghe al fenomeno del bullismo, per il quale si è riscontrato un aumento in ambito scolastico. In particolare, nei mesi di febbraio, marzo e aprile, su impulso del Servizio centrale operativo, nell’ambito di un progetto denominato Davide2, sono stati organizzati più di mille incontri nelle scuole sul tema dell’educazione alla legalità.