a cura di Antonino Errante Parrino

Armi e forze di polizia: uso legittimo, sicurezza e maneggio

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Cenni normativi, tecnico-operativi e deontologici

1. PREMESSA
Dopo i recenti fatti di cronaca, per i quali è emersa la problematica relativa all’uso delle armi da fuoco da parte delle forze di polizia, molti operatori di polizia hanno chiesto, fra l’altro, di indicare e illustrare il quadro normativo del vigente ordinamento giuridico che consente un lecito impiego delle armi e dei mezzi di coazione fisica in dotazione.
Si ritiene opportuno, pertanto, illustrare gli aspetti salienti di questa attualissima problematica, la cui trattazione dovrebbe essere costantemente proposta all’attenzione degli operatori delle forze di polizia, sia nei momenti di formazione e aggiornamento nella fase iniziale dell’addestramento presso gli Istituti d’istruzione, quale elemento importante per il raggiungimento di un completo bagaglio professionale individuale, sia in un adeguato spazio permanente nell’ambito del periodico aggiornamento professionale, da effettuare nelle sedi delle strutture e articolazioni operative degli uffici e reparti di appartenenza.

È noto che le armi in genere, ed in particolare quelle da sparo e da fuoco, sono state inventate e costruite dall’uomo con il principale scopo di utilizzarle per fini bellici, di caccia, di polizia e sportivi.
Ogni arma da fuoco, sia corta che lunga, dotata di specifiche peculiarità tecniche proprie della classe e della tipologia di appartenenza, racchiude peculiari potenzialità offensive per l’incolumità umana che, se utilizzate in maniera superficiale e per fini illeciti, possono invariabilmente arrecare danni irreparabili alla sicurezza del singolo e della collettività.
Allo scopo di evitare ciò, la normativa vigente di settore ne disciplina in maniera categorica la vendita, l’acquisizione, la detenzione e l’uso , in particolare quelle da fuoco, prevedendo ed attuando una serie di controlli preventivi e adempimenti imprescindibili per coloro che legittimamente le posseggono o le portano. Lo stato attuale della legislazione sulle armi appare oggettivamente complesso, per certi aspetti disarmonico, in quanto pensato ed emanato in tempi storici diversi, spesso sull’onda di situazioni di emergenza; si evidenzia che, al momento, manca una raccolta normativa organica che dia indirizzi chiari, univoci e razionali, ritenendo auspicabile la predisposizione da parte del legislatore di un Testo unico delle armi.

Specifici divieti, controlli e prescrizioni sono previsti sia per le armi da guerra e tipo guerra (quelle a funzionamento automatico con spiccata potenzialità di offesa e in esclusiva dotazione alle forze armate e alle forze di polizia, definite dall’art. 1 della legge 18 aprile 1975, n. 110) che per le armi comuni (prevalentemente detenute e portate su autorizzazione dai cittadini, indicate dall’art. 2 della stessa legge).
La tipologia e le relative caratteristiche dell’armamento (individuale e di reparto) in dotazione al personale delle forze di polizia sono invece tratteggiate da specifiche disposizioni normative (ad esempio, per la Polizia di Stato, dal dpr 5 ottobre 1991, n. 359; per la Polizia Penitenziaria dal dpr 12 dicembre 1992, n. 551; per il Corpo Forestale dello Stato dal dpr 7 febbraio 1994, n. 210).
L’uso delle armi da fuoco può essere lecito o illecito, conforme o non alla destinazione originale dell’arma; inoltre, l’uso dell’arma può essere classificato in diversi modi, dal più semplice e innocuo, caratterizzato dal semplice porto sulla persona, al più pericoloso, come il suo utilizzo per minacciare o a quello più estremo, che si concretizza nel tentativo o nella realizzazione dello sparo per menomare o distruggere la vita umana.
Le problematiche connesse all’uso legittimo delle armi da fuoco da parte dei pubblici ufficiali in ragione della loro peculiare attività operativa, sono molteplici ed estremamente delicate. L’argomento è stato oggetto nel tempo di intenso studio ed analisi di moltissimi autori; la varietà delle situazioni oggettive e soggettive che possono indurre all’uso effettivo delle armi da fuoco gli operatori delle Forze di polizia , costituiscono il maggiore ostacolo per una trattazione esauriente ed univoca dell’argomento.
Ci limitiamo, pertanto, a delineare e commentare brevemente le più importanti disposizioni di legge che consentono l’utilizzo legittimo delle armi, sia per il privato che per l’operatore della sicurezza in genere, ovvero per i pubblici ufficiali, suggerendo nel contempo alcuni particolari atteggiamenti operativi pertinenti alla tematica.

2. Uso delle armi in situazioni di difesa legittima (art. 52 cp)
“Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui, contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
Qualsiasi diritto può essere difeso legittimamente, anche con le armi nelle situazioni di estremo pericolo per la propria e l’altrui incolumità, ma deve sempre ricorrere il requisito della proporzione tra la forma di difesa adottata e l’offesa da respingere. Non potrà invocare la legittima difesa chi, ad esempio, spari per respingere l’aggressione portatagli a mano nuda da una persona quando sarebbe stato sufficiente al massimo per respingerla la semplice minaccia con l’arma.
Il legislatore ha profondamente innovato l’art. 52 del cp con la legge 13 febbraio 2006 n. 59 (Gu n. 51 del 2 marzo 2006), intitolata “Modifica all’art. 52 del cp in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio”, che ha aggiunto due nuovi commi alla norma citata disponendo che: “Nei casi previsti dall’articolo 614 cp (violazione di domicilio), primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a. la propria o altrui incolumità;
b. i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
In generale, quindi, con i due nuovi commi dell’art. 52 cp viene stabilito che quando ci si trova nel domicilio privato o nel proprio negozio od ufficio, si può fare uso delle armi, legittimamente detenute, o di altro mezzo idoneo, per difendere non solo l’incolumità delle persone, ma anche dei beni propri o altrui. L’uso delle armi, nelle citate situazioni, è possibile a condizione che il ladro o rapinatore non desista e che vi sia pericolo di aggressione.
Il legislatore, con tali ulteriori disposizioni, ha inteso rimarcare la prevalenza del diritto di difesa dell’incolumità e della proprietà rispetto alla tutela dell’aggressore da reazioni drastiche, quando i fatti avvengono nell’abitazione o all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
La nuova disposizione ha quindi introdotto una casistica che dovrà essere attentamente chiarita, così come dovranno essere chiariti in senso concreto i concetti di desistenza e di pericolo di aggressione. In dottrina e nelle sedi giudiziarie, al riguardo, sono già emersi diversi dibattiti, discussioni e difformità interpretative.
Pertanto, riservandoci di approfondire in futuro e in altre sedi la tematica, possiamo comunque registrare che la Corte di Cassazione –Sezione Penale – con sentenza del 23 marzo 2007, n. 12466, ha precisato che il comma 2 dell’articolo 52 del cp non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui (contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, oppure clandestinamente o con l’inganno), ma presuppone che vi sia un attacco, nell’ambiente domestico o lavorativo, alla propria o altrui incolumità (ci si riferisce ai beni rappresentati dalla vita e dall’integrità fisica), o quanto meno un concreto “pericolo di aggressione” (che deve essere intesa come probabilità generica di aggressione fisica, cioè all’integrità individuale della vittima).
Pur prescindendo dalla sussistenza della proporzione tra la reazione difensiva ed il pericolo di offesa all’incolumità individuale (che viene presunta dal comma 2 della norma in esame, se l’autotutela si esercita nei casi di cui all’art. 614 cp, oppure all’interno di ogni altro luogo ove venga svolta un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale), l’autotutela in ambito privato, pertanto, non può comunque configurarsi senza la presenza degli altri requisiti strutturali richiesti dal comma 1 dell’art. 52 cp, cioè pericolo attuale di offesa ingiusta, costrizione e necessità della difesa. Alla luce di ciò, affinché possa riconoscersi la sussistenza dell’esimente della legittima difesa in un luogo privato, si ritiene indispensabile che il pericolo di aggressione minacciato sia attuale e concreto.
In relazione al concetto di mancata desistenza, la norma vuole indicare che l’aggressore non deve avere abbandonato la situazione di pericolo attuale. L’offesa, quindi, deve essere imminente o perdurante. La specificazione “non vi sia desistenza” sembra che sia stata indicata nella norma allo scopo di non attribuire presunzione di proporzione quando, ad esempio, il ladro fugga senza refurtiva e nonostante ciò il proprietario lo colpisca. Il requisito della mancata desistenza sembra circoscrivere temporalmente l’ambito di applicazione della legittima difesa: infatti, se l’aggressore non ha desistito dall’azione, significa che l’aggressione è ancora in corso e il pericolo è perdurante e non ancora finito.
Il concetto di desistenza, che si rinviene nel comma 3 dell’articolo 56 cp (… il colpevole volontariamente desiste dall’azione…), presuppone una azione non portata a termine.
La difesa esclusivamente “ritorsiva” o di “rappresaglia”, rispetto ad un’aggressione già conclusasi, pertanto, è da ritenere illegittima. Si rimarca, quindi, che l’indicazione della mancata desistenza, specificata dall’articolo 52 cp, significa che si esclude la legittimità della difesa rispetto ad un’offesa che si è realmente consumata o neutralizzata.
Per ora, in attesa che si chiariscano alcuni punti controversi di interpretazione della norma, prendiamo comunque atto dell’esistenza delle nuove opportunità di difesa concesse al cittadino per preservare nell’ambito domestico e lavorativo la propria incolumità, quella dei suoi congiunti e dei suoi beni patrimoniali.
Al riguardo, comunque, la recente giurisprudenza è orientata ad affermare che, a fronte di una reazione armata in un luogo privato che abbia causato un pregiudizio per la vita o l’incolumità fisica dell’aggressore, la scriminante della legittima difesa potrà essere riconosciuta solo se viene accertata la compresenza delle seguenti condizioni: il pericolo dell’offesa risultava attuale e non meramente potenziale; la reazione violenta attuata verso l’aggressore era l’unica consentita all’aggredito per mancanza di altre modalità di reazione meno dannose; la reazione violenta era giustificata dalla necessità di tutelare la vita o l’incolumità dell’aggredito o di altri.

3. Uso legittimo delle armi (art. 53 cp)
Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti (art. 51, Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere, ed art. 52 – Difesa legittima –), “non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, di sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza.
Possono avvalersi di tale speciale disposizione alcune categorie di pubblici ufficiali, più specificatamente gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria (la nozione di pubblico ufficiale è indicata dal cp all’articolo 357: “Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa(…)”.
Potrà avvalersene, altresì, qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti as

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01/03/2009