Ivo Carezzano
Sessant’anni di storia, insieme
L’Italia vista attraverso i quasi settecento numeri di Poliziamoderna che, dal 1949, accompagna la vita della nostra Istituzione e dei poliziotti
S olo tre anni in bianco e nero, poi Poliziamoderna vara già nel ’52 le copertine a colori. Cambia formato: più grande, più luminosa. Il senso del cambiamento lo danno le istantanee di due momenti lontani e opposti della storia italiana di quegli anni: la tragedia dell’alluvione del Polesine del ’51 e i volti sorridenti delle “mulette” che incontrano, per primi, i giovani del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza che sono arrivati a liberare Trieste. Da una parte immagini eternamente grigie, dall’altra gli squilli bianco-rosso-verdi delle bandiere che garriscono al vento teso del 26 ottobre ’54 sul sagrato di San Giusto.Perché i circa 700 numeri di Poliziamoderna che abbiamo alle spalle, oltre a essere la testimonianza di 60 anni di storia della Polizia di Stato, sono anche la cronaca in diretta delle vicende che l’Italia ha attraversato: i tanti momenti tristissimi – terremoti, frane, alluvioni, nevicate e gelate devastanti – e le tante giornate belle e radiose che hanno segnato un punto in più per quell’Italia, in divisa e in borghese, che non si è mai arresa.
Ed è proprio da Trieste che nel 1960, a pagina 23 del numero di agosto, arriva la foto delle prime poliziotte italiane: tanto eleganti nei loro castigati tailleur da far concorrenza alle nuove uniformi che le guardie di pubblica sicurezza hanno presentato nel ’56 alla parata militare per il decennale della Repubblica. Ricordate i pantaloni carta da zucchero e le giacche blu o bianche (invernali o estive) dei reparti a cavallo?
Il 1960 è un anno di svolta. Per l’immagine dell’Italia (che dal 24 agosto ospita la XVII Olimpiade moderna) e per la pubblica sicurezza, che dal 1° ottobre ha un nuovo capo. Destino vuole che i due avvenimenti s’incrocino nel numero di settembre-ottobre. In copertina sorridono gli otto atleti delle Fiamme oro con le medaglie vinte ai Giochi di Roma: ricordate gli ori nella pallanuoto e l’indimenticabile sprint di Livio Berruti nei 200 piani? Girate pagina e trovate Mario Scelba che ha sostituito il prefetto Giovanni Carcaterra con il prefetto Angelo Vicari, reduce dalla lotta al banditismo in Sicilia e dopo la positiva esperienza di mediatore nei delicati conflitti sociali di Milano. Sarà capo della Polizia per 13 anni e lascerà un’impronta profonda nell’istituzione, che Poliziamoderna documenterà puntualmente. Ed ecco nel ’64 la mitica Ferrari del maresciallo Spatafora che blocca una Giulietta sprint in fuga, ecco le giovani guardie che nel ’63 combattono contro il fango e i detriti della catastrofe del Vajont e l’anno dopo sono in prima linea contro i banditi sulle montagne del nuorese. Ecco la bella copertina di luglio che lancia l’Accademia del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e il numero speciale dell’ottobre ’64, in cui i direttori dei grandi quotidiani danno i voti alla polizia, ormai strutturata in 12 specialità: giudiziaria, reparti celeri e mobili, frontiere aerea, terrestre e marittima, polizia stradale e ferroviaria, telecomunicazioni, motorizzazione, salvamento, guardie a cavallo e Fiamme oro. Di questi uomini (e ormai anche donne) i giornalisti interpellati dicono: veri amici della gente al passo con i tempi.
E puntualmente Poliziamoderna dà conto dell’evoluzione del Corpo in due servizi del marzo ’67. A pagina 4 un’indagine statistica mostra come cambino le regioni d’origine degli allievi: in testa sempre il Sud, Campania per prima, ma il Lazio cresce e cominciano a pesare anche Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli. A pagina 8 invece, udite udite, scopriamo che la polizia debutta ufficialmente in tv. Titolo di sei telefilm: Il triangolo rosso. Jacques Sernas – tenente Marchi – e Riccardo Garrone ed Elio Pandolfi – brigadieri Salerno e Poggi – interpretano il ruolo di specialisti della Stradale che riescono a risolvere casi di criminalità ricchi di suspense, affrontando nel contempo altrettanti delicati problemi di coscienza. Grande successo. Il battesimo in video contribuisce a rafforzare sempre più l’immagine della polizia: un’immagine positiva che, proprio in quell’autunno del ’67, riceve un ulteriore (ma tragico) contributo. È il 30 settembre quando alla stazione di Trento, gremita di passeggeri, viene individuata in un bagaglio una bomba ad orologeria attivata dai terroristi. Il brigadiere Filippo Foti e la guardia scelta Edoardo Martini prelevano la valigia e la portano lontano, all’ultimo binario. È una corsa contro i secondi. L’esplosione arriva, puntuale e micidiale. I due eroi sono morti, consapevoli, perché l’ordigno non falciasse centinaia di persone. L’opinione pubblica è scossa da questo sacrificio che si ricollega idealmente alle decine di agenti uccisi nel dopoguerra da banditi e criminali di ogni genere. Ed è proprio contro ogni forma di criminalità che nel ’69 viene varato il “113”, il glorioso numero del pronto intervento diventato sinonimo di sicurezza e soccorso.
È a questo punto – nel segno delle Volanti – che il capo della Polizia può affermare: «La rappresentazione del poliziotto impreparato, incolto, che attinge autorità solo dalla divisa, è ormai remota. Il valore della sua presenza nella società è quello che lo porta a operare nella piena consapevolezza di essere un cittadino al servizio di altri cittadini». Ed è proprio uno di questi giovani poliziotti – che i giornali chiamano con affetto e rispetto “figlio del popolo”, facendo eco alle parole del poeta Pier Paolo Pasolini – che diventa simbolo, il 19 novembre ’69, dei terribili anni che stanno per cominciare: è Antonio Annarumma, ucciso a 22 anni a Milano con un tubo d’acciaio conficcato nel cranio nel corso di una delle manifestazioni, sempre più violente, che a lungo attraverseranno tragicamente l’Italia. Un particolare drammatico: il 21 novembre – come Poliziamoderna documenta con i suoi servizi fotografici – il funerale di Annarumma passa proprio per piazza Fontana, lì dove, pochi giorni dopo (il 12 dicembre) scoppierà la bomba nella Banca dell’Agricoltura che avvierà la dolorosa teoria delle stragi di cittadini inermi.
Poliziamoderna documenterà fedelmente il periodo (1967-1985) che la pubblicistica ha definito “della contestazione, delle nuove conquiste sociali e degli anni di piombo”. Mentre gli americani vanno sulla Luna – la rivista dedica allo sbarco un bel servizio nel luglio ’69 – l’Italia scivola negli anni più difficili che segnano un ulteriore punto di svolta con l’assassinio premeditato del commissario Luigi Calabresi, la mattina del 17 maggio ’72, a Milano. La nazione è sconvolta. La moglie, che aspetta il loro terzo figlio, pronuncia parole straordinarie: «Che Dio faccia tornare la pace tra gli uomini, che si guardi avanti senza paura, che le strade non si bagnino più di sangue». Purtroppo, al contrario, la violenza ormai dilaga: a meno di un anno, il 12 aprile, durante una manifestazione a Milano, una bomba a mano uccide Antonio Marino, guardia di 23 anni del 3° Raggruppamento celere. È emergenza ordine pubblico. Ma non per questo la polizia trascura tutte le altre molteplici attività. E Poliziamoderna le documenta. Dallo speciale sulla Stradale del luglio ’71 (che ricorda come dal 1947 i caduti in servizio sulle strade siano stati 3 ufficiali, 22 sottufficiali e 199 appuntati e guardie) ai servizi sulla Scientifica del marzo ’72 (ben 33 pagine con fotografie, anche storicamente rilevanti), dallo speciale sull’Accademia di ps del febbraio ’73 (anche qui 33 pagine ricche di dati e immagini) agli articoli ben documentati di ottobre sul Servizio aereo: l’ultima nata, allora, tra le specialità della nostra polizia.
Ed è questa polizia in continuo rinnovamento che va per la seconda volta in tv. È il maggio ’73 e debutta Qui Squadra mobile, con Giancarlo Sbragia nei panni del capo degli investigatori. Per sei martedì milioni di italiani stanno incollati al video per seguire la Mobile di Roma alle prese con clamorosi casi di “nera” realmente accaduti.
Il ’75 è per Poliziamoderna anno di novità. A gennaio cambiano grafica e formato. E tra febbraio, aprile e novembre si apre, sulle sue pagine e per la prima volta, il dibattito sulla smilitarizzazione e sulla creazione dei Comitati di rappresentanza del personale della ps. Comincia così il confronto di idee che porterà alla riforma e che vede, in quegli anni, il varo di numerose leggi (armi, stupefacenti e ordine pubblico) finalizzate alla pubblica sicurezza. Insomma, si cambia davvero. La rivista ospita le proposte dei partiti per la riforma e intanto documenta, anche plasticamente, il cambiamento. A gennaio ’76 vengono infatti introdotti i nuovi colori identificativi per i veicoli di istituto. Addio al cupo grigioverde del dopoguerra e via con l’azzurro e bianco che renderanno le auto e le moto della polizia infinitamente più visibili.
“Nel pozzo della violenza”, titola Poliziamoderna nel 1977, passando in rassegna, con tristezza e rigore, i fatti di sangue, per lo più a sfondo politico, che contraddistinguono questo periodo. E il 16 marzo del 1978 si arriva all’apice con il rapimento di Aldo Moro e l’esecuzione con ottanta colpi di mitra della sua scorta: muoiono due carabinieri e tre guardie di pubblica sicurezza. Capo della Polizia è Giuseppe Parlato, il primo che viene da una carriera interna all’Istituzione. E c’è bisogno di tutto il sangue freddo dell’ex questore di Reggio Calabria, Milano e Roma per affrontare, tutte insieme, minacce che prendono i connotati di guerriglia urbana, espropri proletari, attacchi violenti ai sindacalisti, attentati e omicidi contro giornalisti, sequestri di persona anche mortali (politici e a scopo di riscatto), clamorose evasioni e fughe di detenuti e imputati “eccellenti”.
Ma il ’78 è anche l’anno in cui si comincia a riemergere “dal pozzo della violenza”: l’elezione di Sandro Pertini al Quirinale e la nomina di Karol Wojtyla al soglio pontificio (è la copertina di novembre) portano nuove speranze. Speranze che la rivista trasforma, nel suo primo numero del ’79, in un servizio davvero originale. Agli allievi di alcune scuole medie di Roma viene chiesto di affrontare il tema: «Io e il poliziotto». Centinaia di svolgimenti vengono commentati con studenti e professori. Ne nasce un grande affresco in cui i ragazzi affermano: vogliamo la polizia più vicina, vogliamo il poliziotto di quartiere.
E la nuova polizia arriva. Neppure il drammatico 1980 – continui agguati alle forze dell’ordine, strage di Bologna, terremoto dell’Irpinia – ferma il processo in atto. La primavera dell’81 vede il battesimo della Polizia di Stato, che la rivista documenta pubblicando la nuova normativa, base dello stato giuridico e del lavoro di decine di migliaia di specialisti della sicurezza. Una nuova organizzazione che dimostra subito la sua efficienza. A San Pietro, il 13 maggio, viene bloccato l’attentatore che aveva appena sparato a Giovanni Paolo II: Alì Agca. E a Padova viene liberato, di lì a pochi mesi, il generale Dozier, rapito dai terroristi. Così la copertina di marzo ’82 è dedicata ai Nocs: gli uomini del Nucleo operativo centrale di sicurezza, costituito nel ’78, in 90 secondi hanno neutralizzato 5 terroristi armati e ridato libertà all’ostaggio, senza sparare un colpo. Una polizia, moderna ed efficiente, che a Montecitorio (alle 19,29 del 15 dicembre ’83) riceve il suo primo contratto di lavoro. La copertina di Poliziamoderna di gennaio ’84traduce la firma del contratto in una stretta di mano stilizzata che rinnova l’antico patto per la sicurezza di tutti.
E infatti sono ancora i poliziotti a combattere in prima linea la battaglia contro ogni minaccia. Così, nella seconda metà degli anni Ottanta, se il pericolo terrorista comincia a risultare più contenuto, è la criminalità organizzata che torna all’offensiva. Come dimostra la tragica estate dell’85 in cui in 9 giorni, a Palermo, vengono uccisi due funzionari e un agente. I loro nomi: Giuseppe Montana, Antonio Cassarà, Roberto Antiochia. Quando questi fatti avvengono, capo della Polizia è Giuseppe Porpora, il quale sa bene cosa vuol dire morire in quel modo perché anche suo padre, poliziotto, era stato ucciso nel 1947 da mano criminale.
Il primo numero di Poliziamoderna dell’87 è dedicato al cambio al vertice: nuovo capo della Polizia è Vincenzo Parisi, un funzionario che, a fine carriera nel ’94, dopo 91 mesi alla direzione generale della pubblica sicurezza, avrà lavorato per ben 42 anni al Viminale. Primo obiettivo della nuova regia: rafforzare le strutture interforze e creare il Nucleo anticrimine, che successivamente diventerà il Servizio centrale operativo. Una strategia che porterà a grandi successi investigativi, tanto da spingere la mafia siciliana a eliminare i due magistrati di punta, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In entrambe le stragi, nella buia primavera-estate del ’92, altissimo sarà il contributo pagato dagli uomini e dalle donne della Polizia di Stato addetti alle scorte.
Ma gli anni Novanta non sono solo lacrime e sangue. Come la rivista documenta mese dopo mese, sono anche anni fecondi e di passaggio a un clima diverso. Infatti Poliziamoderna inaugura l’ultimo decennio del secolo con uno speciale intitolato Dentro gli Anni ‘90, in cui le grandi firme della cultura italiana prefigurano gli scenari che il mondo e l’Italia dovranno affrontare nell’immediato futuro. Previsioni che – rilette oggi – si rivelano acute. Invero, al centro della problematica, gli esperti interpellati (da Spadolini a Ferrarotti, da Alatri a Barbiellini Amidei) pongono quel fenomeno che solo molto più tardi sarà definito: globalizzazione.
E arriva il ’90, l’anno dei Mondiali d’Italia, ed è l’occasione buona per fare il punto sugli stadi, la violenza, i tifosi, gli ultras: uno di quei temi che si imporrà prepotente negli anni a venire e che sarà governato solo grazie alla professionalità acquisita dai vertici delle forze dell’ordine che studiano – per capire il fenomeno – anche ciò che succede in tanti altri Paesi. Perché ormai è così. Ormai la sicurezza, declinata in tutte le sue voci, è diventata un problema globale. Tanto che Poliziamoderna pubblica, nel marzo ’91, addirittura un glossario plurilingue per l’operatore di polizia, ovvero Le 1.000 parole della sicurezza presentate nelle quattro lingue principali d’Europa e delle Americhe.
Insomma, una rivista all’avanguardia che, ad aprile ’93, lancia Un computer per amico: una serie di servizi in cui storici e scienziati di primo piano preannunciano gli sviluppi futuri della rivoluzione cibernetica, a cui fanno da opportuno contraltare gli articoli degli esperti della Polizia di Stato che mettono in guardia contro i rischi collegati ad un uso improprio e illegale di queste meraviglie della tecnologia.
In questa logica, Poliziamoderna pone al centro dei suoi interessi i temi strategici. Come a giugno ’95, con una serie di servizi che pongono in risalto la “questione immigrazione”, o a maggio ’98, quando, in una lunga intervista, Sergio Zavoli – l’autore dell’affresco televisivo intitolato L’autunno della Repubblica – ripercorre gli ultimi 30 anni di storia d’Italia. Per arrivare al ’99, data altamente simbolica per Poliziamoderna, che a gennaio compie il primo mezzo secolo di vita. Un anno in cui, a scorrere i mesi, sembra quasi che la rivista abbia deciso di concentrare sulle sue pagine tutti i grandi nodi che riguardano la sicurezza: calcio e ultras, immigrazione e clandestini, xenofobia e ordine pubblico, volontariato e bullismo, eco e narcomafie, racket e nuovi schiavi. Nella prospettiva dell’imminente passaggio all’euro vengono scandagliati i crimini transnazionali, che campeggiano nella copertina di maggio.
Siamo alla svolta del XXI secolo. L’inizio di un terzo millennio che promette molto e mantiene poco. A partire dalla lunga estate calda del 2001, che comincia a Genova a luglio per finire a New York a settembre. Al G8 in programma nel capoluogo ligure di scena è la violenza. I black bloc, giunti in forze e ben organizzati dall’estero, scatenano la guerriglia. «Fantasmi. Spaccano, incendiano, devastano, lanciano molotov, saccheggiano. Poi spariscono». Così comincia il primo dei servizi che Poliziamoderna dedica ai tragici giorni di Genova: tragici perché alla fine rimane esanime sull’asfalto anche un ragazzo ventenne e centinaia saranno i feriti tra manifestanti e forze dell’ordine. La rivista analizza in dettaglio i preliminari, lo svolgimento e gli esiti di quelle giornate. E l’editoriale così conclude: «Al di là della responsabilità dei singoli, resta fuori discussione la cultura democratica della Polizia di Stato, a 20 anni dalla riforma che ha smilitarizzato il Corpo. Vent’anni di successi contro ogni genere di criminalità organizzata, di rispetto e difesa delle regole democratiche della Repubblica».
Regole democratiche che vengono indirettamente ma pesantemente minacciate l’11 settembre dal catastrofico attentato alle Torri gemelle di New York. «Inutile negarlo – si legge nel fondo di Poliziamoderna – il ricorso ai piloti-kamikaze rende tutto più difficile. Ma il pericolo maggiore è il diffondersi del panico, per questo la risposta scelta, allarme senza allarmismi, è certamente la più efficace».
Infine, il presente che stiamo vivendo. Anche Poliziamoderna procede in questi anni al suo costante rinnovamento. La scelta editoriale degli inserti tecnici di supporto al lavoro di agenti, sovrintendenti, ispettori e funzionari ottiene un alto gradimento dai lettori. L’altra scelta di fondo – intervenire sui grandi temi della sicurezza con servizi autorevoli e molto documentati – finisce invece per funzionare da boa di riferimento per tutti coloro che vogliono approfondire le conoscenze in queste delicate materie. Un duplice risultato che ha spinto l’editore – il Fondo assistenza per il personale della pubblica sicurezza, presieduto dal capo della Polizia – a varare prima il sito www.poliziamoderna.it, che permette a tutti di leggere su Internet articoli e abstract della rivista a partire dal 2004, e poi a introdurre una profonda trasformazione grafica a partire dall’aprile del 2008. È il mensile che avete davanti.
Piero Angela/Quando non c’era la televisione
Se ci guardiamo allo specchio abbiamo l’impressione di non cambiare, da un giorno all’altro: ma se tiriamo fuori da un cassetto una fotografia di 10 o 20 anni fa ci accorgiamo, eccome, quanto siamo cambiati. Così è per la società in cui viviamo: per noi oggi è normale che ci sia traffico nelle ore di punta, o che con il telecomando possiamo cambiare canale, o che la maggior parte dei giovani raggiunga le soglie dell’università. Ma se guardiamo cosa succedeva in passato ci accorgiamo che è avvenuto un cambiamento incredibile. Sessant’anni fa solo pochi privilegiati possedevano un’automobile, la televisione non si sapeva neppure cosa fosse, la maggior parte dei giovani aveva un basso livello educativo. E dal Veneto (oggi ricco) arrivavano allora treni pieni di mondine per lavorare nelle risaie pavesi e vercellesi con i piedi nell’acqua, tra le zanzare, per pochi soldi.
Se si torna ancora più indietro, all’epoca in cui era nato mio padre, c’è da rimanere allibiti: alla fine dell’800 due italiani su tre lavoravano con la zappa nei campi, la carne era un lusso, oltre il 60% della popolazione era completamente analfabeta, il gabinetto era fuori casa, e la speranza di vita era di 42 anni.
Cosa è successo nel frattempo? È successo che scienza e tecnologia hanno cambiato il modo di produrre, spostando enormi masse dall’agricoltura all’industria, dalle campagne alle città. E poi ai servizi. Ovunque l’automazione e le macchine hanno consentito di aumentare vertiginosamente la produzione di cibo e di oggetti. Non solo, ma la tecno-scienza ha “inventato” anche l’energia. Il petrolio, che per millenni praticamente non è quasi servito ad alcunché, è diventato una cosa capace di far girare le macchine, qualsiasi tipo di macchine, e di produrre crescente ricchezza.
In un mio libro ho scritto che «la liberazione femminile è un sottoprodotto del petrolio». Ed è così. E lo è stata anche quella maschile. Se per ipotesi venissero a mancare di colpo tecnologia ed energia si tornerebbe nei campi a zappare, per produrre cibo con i muscoli. E si tornerebbe a essere poveri e analfabeti.
Anche un libro di filosofia, infatti, è il risultato di una lunga catena tecnologica, come lo è uno studente, che per 15-20-25 anni non produce né cibo né beni, ma consuma soltanto. Anche le professioni intellettuali (sempre più numerose) vivono sull’efficienza del sistema tecno-energetico.
Cosa vuol dire tutto questo? Vuol dire che una società moderna, se vuole continuare a mantenere questo sviluppo e riuscire ad essere al passo con un mondo che cambia rapidissimamente, deve essere sempre competitiva. Ciò significa ricerca, innovazione, brevetti, scienza, scuola, eccellenza eccetera.
Continuamente leggiamo, invece, che ricerca, scuola, università sono molto in ritardo in Italia, rispetto ai Paesi nostri competitori. Leggiamo anche, disgraziatamente, che il merito non viene riconosciuto, e che molti giovani di grande talento sono costretti ad andare all’estero (dove portano la loro ricchezza creativa) perché in patria si trovano imprigionati e scavalcati da un sistema che non li premia.
Ma questo è un danno terribile per tutto il Paese. È come se la Juventus o il Milan non facessero giocare i più bravi, ma gli amici degli amici: la squadra rapidamente perderebbe. Tanto più se non stiamo più giocando le “amichevoli” regionali, ma i campionati del mondo. Questo, del resto, vale non solo per la ricerca ma per ogni altro campo della nostra vita sociale.
Due concetti, per concludere. Da un lato l’urgenza che il nostro Paese investa di più e meglio nella ricerca, che premi ovunque il merito, che dia slancio alla scuola e all’università. Ma dall’altro che si sviluppi una cultura scientifica che permetta anche di capire dove sta andando la nostra nave, per evitare gli iceberg che si stanno profilando. Questo sviluppo, infatti, non porta solo vantaggi, ma anche inconvenienti. E anche pericoli, in particolare rischi ambientali. Occorre quindi molta lungimiranza per capire che gli adattamenti non si possono fare all’ultimo momento, ma debbono essere programmati con anticipo.
Questo è anche il ruolo di chi fa divulgazione e informazione. L’ottimismo e il pessimismo non sono entità astratte: sono il risultato dell’azione degli uomini.
01/01/2009