Loredana Lutta
Le “finestre” di NY
Usa
Che un ambiente urbano degradato da vandalismi e graffiti influenzi i comportamenti delle persone lo aveva già affermato George Kelling alla fine degli anni Ottanta. Lasciare gli edifici in stato di abbandono, senza sostituire i vetri rotti dai teppisti, imbrattati e coperti di immondizia, ma anche portare a spasso il cane senza tenerlo al guinzaglio o bere in strada, per il sociologo americano favorivano comportamenti più gravi dell’incuria o della semplice violazione di norme di convivenza sociale e dovevano quindi essere sanzionati. Questa teoria, detta delle “finestre rotte”, pur avendo riscosso enorme successo nella New York di Rudolph Giuliani con il nome di “tolleranza zero”, non era stata ancora provata scientificamente. Lo ha fatto il professor Kees Keizer dell’Università olandese di Groningen che ha così fatto piazza pulita dei dubbi che a New York la criminalità sia diminuita per altri motivi, come l’inasprimento delle pene o un benessere più diffuso. Gli esperimenti condotti dal suo gruppo di studio hanno infatti dimostrato che un contesto, in cui la violazione delle norme è palese, è contagioso e incoraggia atteggiamenti ancora più irrispettosi, se non addirittura criminali. Questo è emerso osservando il comportamento delle persone in luoghi presentati prima in condizioni di ordine e poi di abbandono. Ad esempio, in una stradina per il parcheggio di biciclette, nella prima ambientazione i muri erano stati riverniciati a nuovo, nella seconda coperti di graffiti. In entrambe era ben visibile il segnale con il divieto di imbrattare i muri e sul manubrio delle biciclette era