di Anacleto Flori

La Prof e ... il Commissario

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Poliziamoderna ha incontrato Veronica Pivetti e Paolo Conticini che, con il successo della terza serie di Provaci ancora prof, si sono confermati come la coppia investigativa più famosa del momento

(il Commissario)

Con Provaci ancora Prof siete partiti con 4 puntate, poi sono diventate 6 ed ora 8. Quando ha letto il copione per la prima volta pensava a un simile successo?
Se accetti un progetto è perché credi che sia valido e che possa piacere al pubblico. Certo un successo di questa portata era quasi insperabile, anche perché abbiamo dovuto affrontare, di volta in volta, la concorrenza di programmi agguerriti, su cui erano stati fatti grandi investimenti; quest’anno ad esempio abbiamo dovuto fare i conti con Distretto di Polizia, una vera e propria corazzata. La chiave del successo credo sia da ricercare nel fatto che Provaci ancora Prof è una serie a tutto tondo, in cui c’è spazio per l’azione e la suspence del giallo, ma anche per i sentimenti e gli intrecci amorosi.
Lei interpreta il Commissario Berardi: un poliziotto garbato e ironico. Quanto c’è di suo in questo personaggio? 
Leggendo il copione sono rimasto subito colpito dal ruolo che mi veniva offerto perché ci ritrovavo qualcosa di me; poi, anche se i miei eroi polizieschi rimangono il tenente Kojac o il commissario Maigret, durante le registrazioni ho cercato di seguire le indicazioni di Rossella Izzo (la regista delle tre serie ndr) la quale voleva un poliziotto che avesse la simpatia e l’eleganza di un Cary Grant. Il paragone era quasi imbarazzante, però devo dire che, alla fine, la sua idea di un commissario gentiluomo ha funzionato benissimo.
In tv tutti sono bravi a fare i rappresentanti della legge… ma come va nella vita di tutti giorni con il rispetto delle regole? Ad esempio, come stiamo con i punti sulla patente?
Da questo punto di vista ho le carte in regola: non bevo, non mi drogo e in moto rispetto i limiti di velocità, tanto che sulla patente credo di avere 22 o forse 24 punti visto che qualche tempo fa mi è arrivata una lettera per avvertirmi che, per buona condotta, mi sono stati accreditati dei punti in più.
In Provaci ancora Prof i casi di polizia si intrecciano alle vicende degli studenti di una scuola romana, lei che rapporto ha avuto con lo studio?
Abbastanza problematico, per usare un eufemismo. Mi ricordo che già alle medie ero intenzionato a lasciare gli studi e quando lo comunicai a mio padre, lui non fece storie limitandosi a dire «va bene, vorrà dire che da domani verrai a lavorare con me». Il primo giorno mi svegliai alle cinque di mattina e mi feci otto ore al reparto imbiancatura e sverniciatura, uno dei più duri; il secondo mi alzai a fatica, il terzo mi girai dall’altra parte del letto e dissi a mio padre che sarei tornato a scuola. Non so quante altre volte ho lasciato e ripreso gli studi: già avevo poca voglia di studiare ,in più il fatto che si chiamasse “scuola dell’obbligo” non mi andava affatto a genio. Poi una volta giunto alle superiori, le cose sono andate decisamente meglio e ho preso il diploma artistico.
Secondo qualcuno “fare il giornalista è sempre meglio che lavorare”, è una battuta che vale anche per gli attori? 
Beh, qualcuno dice che in fondo noi attori siamo pagati “per giocare”. Non è proprio così. Io, come spesso avviene, ho iniziato a recitare per caso: mandando alcune foto ad un agente pubblicitario mi sono ritrovato a “girare” un paio di film in pochissimo tempo. Allora ho pensato che fare l’attore fosse la cosa più semplice del mondo. Con il tempo ho scoperto, invece, che per fare questo lavoro bisogna essere degli incoscienti, perché è un mestiere difficile, che non ti dà mai nessuna certezza: tutta la carriera, le cose che fai o hai fatto rimangono poggiate sull’acqua, sempre sul punto di essere rimescolate dall’urto delle onde. È una sorta di roulette dove conta la bravura, ma in cui entrano in gioco mille fattori esterni, che difficilmente riesci a controllare. 
L’anno scorso con Parlami di me insieme a Christian De Sica è arrivato anche il successo a teatro, si è trattato solo di una parentesi? 
Con Christian avevo già debuttato qualche anno fa con Un americano a Parigi e, dopo un tuffo nel teatro classico con Medea, sono tornato di nuovo al musical andando in tournée per due stagioni con Parlami di me che ha riscosso un grandissimo successo. Poter ballare, cantare e recitare sul palcoscenico credo sia una delle soddisfazioni più belle per un attore. Fare teatro significa stabilire un contatto diretto con il pubblico sera dopo sera, e per uno come me, timido ma al tempo stesso sfrontato, andare in scena davanti a centinaia di spettatori è una continua sfida; ogni volta prima di entrare le gambe mi tremano dalla paura ma sento anche una voce dentro che mi spinge ad andare avanti: è una scossa di adrenalina pura.
Cinema, teatro, televisione, cosa l’aspetta per il futuro?
Mi piacerebbe tornare sul palcoscenico al più presto. In questi mesi ho anche avuto delle proposte interessanti, ma ero già impegnato sul set di Provaci ancora Prof; ma anche questo fa parte del gioco. Ci sono periodi in cui il telefono non squilla per mesi interi, poi all’improvviso ti capitano contemporaneamente cinque o sei proposte di lavoro. Ed è proprio in quel momento che devi essere bravo e fortunato a fare la scelta giusta. L’importante, però, è continuare a recitare e poter avere, magari come regalo per i miei quarant’anni, un bel film con un ruolo da protagonista tutto per me.

(la Prof)

Anche la terza serie della Prof si è conclusa. Contenta di come è andata?
Direi proprio di sì. Era difficile ripetere il successo straordinario delle prime due serie, però anche questa volta il pubblico ci ha seguiti con tanto affetto. Buona parte del merito va agli sceneggiatori, perché le storie,  tratte dai romanzi di Margherita Oggero, riescono sempre a mantenere il giusto equilibrio tra dramma e commedia, spruzzando qua e là il racconto di situazioni e di battute che stemperano la tensione e strappano il sorriso. Un altro aspetto importante è rappresentato dalla riconoscibilità dei personaggi: la possibilità per il pubblico di calarsi di volta in volta nei panni e nelle inchieste del commissario Berardi, così come nelle vicende familiari della Professoressa Camilla.
A proposito di Camilla, come è nato questo personaggio che le ha portato tanta fortuna?
In realtà con la Endemol (la casa di produzione ndr) avrei dovuto fare un altro lavoro che poi, invece, è saltato. Allora il produttore, Massimo Del Frate, mi ha chiamato dicendomi «non ti preoccupare, vedrai che prima o poi faremo qualcosa insieme, ci tengo a lavorare con te…» . Al momento ho pensato che fossero le solite frasi di circostanza che si dicono agli attori in simili occasioni, invece dopo un paio di mesi mi manda un riassunto degli episodi della Prof da girare: c’è voluto poco per capire che Camilla mi somigliava moltissimo e che era una parte fatta apposta per me. Una scelta azzeccata visto che poi abbiamo avuto un successo pazzesco, sbaragliando la concorrenza.
Quello della Professoressa è un personaggio di grande attualità, vista la riforma che, non senza polemiche, sta interessando il nostro sistema scolastico. Che ne pensa?
Certo rispetto alle tensioni quotidiane che attraversano la nostra scuola, Provaci ancora Prof ha cercato di darne un’ immagine più serena e tranquillizzante, soprattutto abbiamo voluto raccontare le vicende di un’insegnante che parla e si confronta con i propri allievi. Credo che certi disagi adolescenziali siano la cartina di tornasole della difficoltà degli insegnanti  a  rapportarsi con il mondo giovanile, e degli stessi genitori, che non si propongono in modo sufficientemente affascinante da poter catturare l’attenzione dei ragazzi, che in questo modo cercano rifugio nei videogames, su Internet o YouTube. Gli episodi di bullismo e di illegalità crescente nelle aule di scuola non possono essere risolti soltanto con le punizioni o con la minaccia del 5 in condotta e della bocciatura. A volte è necessario mostrare la giusta fermezza, senza però dimenticare quanto siano importanti il dialogo e le  iniziative educative realizzate apposta per le scuole.
La polizia è impegnata da anni in campagne educative per i giovani e nelle scuole…
È una scelta importante, perché bisogna avere il coraggio di affrontare i giovani sul loro terreno, spiegando cosa sono il sesso, la droga, l’alcol e le insidie e le trappole degli eccessi in genere. Basti pensare che in una delle puntate della serie, ad esempio, abbiamo fatto in modo che il commissario Berardi incontrasse gli studenti per presentare il progetto di legalità Un poliziotto per amico, promosso dalla Polizia di Stato. È stato un bel modo per legare fiction e realtà e soprattutto per dare, ai telespettatori più giovani, un modello positivo da seguire.
Cambiano le fiction, da Commesse al Maresciallo Rocca a Provaci ancora Prof, il pubblico però continua a seguirla con affetto, qual è il segreto?
Credo dipenda dall’onestà delle scelte. Sono stata sempre  selettiva con i ruoli che mi venivano offerti e ho cercato di resistere alla tentazione del film girato soltanto per far soldi, rifiutando di interpretare personaggi che non mi convincevano fino in fondo. D’altronde, se sbagli scelte il pubblico difficilmente ti perdona: se crede che non gli stai offrendo un buon prodotto, se pensa di non potersi più fidare di te, ti molla in un attimo. È una questione di rispetto per chi ti segue. E credo che nel tempo questa coerenza sia stata apprezzata dagli spettatori che in qualche modo continuano a gratificarmi con una sorta di premio fedeltà.
Un esordio cinematografico con i fiocchi con Viaggi di nozze di Carlo Verdone e un film con la regia di Lina Wertmuller, e poi  più nulla. Come mai?
Non so perché con il cinema sia andata così. Forse perché mi sono trovata subito bene con Commesse, il mio primo lavoro televisivo, e mi sono dedicata di più alla tv; qualche copione mi è anche arrivato però non mi piaceva ed è finita là. Certo se mi venisse offerto un bel ruolo…. Bisogna, però, imparare a seminare qua e là per poi raccogliere i frutti: se il cinema non ti vuole, ci sono  la televisione, la radio, il teatro o anche il doppiaggio. Io faccio di tutto purché, ripeto, sia convinta della bontà della scelta.
A proposito di radio, è un po’ che non la sentiamo in onda, pensa di tornare con un nuovo programma?
Ho un ricordo bellissimo della radio, con gli sceneggiati trasmessi la mattina su Radio2 come Mata Hari, Giovanna D’Arco o Jolanda la figlia del Corsaro Nero oppure con il varietà Veronica in. Solo che la radio richiede una sorta di fedeltà assoluta: se accetti di fare un programma radiofonico devi mettere in conto che per almeno sei mesi non puoi fare altro. Certo andare in onda con un spazio tutto mio un po’ mi manca, e così, quando posso, accetto di condurre qualche programma magari nelle fasce notturne: andare in onda di notte è faticoso soprattutto se il giorno dopo devi girare qualche scena: ma mi diverto un mondo anche perché la libertà di espressione che hai alla radio, in tv te la puoi scordare…
Per lei è un periodo di grandi soddisfazioni, qual è stata la più bella?
Giorni fa, mentre ero fuori a pranzo in una trattoria alle porte di Roma, una ragazza si è avvicinata per salutarmi, poi con un mezzo sospiro ha detto: «Magari avessi avuto una Professoressa come lei!». Le assicuro che è stata davvero una bella soddisfazione...

01/11/2008