Vittorino Andreoli

Psicologicamente sempre pronti

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La sicurezza in occasione di importanti appuntamenti ad alto rischio comporta un enorme sforzo organizzativo ma anche un’adeguata preparazione per mantenere lucidità e capacità decisionale

Premessa
In vista dei grandi eventi che si svolgeranno in Italia nel corso del 2009 – dal summit del  G8, ai Mondiali di nuoto e ai Giochi del Mediterraneo –  un grande esperto di problemi legati alla psiche fornisce alcune indicazioni per la preparazione degli uomini e delle donne della polizia che opereranno in quelle circostanze.
Il tema degli eventi ad alto rischio tocca anche l’ambito della psicologia, che nel tempo si è sempre più interessata del senso del pericolo, non solo all’interno dei gruppi operativi, come la Polizia di Stato, ma proprio nel vivere sociale. Prima di affrontare nello specifico quali siano le necessità per una formazione del personale alle emergenze, è utile tratteggiare la cornice entro cui collocare il tema attraverso alcune parole chiave.

La paura
La prima parola chiave è paura, intesa secondo due ottiche diverse e correlate: la paura di chi opera e la paura di chi agisce.
Durante l’evento ad alto rischio entrambe le parti in causa sperimentano sempre la paura anche se non sempre chi la prova ne è consapevole.
In simili situazioni è fondamentale che le forze dell’ordine conoscano la presenza tanto della paura vissuta dentro di loro, quanto di quella che bisogna incutere nell’altra parte, perché il poliziotto funziona al contempo come freno e come propulsione nell’azione.
La paura diventa una specie di filo conduttore del grande evento, ovvero di una situazione ad alto rischio. L’equazione grande evento/grande rischio serve a sottolineare l’ampia incombenza del pericolo.
L’operatore che presta servizio durante l’evento a rischio inevitabilmente prova paura: la chiameremo la paura dentro di sé. Essa non è un difetto bensì un sistema di autoconservazione che riattiva tutte le funzioni necessarie a proteggersi, tanto a livello biologico quanto psichico. Se non prepariamo le persone a considerare l’insorgere in loro della paura, se le formiamo insegnando loro a basarsi solo sulla forza, la paura comparirà comunque durante l’operazione, ma in quel momento avrà un ruolo determinante e deleterio. In quell’attimo, infatti, l’offuscamento sarà tale che la mente correrà alla moglie, ai figli, a casa, senza riuscire più a focalizzare l’attenzione sul presente impellente della situazione. Senza un’adeguata preparazione la paura si trasforma in difesa estrema o, ancor peggio, in distruttività.
Nell’istante distruttivo non c’è valutazione che quella disperata di giocare il tutto per tutto, mettendo a repentaglio persino la propria incolumità. A differenza della violenza, la distruttività è anche una violenza verso se stessi. Se gli uomini e le donne che hanno il compito di fronteggiare le situazioni ad alto rischio non vengono addestrati sulle esperienze di vissuti di paura, si troveranno, nel momento reale della crisi, a sperimentarla senza filtri e difese, arrivando a fare qualunque cosa. La paura annulla razionalità e capacità decisionale.
A questa prima faccia, la paura dentro di sé, se ne aggiunge una seconda che è la paura esterna: la paura attorno a sé. È necessario che gli agenti comprendano che anche gli altri, schierati di fronte a loro, provano una paura uguale e contraria. Gli agenti devono dunque essere formati a comprendere che il ruolo che rappresentano funziona, in quel contesto, come un simbolo che scatena negli altri timore, anche quando sembra che non lo provino.
Occorre procedere perciò ad un’analisi dello stato emotivo, psicologico in cui si trova quel manifestante, quel gruppo, soprattutto considerando che sovente si inseriscono, in queste situazioni, singoli individui con l’intento di fomentare.

L’eroe
La seconda parola che metterei in questa cornice è eroe. Bisogna evitare che un programma di formazione per gli eventi ad alto rischio si trasformi in una preparazione ad essere eroi. Talvolta si respira, in alcuni poliziotti, una certa tensione titanica. L’eroe è colui che fa cose eccezionali e che anzi deve esternare un gesto eccezionale per dimostrarsi tale. Nessun terreno è tanto fertile per questa aspirazione quanto la condizione di emergenza.
Dobbiamo avere timore di quelli che vogliono fare gli eroi. Il bisogno di eroismo spinge a cercare il pericolo che è la condizione stessa perché quell’eroismo si possa mostrare.
Emblematica è la storia di Achille ed Ettore. Achille è l’eroe per antonomasia. Ne rappresenta la perfetta incarnazione. Achille ha voglia di primeggiare, di incidere nella memoria eterna il suo nome. Nell’Iliade si racconta che, ad un certo punto, Ettore sente che sta per perdere. Lascia qualche istante il campo di battaglia ed entra dentro le mura di Troia. Vuole salutare sua moglie e il figlio. Achille freme. Sa di essere forte, il più forte e vuole dimostrarlo. Quando Ettore torna, lo uccide. Ma Achille non è soddisfatto. Ordina che i suoi arti vengano legati ai cavalli perché siano strappati. Se il corpo è mutilato, Ettore non avrà neppure diritto alla sepoltura.
Questo è l’eroe. Questo il suo gesto titanico. Uccidere non basta, bisogna uccidere persino il cadavere. L’eroe non può “solo” vincere, deve stravincere, deve farlo nel modo più eclatante. Eppure questo bisogno ne mostra in fondo la debolezza. La debolezza dell’eroe: alla fine Achille esce dal campo e cosa fa? Va dalla madre, Teti, e piange. La forza non è mai la grande espressione di una persona. Anche per vincere bisogna saperlo fare in un modo che non sia troppo clamoroso.

Il gruppo
La terza parola chiave è gruppo o squadra. Un gruppo si compone di persone che interagiscono tra loro e sono legate, ma soprattutto rispondono ad uno stesso uomo che è colui che le comanda. Se nel gruppo esiste una sorta di leader preformato, quasi sempre è meglio allontanarlo e creare un nuovo insieme. L’autorità va infatti esercitata solo dal comandante cui è istituzionalmente assegnato quel ruolo. È fondamentale che nei gruppi non operi una gerarchia interna.
Naturalmente il passaggio degli ordini deve avvenire velocemente. La paura non aspetta ed è endemica. Bastano pochi minuti per creare il panico. Perché in base a dinamiche collettive il gruppo può funzionare come terapia per la paura, ma può anche accadere il contrario, ossia che il gruppo la moltiplichi, la diffonda. Per impedire questo, l’ordine deve arrivare con tempestività e la comunicazione essere chiara, diretta. Solo così la paura si seda. Non sparisce, certo, ma dal gruppo confluisce sul leader e si disperde rispetto allo scenario di pericolo.
Self esteem
Un’altra parola da aggiungere a questa cornice è self esteem. Significa: “devi avere stima di te”. È un concetto che, a differenza dell’eroismo, si lega alla consapevolezza di essere parte di una forza, come la forza di polizia, la quale ha una funzione che si proietta sul singolo che ne è membro. Nel self esteem non è contemplata l’ambizione personale e narcisistica di chi intende fare dell’emergenza il teatro soggettivo, né tantomeno la rivendicazione personale, ma la dignità della propria professionalità.

La cultura del nemico
Spesso, in situazioni pericolose, scatta un meccanismo che è quello del nemico. La cultura del nemico è fuorviante, soprattutto quando da una delle due parti si trovano le forze dell’ordine. È necessario che la Polizia di Stato trovi il modo per esplicitare la sua natura, per chiarire che non è nemica di nessuno. Compito della polizia è garantire la serenità e dunque impedire la violenza. Nell’interesse di tutti. Un messaggio capace di andare persino oltre: “Aiutateci a non usare la forza”.
Il ruolo del poliziotto è quello di difesa. Difesa per tutti. Difesa dalla violenza. Il poliziotto impiegato nelle funzioni di ordine pubblico non ha un nemico contro cui andare, ma svolge semplicemente il suo compito.

La formazione alla decisione
Alcuni anni fa venni chiamato a Fiumicino dall’Alitalia presso un centro di addestramento piloti molto avanzato, dotato di aerei di terra e voli simulati. C’era un computer che proponeva diversi livelli di difficoltà e a me competeva osservare come gli allievi prendessero le decisioni in casi di emergenza.
Erano due le scuole di pensiero contrapposte. L’una addestrava alla scelta razionale, ossia affidava al pilota il compito di valutare il pericolo e assumere la decisione. L’altra, invece, prevedeva di riferirsi a panel di decisione, per cui all’insorgere di quella data situazione si doveva immediatamente schiacciare un certo bottone che attivava tutta una serie di funzioni preordinate.
La conclusione cui giunsi fu di escludere che di fronte all’emergenza si facesse decidere il pilota su quanto andava fatto, prediligendo il secondo modello. Ciò perché nel momento in cui si manifesta una condizione critica, la cui caratteristica è proprio di avvenire in maniera repentina e inaspettata, di rovesciare insomma lo scenario sperimentato fino ad un attimo prima, insorgeva nei piloti uno stato di completa confusione, che durava 40/50 secondi. Un tempo prezioso in cui l’inattività rischiava di diventare drammatica, tanto quanto un eccesso di azione.
Quindi, mentre si dovrebbe formare il poliziotto a decidere nell’ordinario sempre, negli eventi ad alto rischio non dovrebbe mai prendere una decisione personale.
Occorre che l’assuma, invece, una persona a cui arrivino i dati in tempo reale e che sia in grado di fare una valutazione lucida. Solo la ragione permette delle scelte proporzionali.
Pertanto la formazione alla decisione deve essere fatta solo a coloro a cui spetterà in concreto scegliere. Quello che poi va curato con precisione è il modo della comunicazione della decisione, rapida nonché priva di termini che possano indurre confusione. La cosa peggiore sarebbe coinvolgere in questa formazione anche chi la decisione non deve assumerla mai. Gli altri componenti della squadra dovranno invece essere allenati alla ricezione del messaggio.

Lo scenario operativo
Per scenario operativo s’intendono tutti quei luoghi in cui l’evento ad alto rischio può concretizzarsi. È necessario che le forze che si trovino ad agire in quello spazio lo conoscano prima. Ma la conoscenza deve spingersi oltre la semplice visione della mappa del luogo. In pratica ciascun operatore deve essere posto nella condizione di immaginare tutto ciò che potrà accadere. A partire dalla mappa, valutare le entrate, i posti da cui si potrebbe verificare uno sfondamento, se ci sono passaggi sull’acqua, dove sono le vie di fuga. Deve, in un certo senso, viverlo nella mente, inscenando nella testa ciò che non dovrà capitare nella realtà. Solo così sarà possibile adottare in concreto le cautele affinché quelle eventualità di pericolo non si esplicitino nello svolgersi delle manifestazioni.
Per far sì che l’operatore conosca lo scenario – una piazza, un aeroporto, una stazione – occorre permettergli di sperimentarlo in addestramento. Oggi ciò è possibile grazie alla tecnologia che dalla ripresa video del luogo dove è in programmazione un dato evento procede alla ricostruzione tridimensionale dell’ambiente al computer.
Tuttavia, nonostante il massimo impegno per vedere e pre-vedere, bisogna ricordare che non tutto è controllabile. Dunque continua a permanere la possibilità che si verifichino inaspettatamente momenti drammatici. Su quel momento drammatico bisogna focalizzarsi durante la formazione.

Gli uomini giusti
I criteri per scegliere chi inviare in missione dovranno essere semplici, diretti, lineari in modo che nessuno si senta discriminato. Però se si ricevono delle proteste esse non fanno altro che confermare che è stato bene escludere chi le ha mosse. Forse quella persona cercava un’occasione per mettersi in mostra. Analogamente, se qualcuno vive quella destinazione come un peso, potrebbe celare una depressione, per cui il compito non gli andrebbe assegnato, non in quel momento almeno. Anche persone assolutamente valide per quella mansione ad alto rischio, non sono in grado di assumersela in quel frangente, perché stanno vivendo problemi familiari gravi.  Nell’istante del rischio penserebbero ai propri cari anziché preoccuparsi per la propria incolumità.
Inoltre spesso per le missioni la scelta cade su individui giovani. Invece ritengo sia necessaria gente esperta che ha acquisito la capacità di dominare le emozioni. Se nel gruppo si capisce che quello è nervoso, che si infiamma facilmente, ne risentono anche gli altri e l’intera operazione.
Un altro punto da chiarire è l’impiego di donne in questi frangenti. Sarebbe opportuno aumentarne l’utilizzo proprio in prima linea, perché è molto più facile che un malintenzionato, che con la violenza pensa di riscattarsi, di fronte ad una donna s’inibisca.
Infine è importante sottolineare che la formazione agli eventi ad alto rischio deve essere continua e permanente e includere anche i funzionari di prima linea, cioè coloro che dovranno decidere al momento critico.

Rispondere alla violenza
Abbiamo detto che non ci sono nemici, che la polizia è una forza di difesa della società. Tuttavia se la violenza si scatena, bisogna che le forze dell’ordine agiscano. Ciò va espresso in modo molto chiaro. Oggi l’agente deve stare attento che qualunque atto compia, anche solo fermare un braccio o allontanare un colpo, possa venire fotografato da un telefonino ed essere sbattuto online dopo nemmeno mezz’ora. Occorre invece riuscire a fare in modo che il gesto per impedire la violenza dell’altro, che quindi può impegnare la forza, non sia condizionato in quell’istante dalla paura del ludibrio pubblico o dal pensiero di “come mi giudicheranno la mia famiglia e i miei amici?”. Una simile preoccupazione paralizza l’operatore. Perciò è opportuno insegnare che quando si è costretti a ricorrere alla forza, non ci si deve far condizionare dalle videocamere.



Eu-Sec: più collaborazione e informazione
Svoltasi a Roma, presso la Scuola superiore di polizia dal 7 al 9 luglio, la conferenza Eu-sec ha chiuso il progetto finanziato dalla Commissione europea che ha visto impegnati 10 Paesi dell’Unione in materia di governo e gestione della sicurezza dei grandi eventi. I lavori hanno coinvolto 21 Paesi europei oltre a Unicri e Commissione dell’Ue. Molte le conclusioni condivise e riportate in un vero e proprio manuale (scaricabile dal sito www.osservatoriosport.interno.it), redatto al termine dei lavori, che, partendo da modelli operativi consolidati, quale quello di cooperazione di polizia proposto dall’Italia per le Olimpiadi invernali di Torino, hanno posto l’accento sulla partnership tra pubblico e privato e i risvolti di “natura etica” connessi all’organizzazione di un grande evento. È stato sottolineato come i meccanismi di collaborazione tra la componente pubblica e quella privata, sempre presenti in tali grandi manifestazioni, debbano trovare un momento di raccordo metodologico che trovi il giusto equilibrio tra l’autonomia privatistica e la funzione di “tutela dell’interesse pubblico” propria delle istituzioni governative. Anche sul fronte delle “questioni etiche” i delegati hanno trovato punti di condivisione nel voler dare spazio e continuità alle tecniche di comunicazione ed informazione ai cittadini ed alle categorie di persone interessate. Lanciato il progetto denominato “Eu-Sec II” che prenderà avvio già nei prossimi mesi.
01/10/2008