Annapaola Palagi

In viaggio verso la fantascienza

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Allo studio nuovi e sofisticati sistemi di analisi delle immagini da mettere a disposizione degli uomini della Polizia Scientifica. Tra zoom digitale e "High Definition", la tecnologia è sempre più al servizio delle indagini

Incastrato da una telecamera. Succede sempre più spesso che gli autori di una rapina vengano identificati grazie alle immagini riprese da telecamere, installate in banche, uffici postali e vari esercizi commerciali a tutela della sicurezza dei dipendenti e dei clienti. Di poco tempo fa la notizia che, grazie all’impianto di video sorveglianza di un parcheggio multipiano a Firenze, gli investigatori sono riusciti a identificare i responsabili, minorenni, di gravi atti vandalici compiuti all’interno della struttura. Estrapolare le immagini ed esaminarle può servire per individuare dettagli e particolari importanti, ma anche, e soprattutto, per ricostruire la dinamica dei fatti e quindi raccogliere informazioni utili per le indagini. Per svolgere questo tipo di lavoro esiste al Servizio Polizia Scientifica un settore specifico che è il Laboratorio di video-documentazione e analisi delle immagini, inserito all’interno dell’Unità di analisi del crimine violento. I video da analizzare possono essere quelli girati con telefonini o telecamere amatoriali o quelli ripresi dalle telecamere di video-sorveglianza così come quelli delle telecamere usate dalla polizia durante gli appostamenti. «Ma non sempre è così facile riuscire ad identificare le persone dalle immagini estrapolate dai filmati» dicono gli esperti.

Dal cinema alla realtà:
il salto è grande
Le immagini digitali hanno infatti, già di per sé, qualche limite fisico in quanto sono solitamente soggette a compressione: i programmi utilizzati per acquisire e memorizzare i video comprimono il file, riducendo al tempo stesso la quantità di informazioni e quindi la qualità delle immagini. È un modo questo per rendere i filmati più facilmente gestibili dai sistemi hardware. Ma «per poter definire i particolari di un’immagine è invece necessario – specifica il capo laboratorio Maurizio Arnone – che quest’ultima abbia un’alta risoluzione, cioè che sia composta da un elevato numero di pixel (informazioni digitali elementari, puntiformi, che nell’insieme formano un’immagine, ndr)». Ma oltre al numero di pixel, i fattori che incidono sulla qualità delle immagini, e quindi sulla buona riuscita delle indagini, possono essere tanti altri. Ad esempio: la scarsa illuminazione del luogo, oppure un controluce, o la posizione non corretta della telecamera. Quello che l’esperto del laboratorio può fare, prima di tutto, è cercare di migliorare le informazioni di base esistenti per tentare di rendere visibili particolari che in un primo momento non lo sono. «Lavorando sui parametri di luminosità, contrasto e dettaglio delle sequenze, si possono evidenziare i particolari e riuscire, in taluni casi, a leggere numeri di targhe, lettere o altri elementi che potrebbero essere utili agli investigatori» spiega il sostituto commissario Arnone; ma non è così facile come può sembrare e come cinema e tv ci hanno ormai abituato a credere.
Vi ricordate Harrison Ford nel ruolo di cacciatore di androidi in Blade Runner? In una scena del film cult degli Anni ’80, Ford, in un mondo super-tecnologico, ingrandisce i dettagli di un’immagine a tal punto e in modo così nitido da riuscire a individuare la persona che cerca. Sono cose che «noi umani non possiamo neanche immaginare». Nella nostra realtà infatti non è possibile incrementare il numero delle informazioni di base di un’immagine tanto da permettere di ingrandire un dettaglio ottenendo una perfetta definizione. «I comuni sistemi di video-sorveglianza sono in grado di acquisire – spiega ancora Arnone – fino a 25 fotogrammi al secondo e ogni singola foto può avere, nel migliore dei casi, una risoluzione di 720 x 576 pixel». Per non parlare delle tante immagini riprese con i telefonini che hanno una qualità ancora più bassa. Nel momento in cui si desidera ingrandire un particolare si perde pertanto la definizione dell’immagine, anche se oggi, nella maggior parte dei programmi, lo zoom digitale ha la caratteristica di espandere l’informazione di base. «Si chiama, in termine tecnico, zoom digitale per interpolazione di punti» - dice Maurizio Arnone. Vale a dire che per evitare che si vedano i quadrettoni dei pixel ingranditi, lo strumento interviene attraverso una fusione morbida di questi, costruendo un’immagine artefatta. «È un modo per favorire la visione dell’immagine ma non rivela nuovi e nascosti particolari. Anzi, in questo modo, a volte, possono perdersi dettagli importanti».

Un futuro in alta definizione
Tutte queste limitazioni comportano una scarsa definizione delle singole immagini estrapolate dai video e si potranno superare solo con l’introduzione dell’alta definizione (HD - High Definition) nella fase di acquisizione delle immagini. In realtà sono già stati messi in commercio, dice il capo laboratorio della Polizia Scientifica, nuovi software che sono in fase di sperimentazione e mirano ad ottenere la cosiddetta “superrisoluzione”. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che, da una sequenza video, il nuovo software va a prendere più fotogrammi di una stessa scena per riuscire a ricostruire un fotogramma unico finale che è la somma “intelligente” di tutti gli altri. Un “algoritmo matematico” che in poche parole funziona così: se un video mostra la stessa scena ripresa per più secondi dalla stessa angolazione, anche se i contenuti non sono esattamente gli stessi, identici, il programma riesce a mettere insieme in un’unica immagine i dettagli recuperati dai singoli fotogrammi. Una possibilità che però non è applicabile a tutti i casi perché, come si può facilmente intuire, è necessario, per metterlo in pratica, che ci sia almeno un sufficiente numero di fotogrammi fra loro collegati senza, per esempio, salti di scena improvvisi.
Oggi, grazie a tecniche specifiche e a un delicato lavoro, gli esperti del laboratorio possono anche riuscire a individuare l’altezza di un rapinatore o di chi altro ha commesso un reato. Recandosi, per esempio, in una banca, gli investigatori si collegano al sistema di video sorveglianza. Dopo aver verificato che non ci siano state variazioni dal momento delle riprese dell’eventuale rapina, grazie agli strumenti che hanno a disposizione, possono sovrapporre e confrontare le immagini della rapina con quelle trasmesse dal sistema. Poi, attraverso un’asta metrica che viene posizionata ai piedi dell’immagine del criminale, è possibile riuscire a calcolare la sua altezza. Anche in questo caso la precisione dipende da tanti fattori: la distanza del soggetto dalla telecamera, l’angolazione di quest’ultima rispetto al pavimento, ma soprattutto è importante avere nelle immagini la figura intera, cioè vedere i piedi dell’autore della rapina e tenere conto della sua postura. In alcuni casi, con disposizione del magistrato, è anche possibile portare l’eventuale sospettato sul luogo del delitto e, mettendolo nella stessa posizione dell’autore ripreso dal video, verificarne le fattezze e la postura.
Quando non c’è la possibilità di confronto, le immagini possono però anche facilmente ingannare. È successo per esempio con le immagini riprese dalle telecamere della metropolitana di Roma l’estate scorsa, quando qualcuno spinse sotto il treno una giovane donna riducendola in fin di vita. La prima conclusione, tratta dall’analisi dei filmati, era che a spingerla fosse stato un uomo. Ma in realtà in seguito si scoprì che a compiere il gesto all’origine della tragedia era stata una donna con problemi mentali che aveva un aspetto, un modo di fare e di vestire piuttosto mascolino.

Risultati importanti
Come si vede, il lavoro che svolgono, fra mille difficoltà, gli uomini della Polizia Scientifica in questo campo è davvero grande e delicato. L’attività viene effettuata sia nella sede centrale di Roma che nelle varie sedi periferiche. «In genere, quando nei laboratori periferici gli esperti non riescono a ottenere risultati soddisfacenti – precisa Arnone – i casi arrivano qui da noi nella speranza che attrezzature più sofisticate e dalle potenzialità maggiori siano in grado di dare risposte più efficaci». In alcuni casi, però, proprio l’ausilio delle telecamere, unito alle capacità operative di chi lavora sul materiale video, ha permesso di risolvere indagini importanti. Così è stato per esempio per l’omicidio dello stilista Maurizio Aiudi, ucciso in modo violento in casa sua, a Pesaro, il 6 settembre del 2000. Oltre agli uomini della squadra mobile locale sono intervenuti sul posto gli esperti del gabinetto interregionale per le Marche e l’Abruzzo. Le prime indagini hanno permesso di individuare, a Como, uno dei due responsabili dell’omicidio, mentre per il secondo sono state fondamentali le immagini riprese dalle telecamere della stazione di Bologna. Con l’intenzione di allontanarsi dall’Italia, infatti, i due indagati hanno fatto scalo alla stazione ferroviaria emiliana e così, grazie alle immagini estrapolate dalle telecamere, è stato possibile fare la comparazione fisiognomica con le loro fotografie. E così anche il secondo assassino è stato scoperto.
Le telecamere della stazione di Bologna, un centinaio circa, installate dopo l’attentato del 1980, sono state di grande supporto anche nelle indagini sull’omicidio di Marco Biagi, avvenuto nel 2002, condotte dagli uomini della Digos di Bologna. Grazie alle riprese, infatti, è stato possibile risalire ai movimenti del giuslavorista nei giorni antecedenti alla sua uccisione e scoprire che c’erano delle persone che lo seguivano, dandosi il cambio. Attraverso lo studio delle immagini, gli operatori della Polizia Scientifica hanno individuato, anche attraverso il suo modo di muoversi e le sue fattezze, una persona che compariva più volte. Elementi che hanno contribuito ad identificare alcuni dei presunti terroristi.

01/08/2008