Annalisa Bucchieri

Nocs, fra ieri e domani

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Poliziotti speciali con attrezzature speciali. Gli uomini “silenziosi come la notte” raccontano 30 anni di storia, dai pionieristici inizi ad oggi

Trent’anni di storia non si riassumono facilmente, soprattutto quando si parla di uomini speciali. Così speciali da affrontare pericoli e sventare minacce pubbliche senza che né i loro nomi né i loro volti compaiano mai. Così speciali da riuscire sempre a fare gioco di squadra: loro sono un plurale che si coniuga al singolare. Non sono i Nocs, ma il N.o.c.s.: il Nucleo operativo centrale di sicurezza. Uomini fusi in unico corpo.
Quando nel 1978, per volontà dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga, fu creato il Nucleo, l’Italia era insanguinata dall’eversione armata di destra e di sinistra. Pochi giovani poliziotti, individuati tra i Gruppi sportivi delle Fiamme oro, furono catapultati, dopo un breve addestramento, nella realtà degli Anni di Piombo.

Quella cinta negli Anni di Piombo
«È ancora vivo in me il ricordo del giorno in cui venne il comandante Scandurra alla Scuola di Nettuno dove mi allenavo come judoka – racconta Lino, maggiore anzianità di servizio tra i Nocs – e mi scelse insieme ad altri quattro. Partecipammo ad un corso intensivo sull’uso delle armi e sulle tecniche d’irruzione, subito dopo eravamo già operativi, la situazione chiamava all’urgenza. Fummo noi stessi, grazie all’esperienza fatta sul campo, a formulare una metodologia e definire le tecniche d’intervento che oggi fanno testo nel percorso formativo dei Nocs». Pionieri, dunque; gente in grado di trovare soluzioni con la scarsa tecnologia a disposizione; capace di calarsi dal tetto di un grattacielo utilizzando le cinture dei pantaloni per entrare di sorpresa in un appartamento, come racconta Armando, un altro dei “fondatori”. «Io e il comandante Scandurra dovevamo entrare nell’attico dove si rifugiava Giovanni Schiavone, capo dei Nap (Nuclei armati proletari, ndr). Se volevamo coglierlo di sorpresa, evitando sparatorie, dovevamo essere tempestivi: non ci pensammo due volte a unire le fibbie per improvvisare una corda. Penetrati dal balconcino, lo aspettammo al rientro: si arrese subito».

Il caso Dozier a volto coperto
Fino all’82 centinaia di interventi del Nucleo portarono alla cattura di numerosi esponenti di Nar (Nuclei armati rivoluzionari), Nap e Br (Brigate rosse), ma l’opinione pubblica non sapeva che dietro questi successi c’era l’operato invisibile dei Nocs. Fu proprio nel gennaio dell’82, con la liberazione del generale statunitense James Lee Dozier, tenuto prigioniero dalle Br-Pcc (Brigate rosse-Partito comunista combattente), che per la prima volta la squadra speciale ebbe visibilità mediatica. Lino fu tra i protagonisti dell’operazione: «Ci trovavamo in due dentro un pulmino a Mestre di scorta al capo dell’Ucigos, Gaspare De Francisci, quando è arrivata la comunicazione di dirigerci a Padova. Chiamammo il resto della squadra e all’alba, camuffati dentro un camion di traslochi, ci avvicinammo alla palazzina: i sequestratori erano quattro, noi cinque, non molti di più. Una volta fatta irruzione, mentre i miei compagni neutralizzavano gli altri, io sono entrato nella stanza dove era tenuto prigioniero Dozier. Il brigatista Giovanni Ciucci lo stava tirando fuori dalla tenda, dentro la quale era incatenato, probabilmente per utilizzarlo come scudo. Dozier, spaventatissimo, pensò a un cambio di mano, anche perché avevamo il passamontagna. Io me lo tolsi per rassicurarlo e gli dissi: “Polizia italiana!”. Era la prima volta che agivamo a volto coperto». Del resto i nomi di alcuni del Nucleo erano stati trovati nelle liste di morte dei terroristi e bisognava iniziare a prendere precauzioni. Così Lino e i suoi compagni comprarono dei sottocaschi in un negozio di motociclette a Padova e da quel momento nell’immaginario collettivo i Nocs si fissarono come i “superpoliziotti mascherati”. Il mephisto venne in seguito: prima di lana, poi in seta nera, stile Diabolik, infine in nonex, materiale ignifugo.

Anni Ottanta: la stagione dei rapimenti
Tramontati gli anni più caldi del terrorismo interno, i ragazzi con il mephisto furono impiegati sul fronte dei sequestri. Molte le liberazioni di ostaggi. Quelle di Belardinelli, De Megni, Del Prete, Soffiantini, le più famose. Ma quest’ultima costò la vita all’ispettore Samuele Donatoni, l’unico caduto dei Nocs in 30 anni di attività. Il Nucleo non ha mai smesso di confrontarsi con il dolore della sua perdita; la ferita rimane aperta per ricordare a tutti che non esiste invulnerabilità.
È giusto – viene da chiedersi – che gli uomini del Nucleo vadano in azione accompagnati dalla paura?
Gli anziani rispondono che la paura la devi provare, basta che non tracimi nel panico. C’è chi, come Lino («Ho paura solo di ciò che non conosco», dice), la imbriglia con la pianificazione, preparandosi così scrupolosamente da non sottovalutare nessun rischio. O come Armando che trafitto, durante la liberazione dell’industriale Dante Belardinelli, dal proiettile di un fucile a canne mozze che lo ha lasciato in coma per tanti mesi e inabile all’operatività per sempre, sa che l’ardimento non va confuso con l’incoscienza. «La paura e il coraggio sono due facce della stessa medaglia. Se hai solo paura, scappi e non affronti il pericolo. Se sei un impulsivo, ti butti avanti perché non hai cognizione della realtà. In tutti questi anni ho imparato che non esiste coraggio individuale senza una fiducia vera e fondata sui tuoi compagni. È solo sapendo che hai le spalle coperte dai tuoi compagni, solo confidando nella loro professionalità e nel loro spirito di corpo, che riesci a progredire nelle operazioni più rischiose. Anche il coraggio dei Nocs è un lavoro di squadra».

Scudi contro la mafia
Gli Anni Novanta aggiunsero un nuovo compito al Nucleo: la protezione delle personalità della magistratura e della politica più esposte al tiro mortale della mafia. Si iniziò nel ’92, dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio, con la scorta al procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli. «È stata un’esperienza importantissima – dice il veterano Enzo, il primo che fu inviato nel capoluogo siculo per questo incarico – perché abbiamo messo in campo tutte le nostre competenze per contrastare un nemico che non vedevamo, passando dall’adrenalina delle operazioni a un esercizio di pazienza. Sapevamo di essere sotto tiro, il gioco delle parti si era rovesciato, abituati come eravamo a essere noi quelli invisibili che controllavano gli altri. Ho effettuato la bonifica visiva dell’ufficio e dell’auto del procuratore tutte le mattine per sette anni, senza mai abbassare la guardia. Ogni giorno dovevamo trovare un sistema diverso di entrata e di uscita dal Palazzo di Giustizia per evitare di essere prevedibili agli eventuali attentatori, tant’è che nelle intercettazioni telefoniche i mafiosi si lamentavano della nostra bravura. Il nostro metodo di protezione fu applicato a tutte le scorte dei magistrati, tenemmo dei corsi per trasmettere le nostre tecniche agli altri poliziotti». Come eredità della stagione siciliana, la cattura di numerosi latitanti della criminalità organizzata ha arricchito il palmarès del Nocs.
Oggi, a trent’anni di distanza dalla sua fondazione, il Nucleo è chiamato a controbattere il terrorismo internazionale, principalmente di matrice islamica, e i rigurgiti delle nuove Br. Le minacce cambiano, i nemici della convivenza civile si fanno più subdoli e dotati di mezzi sofisticati. Anche il Nocs si è trasformato.

Passato e presente a confronto
«Ciò che salta più all’occhio – dice Enzo – è il divario tecnologico tra ieri e oggi. Quando iniziai io nell’82 non esistevano i visori notturni e scrutavamo nel buio come fanno i gatti. La prima telecamera a infrarossi per il rilevamento termico degli esseri viventi che ci fornirono era ingombrante e pesante, la dovevamo montare su un treppiedi e si portava in una valigia; adesso sta nella tasca dei pantaloni. Per non citare le comunicazioni. Quando intervenimmo a Porto Azzurro all’Elba, durante la rivolta del carcere nell’agosto dell’87, non avevamo neanche le radio portatili. Ci sentimmo dei prìncipi quando arrivarono i Motorola 808, dei veri “mattoni”».
«Però – controbatte Armando – gli strumenti ti possono sempre abbandonare mentre un’adeguata preparazione no. Rimane il fatto che, sebbene i Nocs di oggi raggiungano un alto livello di preparazione grazie agli stage internazionali e siano equipaggiati di tutte le nuove tecnologie, sono chiamati ad intervenire meno frequentemente di quanto succedeva a noi. Ciò rende più problematica la verifica dell’addestramento. Per quanto sia realistica, la simulazione non permette di testarsi come l’azione effettiva».
Su questo concordano anche gli altri senior: la contingenza storica da loro vissuta imponeva un continuo impiego sul campo. Erano solo 10-15 persone a formare il Nucleo (contro le oltre cento attuali) per cui si turnava poco e si lavorava tanto e capitava di partire dieci giorni per un’operazione, vivendo una condivisione totale delle giornate. Sapevano fare tutti tutto, allora. Non esistevano specializzazioni (tiratori, incursori subacquei, cinofili), né le due sezioni distinte di interventi speciali e protezione. Enzo rammenta quando per il sequestro Belardinelli furono loro stessi ad apportare le modifiche – doppi fondi, blindature, impianti di registrazione – alla Fiat 126 usata per recarsi all’appuntamento con i rapitori. Lui un po’ di nostalgia la prova: «Arrivate al casello Roma nord e aprite la busta, dentro c’è il foglio con scritte le istruzioni e il posto dove andare. Succedeva più o meno così e a me piaceva il sapore di quella avventura, anche quando si trattava di dormire all’addiaccio e arrangiarci per mangiare». Non fa nessuno sconto al passato, invece, Armando: «All’epoca non me ne rendevo conto, era talmente necessario ciò che facevo per il Paese che non pensavo agli affetti. Dai 21 ai 36 anni fui travolto dal lavoro. I migliori anni della mia vita, la meglio gioventù. Se c’è una cosa che rimprovero ai terroristi è che hanno rovinato la loro e la nostra giovinezza».

Verso un futuro internazionale
Scegliere di diventare un Nocs comporta ancora oggi un grande sacrificio della sfera privata. Non esistono feste comandate o la settimana bianca con gli amici, né la certezza di partecipare alla comunione dei figli. Per il periodo che si sta al Nucleo, è il Nucleo la propria famiglia. Lo sa bene il comandante Paolo Gropuzzo, chiamato doc dai suoi ragazzi, che si dichiara “patologicamente” attaccato al gruppo. Quinto comandante nella storia dei Nocs, è però il primo giunto dall’esterno, dopo un percorso intenso nell’attività investigativa nel Nord Italia. A lui il compito molto delicato di ridisegnare l’identità del reparto, specie adesso che sono cambiati gli scenari criminali da affrontare: «Stiamo investendo molto sullo scambio e il confronto-studio con altri gruppi europei omologhi. Dopo l’11 settembre, quando ci si è resi conto che la minaccia era comune e non rispettava i confini geografici canonici, la collaborazione internazionale ha subìto un’accelerazione. Nel 2002, su iniziativa della Comunità europea e per determinazione di tutti i capi della polizia, si decise di costituire un progetto che riunisse le unità speciali, denominato Atlas. Grazie ad esso è stata costituita una piattaforma informatica comune criptata, particolarmente interessante perché in tempo reale permette lo scambio di informazioni su operazioni, nuove tecniche, equipaggiamento e sperimentazioni di supporti tecnologici in continua evoluzione. Insieme agli altri comandanti sono stati creati gruppi di lavoro su campi specifici (32 squadre speciali per 27 nazioni), che vanno dal navale, ai trasporti terra, all’apertura varchi e così via. Una recente sessione operativa di questo tipo si è svolta a Cipro per il settore guastatori, antisabotatori e artificieri. Sono stage fondamentali per il miglioramento dei metodi d’addestramento e per trovare standard univoci nel sistema di comunicazione, nelle procedure di intervento e nella catena di comando».
Il doc inquadra il presente in un “campo lungo” per mettere a fuoco sullo sfondo il futuro del suo team speciale. «Abbiamo organizzato da poco a Roma un gruppo di lavoro con inglesi, francesi, irlandesi, cechi, greci, sugli interventi con prese di ostaggi in metropolitana. Da questa attività siamo arrivati a proporre una bozza normativa che prevede che un Paese in difficoltà, di fronte ad una situazione particolarmente critica, possa chiedere aiuto a vari livelli, per avere materiale o esperti, nonché rinforzi, ad un gruppo speciale di un altro Paese, secondo criteri di contiguità territoriali, perché l’aiuto arrivi più velocemente, o per particolare abilità del gruppo estero necessario alla situazione. Ciò è rivoluzionario perché supera le differenze legislative. La bozza è stata già approvata dal Consiglio d’Europa e sarà attiva tra quattro mesi. Naturalmente non vincola uno Stato a chiedere aiuto né a fornirlo, ma dà una possibilità in più alla risoluzione di un evento critico».

Al passo con le tecnologie più avanzate
Oltre all’internazionalizzazione, l’altro imperativo è l’aggiornamento continuo e l’avanzamento tecnologico. Del resto prima il Nucleo combatteva una criminalità forte ma convenzionale, oggi deve fare i conti con organizzazioni terroristiche e criminali sofisticate. Per questo adesso nella formazione dei Nocs è previsto il corso Nbc che prepara a neutralizzare i possibili autori di attacchi nucleari, batteriologici o chimici. Si stanno introducendo altre novità con i cinofili d’assalto, la figura del negoziatore, l’apprendimento di tecniche di guida di mezzi blindati. Sono state inoltre adottate tecnologie all’avanguardia, dalle comunicazioni wireless alle ottiche superprecise delle armi.
Inevitabilmente la sezione di supporto logistico, che cura mezzi ed equipaggiamenti, si è molto sviluppata negli ultimi anni, tanto che si è raggiunta la proporzione 1:1, cioè un uomo logistico dietro ogni operativo. Questo è lo spirito del reparto che si muove sul territorio con tutte le sue componenti al seguito: armieri, tlc, meccanici, non ultimo medici (persino i sanitari hanno il brevetto da paracadutista). «Anche le protezioni balistiche sono più resistenti, meno pesanti e meno ingombranti di una volta. Oltre al giubbotto antiproiettile è stato perfezionato il casco balistico. – sottolinea il comandante – L’incolumità del personale è una priorità assoluta, insieme a quella di salvare la vita sia ai buoni che ai cattivi. La licenza di uccidere è roba da film. Noi siamo straordinari nella preparazione e nei mezzi, quindi siamo chiamati in frangenti complessi, ma non abbiamo strapoteri decisionali. Siamo operatori speciali che agiscono nell’ambito dell’ordinamento di polizia e delle leggi ordinarie, non abbiamo mandati militari».

Né 007 né Rambo... semplicemente speciali
Sotto il mephisto, quindi, non ci sono né agenti 007 né tanto meno pistoleri. Anzi. La dote principale di un Nocs è l’equilibrio e la resistenza allo stress psico-fisico. Come spiega Massimo, che organizza e conduce il durissimo corso basico di sei mesi (dopo il quale si viene indirizzati alla specializzazione): «Meno del 50% dei partecipanti riesce a superarlo e una volta entrato in squadra il nuovo elemento rimane in prova per un anno e viene seguito step by step da un tutor. In sei mesi di corso non tiro fuori un nocs “definitivo”, però riesco a valutare la sua tenuta allo stress, togliendogli il sonno e impegnandolo in situazioni fisiche pesanti. Devo verificare se riesce a lavorare anche in contingenze disagevoli. Qui non serve solo un corpo atletico, ma anche un temperamento lucido e scevro da impulsività».
Sostenere lo stress è una qualità ancor più indispensabile oggigiorno per il Nocs che deve tollerare attese lunghe e snervanti. Ciò vale in particolare per gli uomini della sezione protezione, come spiega Andrea che la dirige: «Per proteggere le personalità a rischio e interagire con loro selezioniamo i soggetti con spiccata capacità riflessiva e pazienza, nonché doti diplomatiche. Attualmente prendiamo in carico  tutte le autorità straniere in visita in Italia. Si tratta di servizi temporanei complessi e intensi, come quelli svolti ultimamente per la visita di Bush o di Putin».

Fare squadra
Tra le incombenze più impegnative del comandante vi è il tenere pronti per tutto il giorno gli uomini, per avere una disponibilità di impiego continua e immediata: «Significa mantenere alto il livello di attenzione, alta la manutenzione della strumentazione, alto il livello di preparazione, non arrivando però spesso al naturale sbocco, cioè all’azione. Il che è psicologicamente duro, una specie di sindrome da Il deserto dei Tartari di buzzatiana memoria: stare sempre in allerta in attesa di un nemico che sembra non arrivare mai. Recentemente, però, siamo sempre più impiegati nella sicurezza di grandi eventi: dalle Olimpiadi invernali di Torino al G8, fino a situazioni straordinarie che possono diventare allettanti occasioni per i terroristi, quali ad esempio le esequie di Papa Wojtyla che richiamarono a Roma i capi di Stato di tutto il mondo».
Al gravoso compito di mantenere gli standard di aggiornamento e addestramento elevati, si aggiunge la difficoltà a reperire personale giovane, poiché non esiste più l’opzione di transito dalla leva militare. L’età media d’ingresso si è alzata a 27 anni. Ciò costringe a verificare che le idoneità psico-fisiche siano mantenute nel tempo. In ogni caso, però, la formazione di un poliziotto Nocs richiede anni di addestramento, di training e soprattutto di esperienze in squadra.
Pur avendo subìto tanti cambiamenti in questi trent’anni, il principio fondante del Nucleo è rimasto uguale: i problemi vengono risolti con la pianificazione, lo studio e l’apporto di tutti. È sempre un lavoro di squadra che porta a raggiungere l’obiettivo, non esistono eroismi individuali. La storia del Nocs non riporta l’elenco dei nomi e cognomi, solo delle vittorie conseguite.



Cani d’assalto
Rino e Nero sono dei Nocs molto particolari. Anche loro salgono sull’elicottero, si calano con una corda ed irrompono attraverso balconi e finestre; ma, a differenza dei loro colleghi, non hanno il dono della parola e, soprattutto, camminano su quattro zampe. Sono i pastori belga Malinois che fanno parte dell’ “Unità cinofila speciale” all’interno del Nucleo. Addestrati dagli specialisti del Nocs, sono sempre al seguito di una squadra operativa in azione, con la funzione di “saggiare il terreno”  preventivamente (infatti sono dotati di una speciale maschera per l’acquisizione di informazioni e immagini) e, nel caso, di intervenire attaccando colui che rappresenta la minaccia. Sono particolarmente aggressivi (due volte al giorno si allenano al “morso”), non si spaventano in caso di esplosioni o spari e riescono ad assalire in coppia un soggetto, attitudine rara, perché, in questi casi, i cani da compagnia o da guardia tenderebbero a mordersi tra loro per contendersi la “preda”. I cani d’assalto, proprio in virtù della loro indole, vengono utilizzati solo nel caso in cui sulla scena non vi siano soggetti deboli, donne o bambini, mentre sono indispensabili in ambiente extraurbano, poiché, grazie al fiuto sviluppato, percepiscono gli odori, e quindi i pericoli, molto prima degli esseri umani.
Anche loro, dunque, sono “silenziosi come la notte” e della notte hanno anche il colore del manto e, al pari degli umani, sentono forte il senso della squadra. Racconta un membro del Nucleo: «Una volta Rino, ad esempio, mentre eravamo a bordo di un elicottero e ci stavamo preparando all’azione, ci ha guardati negli occhi uno ad uno ed è venuto a strusciare il suo muso sulla gamba di ognuno di noi. Quasi per dirci “In bocca al lupo, ragazzi. Ci si vede dopo!”».
Cristiano Morabito


L’attentatore di madrid e le nuove Br
Impossibile dimenticare quel 21 luglio del 2004, giorno dell’attentato alla metropolitana di Londra. La seconda fase dell’azione dinamitarda non andò a segno e Osman Hussain, l’attentatore somalo, scappò rifugiandosi in Italia, in un appartamento del quartiere Alessandrino di Roma. Gli uomini del Nocs arrivarono subito sul posto dopo la segnalazione dei colleghi inglesi e grazie all’attività di intelligence svolta dalla Digos di Roma. Lo scambio di informazioni con la polizia londinese fu mantenuto per l’intera durata dell’operazione, elemento che fu determinante per la sua riuscita positiva. I Nocs bloccarono il fratello di Hussain che era uscito dalla base con il motorino e gli sfilarono le chiavi. Iniziava la parte più difficile. «Avevo paura che l’appartamento fosse imbottito di esplosivo – racconta il team leader dell’operazione – il reclutatore era lo stesso degli attentati di Madrid, che aveva minato il suo covo uccidendo un nostro collega spagnolo che vi aveva fatto irruzione. Dissi agli uomini di bloccargli subito le mani, per impedirgli di azionare un eventuale dispositivo d’innesco, e di controllare se avesse sui palmi tracce delle mini ustioni provocate dall’esplosione a Londra, quale prova della sua identità. Giocammo sul silenzio per l’effetto sorpresa – silenziosi come la notte, recita il nostro motto – non ebbe il tempo di reagire. È stata una bella operazione». Già, per un Nocs un’operazione è “bella” quando si porta a casa il risultato senza spari e ferimenti. La chiave sta nell’effetto sorpresa che oltre alla silenziosità si raggiunge con la rapidità. Esemplare l’intervento recente nell’ambito di una megaoperazione, coordinata dalla procura di Milano, per prendere i capi delle Nuove Br: complessivamente 18 secondi, da quando la squadra è arrivata con il furgone a 150 metri dall’obiettivo a quando il brigatista è stato immobilizzato. Spiega il team leader: «Questi personaggi che avevano costituito una nuova compagine terroristica si erano addestrati a sparare e avevano già filmato gli obiettivi da colpire. L’operazione era complessa perché si doveva svolgere nei covi di tre città contemporaneamente: Milano, Padova, Torino. Visto che a Padova c’era un soggetto particolarmente pericoloso, esperto di arti marziali e di armi automatiche, ci mandarono lì. Arrivammo all’alba, facemmo chiudere l’area al traffico. Due di noi aprirono la prima e poi la seconda porta con scasso. Gli altri entrarono con la tecnica di saturazione di ogni ambiente, gettando una flash-bang da 150 decibel. Lui fu colto alla sprovvista ancora nel letto, stordito dal botto e dalla luce. Non ebbe tempo di reagire».

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01/08/2008