Pechino, missione compiuta

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Con tre ori, due argenti e due bronzi, le Fiamme Oro alle Olimpiadi hanno dato un grande contributo al medagliere azzurro. Del resto, delle 28 medaglie vinte ben 23 sono arrivate dalle donne e dagli uomini che indossano la divisa: il che la dice lunga su quanto l’Italia – al nono posto nel G10 dello sport mondiale, come ha sottolineato il presidente del Coni Gianni Petrucci – debba essere riconoscente ai nostri atleti che hanno gareggiato con orgoglio, passione e sacrificio. L’ultimo inno nazionale suonato a Pechino a una premiazione è stato l’Inno di Mameli, grazie allo straordinario oro vinto nei supermassimi dal pugile Roberto Cammarelle, agente scelto di Cinisello Balsamo. Alla cerimonia di chiusura, a portare il tricolore della squadra azzurra è stato Clemente Russo, argento nei massimi, agente scelto di Marcianise, campano come Vincenzo Picardi, altro poliziotto di Casoria che ha vinto il bronzo nei pesi piuma: entrambi figli di una terra che non si arrende al sottosviluppo e dimostra così, anche con le vittorie olimpiche, di essere sempre in prima linea contro disimpegno e criminalità. Anzi, è proprio questa una delle lezioni che Pechino ci lascia in eredità. Le Fiamme Oro e gli atleti confratelli hanno dimostrato che la formula vincente dello sport italiano nasce dal mix di disciplina e orgoglio di appartenenza, fondamenti della formazione di chi entra in Polizia: vince la squadra costruita e selezionata sulla base delle qualità individuali e dello spirito di sacrificio, talenti che emergono grazie a strutture sportive efficienti. Dalla veterana Valentina Vezzali, oro nel fioretto, al lottatore Andrea Minguzzi, oro nella greco-romana, all’argento nel tiro a volo dell’esordiente olimpico Francesco D’Aniello, le Fiamme Oro hanno dimostrato che si vince grazie alla propria personalità e all’organizzazione che si ha alle spalle. I poliziotti hanno dimostrato che nello sport, come nella professione, per vincere non basta il fisico e la forza. «Non diventerò un professionista, resterò un dilettante perché voglio difendere il mio titolo mondiale e perché in polizia sto bene». Sono le significative parole di Roberto Cammarelle, il supercampione che a Pechino ha piazzato contro gli avversari tre knock down in due match: e non voleva, ha detto, perché sugli avversari non ama infierire. Lui vuol vincere con metodo, con la forza della ragione che gli viene  dall’essere nato a Milano, figlio di papà e mamma lucani, e dall’aver messo su famiglia ad Assisi: «Provengo dal Sud, sono nato al Nord, mi sono stabilito al Centro: rappresento tutta l’Italia». Un vivaio di campioni di cui andar fieri e al quale si ricorrere quando si ha bisogno di profili eccezionali: come quando si trattò di creare la prima struttura del Nocs, il Nucleo centrale operativo di sicurezza. Trent’anni dopo (l’anniversario ricorre fra qualche giorno) lo ricordano i veterani: l’iniziale selezione avvenne tra gli atleti delle Fiamme Oro, perché dal 1954 alla preparazione fisica hanno sempre accoppiato intelligenza, determinazione e rispetto delle regole.
01/08/2008