Michele D’Andrea* e Fabio Cassani Pironti**

Cavalieri d’Italia

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Storia e uso corretto delle onorificenze cavalleresche nazionali e di quelle conferibili in Italia

Premessa
«Ordine di S. Uberto di Lorena e di Bar, Ordine della SS. Trinità, Ordine Militare e Ospedaliero di Santa Maria di Betlemme (…), Ordine della Concordia (…), Ordine Militare di San Giorgio di Antiochia e della Corona Normanna di Altavilla, Cavalieri di Betlemme, Ordine di Gesù in Giappone (non ho mai sentito dire che questo grande Apostolo dell’umanità (…) abbia avuto a che fare con il Giappone, eppure, hanno osato creare un ordine di Gesù in Giappone), Ordine di San Giorgio di Carinzia, e gli Equites Pacis, l’Ordine Capitolare dei Cavalieri di Colombo, l‘Ordine Militare dei Cavalieri del Soccorso, l’Ordine Capitolare dei Cavalieri della Concordia. Basta, per carità!»
Così il deputato Luigi Gasparotto, nel corso del dibattito in aula che avrebbe portato, nel 1951, all’istituzione dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. L’indomani del referendum del ’46, l’Italia si era trovata improvvisamente orfana del sistema onorifico monarchico: una perdita troppo grande per una società che aveva costruito sulle decorazioni e sui titoli cavallereschi la legittimazione di un rango acquisito, l’ascesa nella carriera, il rispetto e la considerazione altrui. In mancanza di altro, il Paese si arrangiò. Per cinque anni, prosperò indisturbato un sistema onorifico alternativo basato sull’iniziativa privata. Ordini indipendenti, si autodefinivano, con il corredo di gran maestri dai titoli chilometrici, pompose cancellerie, improbabili alberi genealogici, cerimonie di investitura, perfino una rivista ufficiale. In realtà, si trattò di una delle maggiori truffe del primo dopoguerra, che arricchì spregiudicati millantatori facendo leva sull’appetito onorifico di migliaia e migliaia di sprovveduti, alla ricerca di un cavalierato a tutti i costi. E rileggendo gli atti parlamentari di allora, emerge chiaramente che la necessità di porre un freno ad una situazione divenuta insostenibile fu l’elemento decisivo per la creazione di un ordine repubblicano di cui molti, negli opposti schieramenti, avrebbero fatto tranquillamente a meno.
È passato più di mezzo secolo, e la caccia alla decorazione è un’attività tuttora fiorente, intorno a cui ruota un disinvolto mercato che continua a sfornare commende fasulle, a concedere titoli nobiliari, a investire, con tanto di spadone medievale, infornate di cavalieri in smoking e mantello. Per questo, chi veste la divisa di appartenente alle forze dell’ordine o alle forze armate, poi, deve adottare la massima prudenza, tenuto conto non solo della dignità dell’uniforme, ma anche delle sanzioni cui si potrebbe andare incontro.
Vediamo, allora, qual è lo scenario che si offre, oggi, a quanti fossero interessati al conferimento di un’onorificenza, partendo dalle vicende storiche degli ordini cavallereschi.

ORIGINI E NATURA DEGLI ORDINI CAVALLERESCHI
La storia degli ordini cavallereschi affonda le proprie radici poco dopo il 1000, quando la stagione delle Crociate alimentò la nascita, in Terra Santa, di numerose organizzazioni a carattere religioso e militare, rette da monaci-guerrieri impegnati nella difesa dei luoghi sacri e nella gestione di ospedali, ricoveri e centri di assistenza per i pellegrini.
Nacquero, così, quegli ordini che, dalla città di Gerusalemme, furono detti gerosolimitani, la cui forza evocativa, alimentata da suggestioni di natura iniziatica, quando non addirittura esoterica, si è spesso prolungata ben oltre l’arco della loro effettiva esistenza storica. Basti pensare all’Ordine Ospedaliero e Militare di San Giovanni di Gerusalemme, poi Sovrano di Rodi, quindi di Malta, all’Ordine di Santa Maria dei Cavalieri Teutonici, all’Ordine dei Frati-Cavalieri del Tempio o Templari, all’Ordine di S. Lazzaro di Gerusalemme, all’Ordine del Santo Sepolcro.
Ispirati a quelli gerosolimitani e, quindi, riflettenti la medesima natura religioso-cavalleresca, presto sorsero in Europa numerosi altri ordini, con compiti che spaziavano dal servizio in armi alla gestione di ospedali, dal riscatto degli schiavi cristiani alla protezione delle grandi vie del pellegrinaggio: l’Ordine Militare-Ospedaliero di S. Maurizio, l’Ordine Ospedaliero dello Spirito Santo, l’Ordine Militare di Santo Stefano di Toscana, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, gli Ordini spagnoli di Calatrava, Alcántara, Santiago e Montesa.
La grande stagione della cavalleria o, meglio, del sistema cavalleresco quale detentore di potestà territoriali, di benefìci e di autonomia economica, conobbe un rapido apogeo e un’altrettanta rapida decadenza. Già nei secoli XIV e XV, infatti, l’affermazione e il consolidamento delle grandi monarchie continentali andavano delineando la mappa di una nuova società di corte basata sul culto del sovrano e sul parallelo ridimensionamento della figura dell’uomo d’armi.
Tuttavia, restavano ancora solide la forza degli ideali della cavalleria, la suggestione di ritualità e iconografie particolari,  senso di appartenenza e di esclusività. Su questi elementi fecero leva quasi tutte le corti europee per fondare un nuovo sistema cavalleresco che, pur conservando modelli esteriori e simboli del passato, ne traduceva la militanza in un esplicito riconoscimento della supremazia regia, in uno strettissimo legame di fedeltà personale alla corona.
Di qui, i grandi ordini laici della Giarrettiera (Inghilterra), del Toson d’Oro (Austria e poi S

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01/06/2008