Annalisa Bucchieri
Io, spettatore di me stesso
Imitatore, doppiatore, attore, conduttore televisivo e ora anche cantante. Neri Marcorè racconta a Poliziamoderna le molte anime che convivono in lui, il suo concetto di legalità e la passione per il calcio
Tutti pazzi per Neri. Così recita la copertina del recente cofanetto, dvd e libro, che raccoglie le maschere più intelligenti ed esilaranti vestite da Neri Marcorè in dieci anni di televisione “senza rete”. Titolo esagerato? Sicuramente autoironico ma con un fondo di verità. Marcorè piace e riempie le platee anche con produzioni impegnate come l’ultima: Un certo signor G, omaggio al grande Giorgio Gaber e al teatro-canzone. Il segreto del suo successo sta in un talento ben coltivato e quello della sua simpatia sta tutto in questo suo viso da bravo ragazzo di provincia (è originario di Porto Sant’Elpidio nelle Marche), ma a Poliziamoderna confessa che un giorno gli piacerebbe fare la parte del poliziotto “duro”.
Imitatore, doppiatore, uomo di teatro, conduttore televisivo, attore di fiction ma anche di cinema, in più ora ti sei messo a cantare: quante anime convivono in te?
Sono molto curioso e mi piace cimentarmi in prove sempre nuove. Non ho un’anima predominante. Magari un anno mi concentro sul cinema, il successivo sul teatro perché in quel momento mi stimola di più. La mia vera natura è proprio l’eclettismo e non credo che mi chiuderò mai in un’unica forma espressiva. Anche se così rinuncio a specializzarmi.
Non sei sboccato, non hai volgarità ad effetto, non usi la chiave del sesso e della trasgressione per accattivarti lo spettatore, eppure il successo che il pubblico ti tributa è innegabile. Investire su una comicità colta e di buon gusto può dare ancora i suoi frutti?
Più che una scelta professionale ciò è dovuto al fatto che sostanzialmente sono fatto così e non saprei andare contro la mia natura. Durante un percorso artistico capita quasi sempre che qualcuno ti metta davanti scivoli, prendendo i quali sicuramente arriverebbero più popolarità e più soldi. Scorciatoie per il successo che fanno sembrare la strada principale apparentemente in salita e più difficile. Io penso, invece, che il rigore ripaghi sempre, perché comporta in ogni caso una crescita. Certo, se imbocchi la discesa te la godi. Quando prendi un declivio provi un’ebbrezza lì per lì, ma poi per ritrovare la strada maestra ci vuole di più. Per cui pratico delle scelte sempre nel rispetto di me stesso e di conseguenza del pubblico. Non accetto di partecipare a produzioni che io per primo non guarderei, cerco di essere lo spettatore di me stesso, il mio primo critico.
Secondo quali criteri scegli i personaggi da imitare?
Alcuni in base all’evidenza nelle cronache, personalità che hanno un certo peso politico, sociale, televisivo in quel momento, come è capitato quando ho scelto di imitare Di Pietro nel periodo delle continue polemiche con Mastella. Però mi piacciono molto anche i personaggi non in prima linea. Spesso pesco tra gli outsider: nel 2001 Gasparri non era tra i politici di spicco di Montecitorio, così come Alberto Angela, quando lo scelsi, non era certo famoso quanto Pippo Baudo. Per il futuro non saprei, ad un certo punto si era pensato con Serena Dandini a Nicolas Sarkozy… ma ultimamente ci siamo sbizzarriti parecchio con Putin, Gianni Riotta, Gad Lerner…
Conduci da diversi anni il programma televisivo Per un pugno di libri: quanto è migliorato il tuo rapporto con la letteratura e con i giovani?
Paradossalmente con la letteratura non è migliorato. È pur vero che adesso riesco a inquadrare un libro criticamente, grazie alla frequentazione di un professionista di spessore quale Piero Dorfles, il mio compagno di viaggio in onda. Non è certo un sacrificio essere “costretto” a leggere un titolo a settimana, seguendo i tempi della trasmissione, ma è senz’altro più piacevole leggere seguendo i ritmi che ti suggerisce il libro, a volte ci metti poche ore, altre parecchi giorni.
Con i ragazzi, in trasmissione, mi diverto tantissimo. E questa esperienza ha rafforzato in me la convinzione che abbiano tantissime energie e voglia di esprimersi. Detesto chi li vuole per forza descrivere come degli sfaticati. Sono una bella risorsa su cui investire, bisogna concedere loro fiducia e spazi in graduale aumento, in modo che abbiano sempre davanti uno stimolo costante e sfide raggiungibili.
Quale libro consiglieresti ai ragazzi di oggi per capire il valore della legalità?
Forse suggerirei uno dei primi libri in assoluto che ho letto quando ero adolescente, I ragazzi della via Paal. Il tema dominante è la lotta tra due bande di adolescenti, ma il conflitto è codificato, persiste un codice d’onore e un rispetto delle regole nello scontro. Mi sono rimasti impressi lo spirito di aggregazione e solidarietà, l’amicizia, la lealtà e il rispetto per l’avversario, concetti che, ad esempio, traslati nel nostro panorama politico a volte sembrano latitare paurosamente.
È risaputo che sei tifoso dell’Ascoli Calcio che segui con continuità e passione. Ti è capitato di provare ansia o paura allo stadio?
Vado con i bambini allo stadio in tribuna, ma non mi azzardo ad andare in un altro settore anche solo per non assistere a cori pesanti, insulti, manifestazioni aggressive che non condivido, naturalmente. Il calcio ha perso la sua connotazione più pura, il gioco, il divertimento, cosa che capita puntualmente laddove il giro di denaro diventa esorbitante. Dover impegnare tante risorse della polizia per una partita lo trovo scoraggiante e grottesco.
Neri, sembri un uomo molto tranquillo… mai avuto problemi con la polizia?
Ho la fedina penale pulita. Sulla strada ho preso qualche multa ma nulla di grave tanto che ho ancora tutti i punti della patente. Non ho mai provocato o avuto incidenti, per fortuna. Mai rischiato con la velocità. Non sono stato un ribelle neanche da ragazzo. Mi sono sempre mosso nella legalità, la trovo più confortante, non mi dà nessun brivido violare le regole della convivenza civile e muovermi in ambienti nei quali io per primo provo disagio. Fra l’altro ho fatto il militare a Orvieto nei Granatieri di Sardegna. Ero caporale istruttore, e anche lì dovevo rispettare le regole, per quanto alcune di esse fossero assurde.
Cosa chiederesti come cittadino per sentirti più sicuro nel posto in cui vivi?
Io vivo a Roma, alla Garbatella, e mi sento abbastanza tranquillo. Però non penso dipenda solo dalla città, dal posto in cui vivi. Non credo che il controllo sistematico sia risolutivo, anche se la presenza delle forze dell’ordine è importante. La questione principale in Italia è quella della giustizia. Se funzionasse con processi rapidi e vi fosse la certezza della pena, allora ci sentiremmo tutti più tutelati, sarebbe una legalità forte senza bisogno di essere oppressiva, non urlata od ostentata.
Del resto sono convinto che poliziotti, carabinieri e finanzieri facciano molta fatica a svolgere il loro lavoro, non solo per le risorse sempre più carenti, ma perché spesso vedono vanificati i loro sforzi e sono costretti a ricominciare daccapo.
Ti propongono una fiction in cui puoi optare tra un ispettore della Mobile a caccia di ladri e assassini e un esperto della Scientifica che scioglie i nodi dei misteri in laboratorio, per quale parte opteresti?
Nella vita reale sarei più adatto a questo secondo ruolo. Per mio carattere sono più affine al detective da laboratorio, riflessivo e analitico. Ma dato che il cinema è divertimento e lo è ancor di più quando interpreti personaggi opposti a te, come mi è successo facendo la parte del cattivo nel film La seconda notte di nozze, probabilmente sceglierei il primo, un poliziotto sprint e superoperativo.
Progetti futuri dopo il Signor G?
Ho finito di girare una fiction per Rai Uno, Questo è amore, diretta da Riccardo Milani e scritta da Ivan Cotroneo, diversa dai serial che vanno per la maggiore di stampo giallistico o medico-ospedaliero. È una storia di sentimenti ambientata ai giorni nostri, che ha protagonisti Emilio Solfrizzi e Stefania Rocca; inoltre è l’occasione per affrontare tanti temi: l’intolleranza, i pregiudizi, le diversità, i tabù. Io sono Michele, un amico e collega del personaggio di Emilio, sono perito agrario, ma a un certo punto decido di aprire un ristorante, perché, come dico nel film, mi vengono bene due cose: andare con le ragazze e cucinare.
Una curiosità: per l’interpretazione di Papa Luciani nella fiction-tv, il Vaticano ti ha concesso l’indulgenza plenaria dei tuoi peccati?
Tutto rimarrà nel segreto della confessione!