Cristiano Morabito

Il mondo capovolto

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Una giornata con gli uomini-rana del Cnes di La Spezia, che raccontano cosa significa essere poliziotti subacquei

È proprio lì, in quel punto dove il cielo si unisce al mare, che finisce un mondo e se ne apre un altro, accessibile a pochi, ma altrettanto bello da scoprire, silenzioso anche se popolato da migliaia di forme di vita diverse dalla nostra, depositario di segreti e storie che non tutti conoscono. Un mondo che, per quanto bello, può essere spietato ed esige il massimo rispetto da parte di chi vuole entrarci, che deve farlo in punta di piedi, perché turbarne la tranquillità e la perfezione con le quali è stato creato equivale ad un sacrilegio.
Si potrebbe dire quasi che sia un mondo “capovolto” quello dei sommozzatori della Polizia di Stato ed il loro motto lo dice chiaramente: Il nostro mondo inizia lì dove il vostro finisce. Ed è proprio così. Qui a “Punta del Pezzino”, l’attuale sede Cnes a Portovenere (SP), ricavata da un ex comprensorio militare riqualificato e riadattato per le esigenze diverse, 32 sommozzatori passano gran parte delle loro giornate lavorative. Un lavoro che per tutti qui corrisponde alla passione di una vita e che è fatto di soddisfazioni e gioie, ma anche di momenti difficili e tanti sacrifici. L’aria che si respira nella “cala” (così i sommozzatori chiamano la loro sede) è quella di un grande affiatamento e di rispetto tra le persone, a cominciare da Luisa Cavallo, unica donna in Europa a dirigere un reparto del genere e che gli uomini chiamano affettuosamente “capo”, fino a chi si occupa del rimessaggio delle barche o della cura dell’attrezzatura. «All’inizio – racconta il dirigente con la passione per la subacquea e le regate in solitaria – non è stato semplice. Qui l’ambiente è fortemente di stampo “marinaro” (La Spezia è uno dei principali porti della Marina Militare italiana, ndr). Ma i “miei ragazzi” hanno capito che condividevo in pieno il loro amore per il mare ed è stato tutto facile».
Le giornate della “cala” sono sempre piene, senza tempi morti e passano velocemente tra immersioni (tre volte a settimana), “condizionamento fisico” (nuoto e corsa per due giorni) e un giorno dedicato alla manutenzione dei natanti e delle attrezzature. Queste ultime devono essere sempre in perfetto stato, anche perché da loro può dipendere la vita degli operatori.
Il Cnes di La Spezia, oltre ad essere la base alla quale fanno capo tutte le altre sezioni, è anche il centro dove vengono testati i nuovi materiali: dalle imbarcazioni alle mute per le immersioni, dagli erogatori per le bombole ai capi di vestiario.
Oltre alle mute, le maschere e le attrezzature per le normali immersioni, ci sono anche delle apparecchiature speciali che permettono agli “uomini-rana” della Polizia di Stato di lavorare sott’acqua in completa sicurezza: come l’equipaggiamento da “palombaro leggero” (unico corpo di polizia in Italia con personale abilitato ad utilizzarlo) che consente, tramite un casco in kevlar, di avere un collegamento sia audio che video con la superficie e di operare in ambienti particolarmente inquinati, come nel caso in cui lo scorso anno fu recuperato un uomo ucciso dalla Camorra e gettato in un pozzo. O ancora, il metal-detector e il sonar subacqueo, usati per rintracciare ordigni esplosivi; la muta stagna rinforzata in kevlar per evitare che si strappi accidentalmente; lo scooter subacqueo, una sorta di trascinatore ad elica che rende meno faticose immersioni lunghe e profonde, riducendo il consumo di aria; l’autorespiratore ad ossigeno (in gergo Aro), che permette di immergersi fino a dodici metri senza emettere le classiche bolle in superficie (utile quando non si deve essere visti) ed essendo un dispositivo totalmente “amagnetico”, viene impiegato nel caso in cui ci si debba avvicinare ad un ordigno che, nel caso di utilizzo dell’attrezzatura tradizionale, potrebbe innescarsi ed esplodere a causa dei campi magnetici generati; un battello operativo capace di raggiungere i 55 nodi (più di 100 km/h), equipaggiato con due potenti motori ecologici da 150 hp, per operare anche all’interno delle riserve marine; una camera iperbarica mobile (unici in Italia a disporne) per curare le malattie da decompressione. Proprio quest’ultima ha salvato la vita di molte persone che, per errore o per troppa confidenza con le profondità marine, si sono trovate in difficoltà. E qui uno dei ragazzi della “cala” ricorda di quando salvarono alcuni elementi dell’équipe di “Pipin” Ferreira (il famoso recordman di apnea) in preda ad embolia gassosa, o quando uno dei nostri sommozzatori si tuffò per “ripescare” letteralmente l’atleta cubano colto da una sincope a 30 metri di profondità. «Riprese conoscenza dopo quasi cinque minuti!», racconta l’operatore.
Ma sono tanti i ricordi degli uomini del Cnes, soprattutto quelli dei più anziani. «A questo punto è necessario fare un discorso a parte – dice Luisa Cavallo. Da noi c’è il “culto” e la regola dell’anziano. Lo so, è un po’ un atteggiamento vecchio-stile marinaro. Ma gli anziani, al di là del grado o delle responsabilità, qui dentro sono considerati una voce assolutamente autorevole ed autoritaria. L’anziano che va via non solo lascia il testimone ai più giovani, ma sceglie il proprio successore. Infatti, molti sommozzatori di oggi sono figli d’arte. Anche questo serve a far sentire il gruppo sempre più unito. Cercate di capire – continua – lì sotto la tua vita può dipendere dal tuo compagno».
Tra i 32 sommozzatori (tra cui due donne) di Punta del Pezzino ce ne è uno che è considerato la memoria storica del Reparto. Giuseppe Randazzo, per tutti “Pippo” (classe 1958 e stessa età del Nucleo), originario di Gioiosa Marea con ben 26 anni nella “cala” e ancora operativo. «Ho passato sicuramente più giorni in acqua che a casa, nella mia vita. Di questi anni – prosegue Pippo – ho bellissimi ricordi, come quando seguimmo in tutti i porti italiani il principe Carlo e lady Diana durante il loro viaggio nel nostro Paese, per rendere sicura la navigazione del Britannia (il panfilo reale, ndr) nei nostri mari, oppure quella volta che per assicurare lo svolgimento di un campionato di fotografia subacquea facemmo la spola tra Ustica e Palermo (80 miglia tra andata e ritorno, ndr) su un gommone con il mare grosso. Ma ricordo – e qui il viso di Pippo si vela di tristezza – anche quando nell’85 dovemmo recuperare il corpo di un collega che, mentre andava in canoa sul lago di Caldonazzo, si ribaltò. Lo trovammo qualche giorno dopo a diciotto metri di profondità». Un sub vero Giuseppe, che contando cinquanta primavere, ancora ogni anno durante il periodo invernale si immerge, con la squadra del Cnes, nelle acque gelate e sotto i ghiacci del lago di Lavarone, durante lo stage annuale dell’Anis (Associazione nazionale istruttori sub), mentre d’estate vigila sulla sicurezza a mare del Presidente della Repubblica e dei suoi ospiti, nella tenuta di Castelporziano.
Tre medaglie d’oro e tredici d’argento al valor civile, oltre a numerose altre al merito marinaro ed a innumerevoli attestati di benemerenza e lodi. Questo il “bilancio” dei riconoscimenti ottenuti dai nostri uomini-rana in cinquant’anni.
Anni in cui si ricordano vere e proprie imprese; come quella di Maurizio Zaffino e Francesco Forleo che, andando sott’acqua a più di settanta metri nel laghetto di Subiol (Valstagna, VC) all’interno della Grotta dell’Elefante bianco, riuscirono a riportare in superficie il corpo di un funzionario di banca che imprudentemente si era immerso. O figure che i sommozzatori eleggono a loro icona, come Vitale Casciaro, che nel 1964, contro il parere di tutti i suoi superiori, si gettò nel mare in burrasca dalla scogliera impervia di Calafuria (LI) per salvare una ragazza da morte sicura, mettendo a repentaglio la propria vita, per tornare poi a riva a bordo di una barca, su cui, quasi esanime, era stato scagliato da un’onda.
Ma non basta avere coraggio e, a volte, un po’ d’incoscienza per fare questo mestiere. Bisogna tenersi costantemente allenati fisicamente e aggiornati su tutte le nuove tecniche. Per questo motivo, ogni anno, tutti gli operatori subacquei della polizia si ritrovano qui al Cnes per uno stage collegiale. «Le tecniche operative – dice Luisa Cavallo – devono essere talmente standardizzate da non lasciare alcuno spazio al dubbio. I sommozzatori devono saper parlare la “stessa lingua”. Anche per questo motivo annualmente ci confrontiamo, tramite stage congiunti, sulle procedure e sugli standard operativi, con i nuclei speciali di tutta Europa».
Ed è proprio così. A La Spezia non è raro vedere i sommozzatori della Polizia di Stato allenarsi al largo sotto una petroliera che “gentilmente” si presta alle incursioni degli uomini rana del Nocs, insieme ai NI svedesi o ai Gsg-9 tedeschi. Ma tutti, prima di raggiungere il mare aperto, girano lo sguardo verso l’estremo lembo di terra di Punta del Pezzino, dove si trova la statua di San Paolo, il protettore dei subacquei.

Approfondimenti

L’attrezzatura
I consigli dei sommozzatori

01/06/2008