Alice Vallerini

Sfide nel blu

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Compie 50 anni il reparto speciale dei sommozzatori della Polizia di Stato. Presenti da Venezia fino a Palermo per garantire la sicurezza “in profondità”

Cinquant’anni fa, precisamente il 10 giugno 1958, un gruppo di dieci persone entrò a far parte del mondo sottomarino: muoveva allora le “prime pinnate” il Nucleo sommozzatori del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, l’embrione da cui sarebbe successivamente nato quello che attualmente si chiama Centro nautico e sommozzatori della Polizia di Stato o, più semplicemente, Cnes, che fa capo alla Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali, diretta dal prefetto Luciano Rosini. Coelum nostrum incipit ubi vestrum desinit, tradotto Il nostro mondo inizia lì dove il vostro finisce, recita il motto dei 63 sommozzatori che sono attualmente in servizio tra La Spezia, Venezia, Bari, Napoli e Palermo. I cosiddetti “uomini-rana” che, grazie a dotazioni tecniche sofisticate e a una preparazione durissima e tenuta costantemente a livelli d’eccellenza tramite un allenamento quotidiano, permettono alla Polizia di Stato di disporre di un gruppo altamente specializzato in grado di operare in acqua con la stessa dimestichezza che ha un agente “comune” nell’agire sulla terraferma.
I contesti in cui questi uomini sono chiamati ad intervenire sono i più disparati: dal supporto all’attività di polizia giudiziaria (come la  ricerca del corpo di un reato, refurtiva, droga o persone scomparse) al soccorso pubblico per emergenze nautiche o in caso di alluvioni ed esondazioni, passando per l’attività di prevenzione e sicurezza subacquea relativa ad obiettivi a rischio, fino alle  ricognizioni per l’individuazione di residuati bellici sommersi, alla tutela di siti archeologici, delle aree marine protette, all’assistenza in manifestazioni sportive attinenti le attività nautiche e subacquee.
Nelle cinque città, da dove i sommozzatori si spostano in ogni parte d’Italia a seconda delle esigenze del momento, si lavora in team, anche congiunti, di tre o quattro persone per far sì che sia sempre garantito il massimo livello di sicurezza nelle operazioni. Uno degli uomini, il capo team (o direttore d’immersione), si occupa di pianificare in sicurezza l’attività. Gli altri mettono a fuoco il da farsi, in genere grazie anche alla collaborazione con le altre forze dell’ordine presenti sul posto, poi scendono dove il blu del mare diventa nero, per agire secondo le necessità.
Salvo il nucleo di La Spezia, dove attualmente gli operatori specializzati sono 32, nelle altre città le Sezioni sommozzatori sono composte al massimo da sette operatori. La rapidità nel capirsi e nel coordinare i propri movimenti in relazione a quelli del gruppo, in un contesto quale quello marino che di per sé non facilita la comunicazione umana, rappresenta una risorsa preziosa e spesso determinante per la buona riuscita di un intervento.
Occorrono sangue freddo e spiccate capacità psico-fisiche, spiegano gli addetti ai lavori, per essere parte di questo gruppo di poliziotti. «La selezione è durissima – sottolinea Alfonso Terribile, il direttore del Servizio reparti speciali (cui i sommozzatori fanno capo). Prima i candidati passano per il centro psicotecnico di Roma, dove viene fatto un accertamento delle loro caratteristiche sulla base di alcuni parametri prestabiliti. Poi iniziano le successive selezioni al Cnes di La Spezia, dove vengono effettuate numerose prove di “acquaticità” per vagliare la “risposta” del candidato. Infine scattano i quattro mesi e mezzo di corso al Comsubin (il Comando subacquei incursori della Marina Militare italiana ubicato proprio di fronte al Cnes di La Spezia) dove i poliziotti conseguono il brevetto militare di operatore subacqueo fino alla profondità di sessanta metri, ragione per cui i sommozzatori vengono spesso chiamati “sessantametristi”. È ovvio che le capacità tecniche e l’abilità a muoversi sott’acqua in condizioni complesse, apprese durante questo periodo, devono essere mantenute sempre in esercizio dall’operatore. Per questo gli uomini che operano in questo reparto portano avanti un duro allenamento giornaliero: serve a farli mantenere costantemente allo stesso livello di efficienza, di prontezza».  Proprio quella che i sommozzatori sono chiamati a mostrare ogni volta che indossano la muta, scendendo in profondità e preparandosi ad affrontare un nuovo “caso”. Uno tra i tanti registrati nei mesi scorsi, il recupero del corpo del 29enne scomparso il lunedì di Pasqua dopo essere caduto nelle acque del canale Portatore a Terracina mentre pescava a bordo di una piccola imbarcazione assieme ad un amico. Il cadavere è stato trovato dopo 48 ore dall’incidente, a cinque metri e mezzo di profondità, proprio al centro del canale. Per oltre 2 giorni le forze dell’ordine avevano setacciato senza successo il corso d’acqua con il sistema di ricerca ‘a pendolo’ che permette di perlustrare le acque restando collegati alla terraferma attraverso un condotto. Poi il corpo del ragazzo è stato individuato, tra la densa melma del canale, grazie ad una complessa operazione portata avanti dagli agenti e dalle altre forze dell’ordine presenti, col supporto di uno speciale scandaglio per l’osservazione dei fondali: il cosiddetto ‘visore ricerca sagoma’.
Servono massimo autocontrollo ed una non comune padronanza delle proprie emozioni, ma anche agilità, intuito, destrezza e flessibilità per diventare un sommozzatore. E anche tanta volontà: bisogna immergersi nelle profondità marine e qui agire in velocità coordinandosi con i colleghi. Bisogna avere la capacità di lavorare in acqua al buio, di confrontarsi con una realtà particolare che può mettere in difficoltà anche la persona dotata di maggior senso di acquaticità. Le attrezzature in dotazione ai sommozzatori della polizia, certo, sono d’aiuto. I materiali sono altamente tecnici. «I materiali che hanno i nostri sommozzatori, prima di essere acquistati vengono sperimentati al Cnes per verificarne l’idoneità. – spiega il direttore dei Reparti Speciali; solo dopo aver accertato che si tratta della migliore attrezzatura possibile per lo scopo per cui viene utilizzata, questi strumenti entrano a far parte della dotazione. La resa di questi mezzi dev’essere massima, così come le prestazioni di chi s’immerge per un’operazione di polizia. Chi si occupa di testare il materiale lo sa, per questo la scelta è sempre meticolosa ed orientata all’eccellenza».

Approfondimenti

L’attrezzatura
I consigli dei sommozzatori

01/06/2008