Auto e moto storiche

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In viaggio dal 1945 ad oggi sui veicoli della Polizia di Stato









  1. Un percorso di storia
    Le origini
    Il dopoguerra
    La “mitica” Campagnola
    In autostrada sulla Giulietta
    La Ferrari di Spatafora
    Giulia 1600, la “Pantera” per eccellenza
    Arrivano le straniere
    Le motociclette
  2. Le schede tecniche dei mezzi

Un percorso di storia

È un patrimonio culturale e non solo. Quello rappresentato dalle auto e dalle moto d’epoca della Polizia di Stato è anche la tangibile testimonianza, a partire dall’immediato dopoguerra, di quanto la motorizzazione sia stata determinante nell’evoluzione del Corpo, in grado di adeguarsi alle esigenze richieste dal rapido evolversi dei tempi.
Macchine che profumano di storia e che evocano lo scorrere in parallelo di molteplici aspetti della vita pubblica nazionale. Dallo sviluppo dell’industria del settore, determinante per il progresso del nostro Paese, alle mutazioni del costume, all’imporsi di mode e modi di un’Italia nata dalle macerie di un conflitto disastroso, capace poi di conquistarsi solidità e benessere duraturo, sia pure attraverso eventi a volte tumultuosi.
Inizialmente, le auto e le moto della polizia destinate alla rottamazione sono state salvate da iniziative individuali di appassionati dipendenti dell’Istituzione, i quali, successivamente, agendo quasi fossero appartenenti ad una setta segreta, hanno provveduto a restaurarle. Un lavoro svolto con una cura maniacale, tanto che questi mezzi avrebbero poi partecipato con successo ad importanti manifestazioni storiche. Il fenomeno, di sempre più larghe dimensioni, non poteva lasciare indifferenti, fino a spingere alla realizzazione di un museo permanente dei mezzi della Polizia di Stato presso la vecchia sede della Fiera di Roma. Sforzo considerevole che ha evitato, innanzitutto, la dispersione di un’eredità d’inestimabile valore, oltre a dimostrare quanto la polizia tenga ad essere vicina alla gente pure tramite una struttura che ne tramanda una parte significativa della sua tradizione.

Le origini

La polizia ha iniziato a motorizzarsi, fra l’altro in sordina, solo negli anni Trenta, utilizzando vetture e moto civili, quali ad esempio la ben nota Fiat Balilla destinata alle questure per l’espletamento del servizio da parte di pochi, fortunati funzionari di grado elevato. Del resto, da parte delle forze dell’ordine non era minimamente avvertita la necessità di disporre di un vero e proprio parco motorizzato. In quel periodo, con una società ancora prevalentemente agricola, il tasso di criminalità era infatti molto basso rispetto, ad esempio, a quello delle metropoli americane. Il clima politico di quegli anni era tale da scoraggiare manifestazioni di piazza.
Erano, invece, motorizzate altre componenti statali che non dipendevano dal Corpo. Come la Milizia nazionale della strada, antesignana della Stradale, dotata esclusivamente di motociclette; come la Polizia dell’Africa italiana (Pai), nata nel 1936 per operare nei territori d’oltremare. La Pai, formata da personale rigorosamente selezionato e addestrato, si è distinta per l’impeccabile organizzazione, all’avanguardia in tutto, anche nell’allestimento di un efficiente parco macchine, indispensabile per il controllo di regioni sconfinate. Queste due entità, confluite alla fine della guerra nel Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, grazie alle esperienze maturate, hanno notevolmente contribuito allo sviluppo della sua motorizzazione.

Il dopoguerra

Nella riorganizzazione della polizia dell’Italia democratica viene avvertita l’urgente necessità di dotarsi e impiegare in maniera organica i più svariati automezzi. Lo impongono la crescente diffusione della criminalità, l’esigenza di garantire il controllo del territorio e il mantenimento dell’ordine pubblico in una stagione caratterizzata da forti tensioni sociali e politiche, il pattugliamento della rete viaria, semidistrutta dagli eventi bellici appena finiti. Ma i tempi sono grami e anche il bilancio della polizia ne risente. Perciò, non resta che ricorrere a residuati bellici, quali i leggendari fuoristrada Dodge ¾ e Jeep Willys dell’esercito Usa, impiegati in tutti i servizi istituzionali, in particolare dai reparti celere nei servizi di ordine pubblico. Stesso discorso per le moto, dalla provenienza più varia: le inglesi Norton e Bsa, le americane Harley Davidson Wla, persino alcune Bmw R75, già in dotazione alla Wermacht, oltre alle Guzzi, alle Bianchi e alle Benelli, in precedenza utilizzate dalla disciolta Milizia nazionale della strada. Comunque, per dare un’omogeneità apparente a questo insieme di macchine, il ministero dell’Interno dispose nel 1948 che le auto venissero dipinte di rosso amaranto e le moto di rosso vivo, livrea d’istituto in uso per tutti gli anni Cinquanta.
Il parco auto della polizia prende una sua precisa connotazione proprio all’inizio dei Cinquanta, acquisendo due vetture diametralmente opposte per caratteristiche, in quanto destinate ad espletare servizi del tutto diversi: l’Alfa Romeo 1900 e la Fiat AR, meglio nota come Campagnola. Un deciso salto di qualità, che consente alla polizia di svolgere la sua attività con mezzi adeguati alla situazione.
La 1900, auto ambitissima dalla ricca borghesia emergente, è stata la prima vettura concepita dall’Alfa Romeo per essere costruita in serie. Affidabile, dotata di una ripresa bruciante e in grado di raggiungere la sorprendente velocità, per l’epoca, di 180 chilometri orari nella versione Super TI, dal 1952 fu adottata per il servizio di volante, proprio allora istituito, oltre a metterne numerosi esemplari a disposizione della Stradale. Dipinta di nero, per le sue linee aggressive venne denominata Pantera, come ancora oggi sono gergalmente chiamate le volanti. Nel complesso, una vettura ideale per i servizi di pronto intervento e di contrasto alla criminalità ormai attrezzata con automobili di grossa cilindrata oppure spinte da motori elaborati.

La “mitica” Campagnola

La Campagnola, celebrato fuoristrada della Fiat, ha, invece, sostituito la Jeep Willys con un impiego estensivo da parte della polizia per oltre trent’anni nelle varie serie che si sono susseguite. Notazione curiosa. La Campagnola, detenendo il primato dell’autovettura rimasta più a lungo in servizio, ha fatto in tempo a vestire ben tre differenti colorazioni d’istituto: il rosso amaranto negli anni Cinquanta, il grigioverde nei Sessanta e l’azzurro medio dal 1976.
Questo fuoristrada, davvero unico per duttilità, è stato impiegato con successo nei più diversi servizi, tanto da diventare un simbolo della polizia e, di conseguenza, dello Stato. Fra l’altro, si è rivelato apprezzabile pure nella lotta al fenomeno del banditismo e dei sequestri di persona, particolarmente diffusi in alcune regioni negli anni Sessanta e Settanta, in quanto consentiva agli agenti di raggiungere ed esplorare le zone più impervie, oltre a permettere alla Stradale di portare aiuto alle popolazioni montane, essendo l’unico veicolo con il quale era possibile raggiungere piccoli paesi isolati da nevicate, allagamenti o frane.

In autostrada sulla Giulietta

Si chiama Giulietta ed è l’automobile che farà divenire l’Alfa Romeo un marchio mondiale fra le case costruttrici di automobili. Vettura epocale dalla polizia viene subito individuata come il mezzo che meglio può adattarsi ai nuovi compiti della Stradale, fra i quali spicca il servizio di pattugliamento sulla rete autostradale in via di sviluppo, in particolare sui primi tratti dell’Autostrada del Sole, che permetterà di collegare Milano a Napoli in poche ore. È, quindi, una novità il pattugliamento continuo nell’arco delle ventiquattro ore, sulla distanza dei 70, 80 chilometri, con l’esigenza di disporre di un’auto dalle prestazioni brillanti, sia pure di media cilindrata, qual è appunto il gioiello della marca del Biscione.

La Ferrari di Spatafora

Nello stesso periodo, all’interno della polizia, si afferma anche la corrente di pensiero che esige l’impiego delle cosiddette “auto da inseguimento”, mezzi dotati di motori generosi per combattere una delinquenza sempre più agguerrita, anche dal punto di vista motoristico. Così, dai primi anni Sessanta, scocca l’ora dei potenti coupé Alfa Romeo, il 2000 Sprint e l’ancor più poderoso 2600 Sprint, la cui velocità di punta raggiunge i 210 chilometri orari.
Proprio in questa ottica, nel 1962, la polizia acquisisce addirittura un esemplare della berlinetta Ferrari 250 GTE, assegnata alla Squadra mobile della questura di Roma. Sull’impiego della gran turismo di Maranello sono fioriti racconti leggendari, favoriti dalle imprese compiute da Armando Spatafora, spericolato pilota della vettura, contro la malavita romana. Dipinta di nero, in analogia con le Alfa 1900, rappresentava un autentico spauracchio per i criminali, le cui auto venivano inseguite per le vie della Capitale sul filo dei 200 all’ora.

Giulia 1600, la “Pantera” per eccellenza

Con la Ferrari, esclusa dall’attività nel 1973, per la polizia si chiude un ciclo. L’affermarsi di nuove tecnologie permette di superare il concetto di auto da inseguimento, indispensabili fin quando gli equipaggi, pur collegati via radio con le questure, operavano in modo pressoché autonomo. Dall’inizio degli anni Settanta, grazie al costante collegamento radio con un’unica sala operativa che coordina attività e interventi, si afferma il principio del controllo del territorio effettuato in modo continuativo da pattuglie che non hanno più bisogno di vetture superpotenti, bensì di un’auto di media cilindrata, in grado di garantire ripresa, agilità e maneggevolezza. Doti che si riscontrano nella Alfa Romeo Giulia 1600 super, in servizio per circa vent’anni e, perciò, considerata la “Pantera” per eccellenza.

Arrivano le straniere

Pur non appartenendo al filone delle auto d’epoca, merita una citazione la Fiat Marea, entrata in servizio nel 1996, appositamente studiata, elaborando la berlina in commercio, per garantire la massima sicurezza agli agenti. Da ricordare anche la Subaru Legacy, non tanto per le sue caratteristiche di station wagon ad alte prestazioni, bensì per essere una delle prime vetture di provenienza straniera utilizzata su vasta scala dalla polizia, una volta caduto il veto in proposito, attuando le direttive della Comunità europea. Una scelta che non è dettata da smanie di esterofilia, bensì per attualizzare al meglio il parco macchine, con una vettura che, al di là delle sue prerogative tecniche, offre un notevole comfort agli agenti in servizio.
Dalla Jeep Willys, inizialmente lasciata nel suo colore originale verde oliva, con le insegne degli eserciti alleati cancellate da approssimativi colpi di pennello, alle auto che in mezzo secolo sono state utilizzate dal Corpo per le attività istituzionali si evidenzia il lungo percorso compiuto dalla polizia per disporre dei mezzi più vari in grado di adempiere nelle molteplici attività istituzionali: un viaggio dentro la storia contemporanea italiana più recente.

Le motociclette

Per il parco motociclistico, una volta dismessi i residuati bellici, la Polizia di Stato ha privilegiato una delle più prestigiose case nazionali, quella Guzzi che, nel tempo, ha sempre avuto la capacità di costruire macchine all’avanguardia, un cult delle due ruote, nonostante una concorrenza agguerrita. Come la Giulia è stata l’auto simbolo del Corpo, così fra le moto ha assunto il medesimo significato il Falcone 500, in servizio per circa quattro lustri, negli anni Cinquanta e Sessanta.
Proprio in quel periodo, e con il gioiello della marca di Mandello del Lario, le pattuglie della Stradale, composte da due motociclisti, un capo pattuglia ed un gregario, hanno cominciato ad essere viste come una presenza amica sulle strade, sempre pronte a prestare soccorso agli automobilisti in difficoltà, in un’epoca in cui l’affidabilità delle vetture lasciava ancora a desiderare. Gli agenti non avevano difficoltà nell’improvvisarsi meccanici in quanto erano obbligati ad avere ampie cognizioni meccaniche. A ciascuno di loro, infatti, veniva assegnata una moto con la responsabilità di mantenerla in perfetta efficienza, quasi fosse di proprietà.
Ma il Falcone è entrato nella storia della polizia anche per essere stata la moto utilizzata dalla Stradale nei saggi di alto addestramento organizzati con grande successo negli anni Cinquanta e Sessanta. È stato quello il periodo in cui per celebrare varie ricorrenze venivano organizzate spettacolari esibizioni, nel corso delle quali imponenti formazioni di motociclisti eseguivano un variegato programma acrobatico, che entusiasmava gli spettatori, con una serie di figure quale l’otto, la stella, il cerchio di fuoco, il tunnel, la spaccata, la piramide ed il ponte umano.
Fra i tanti show se ne ricordano due in particolare. Il primo, allestito nella romana piazza di Siena, il 10 ottobre del 1959, in occasione del 107° anniversario della costituzione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, al quale prese parte una formazione composta da ben 240 motociclisti in sella ad altrettanti Falcone. Il secondo, sempre lo stesso anno, programmato in onore del presidente della Turchia in visita ufficiale nel nostro Paese, in cui 150 motociclisti conclusero il saggio componendo con le moto la mezza luna e la stella, simboli della bandiera dell’illustre ospite.
Proprio per le esibizioni della Stradale, una volta dismessi i Falcone sidecar, ormai superati dai tempi, tre Guzzi V7 vennero trasformate in tale senso, con l’applicazione di carrozzini prodotti da un’azienda olandese. Una idea brillante, in quanto la V7, grazie al suo potente motore da 700 cc, permetteva la presenza contemporanea sul mezzo di cinque o sei agenti. La figura più apprezzata con i sidecar, per il grado di difficoltà, prevedeva lo smontaggio in movimento della ruota, che era esibita a mo’ di trofeo dal motociclista seduto alle spalle del pilota, e che veniva rimontata sempre in marcia.
Non appartiene certamente al settore delle moto storiche l’Aprilia Pegaso 650s, in servizio dal 2003, ma va segnalata perché ha segnato la fine del monopolio della Guzzi, quando la polizia ha dovuto sostituire la V75: una scelta dettata dalle caratteristiche della macchina, ideali per operare nel caotico traffico cittadino. Inoltre, è stato un giusto riconoscimento alla marca di Noale, protagonista del mondiale, classi 125 e 250, ma anche sul mercato, conquistandone una fetta consistente.
Per concludere, non si può escludere da questa carrellata la Bmw R 850, prima moto straniera adottata dalla polizia, quando le normative europee hanno consentito di rivolgersi anche alle case estere. Acquisita dal 2002, è assai gradita dai centauri della Stradale, provvisti di un mezzo tecnologicamente avanzato, degno erede della gloriosa Guzzi 850 T5, in servizio per circa tre lustri sino alla fine degli anni Novanta.
Come le vetture, pure le moto rappresentano un significativo spaccato della storia della Polizia di Stato e, più in generale, dell’industria del settore, con un preciso riferimento alla Guzzi, sempre di grande attualità, considerando la libertà di movimento che consente con i suoi agili prodotti. Oltre ad esprimere una filosofia di vita.

(di Oscar Orefici - Opinionista sportivo)

Approfondimenti

Fiat 500C Topolino (1952)


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01/05/2008