Tito Stagno

Proviamo a capirci

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Dalle “convergenze parallele” dei politici alle criptiche diagnosi dei medici, passando per le circolari incomprensibili. Ecco come la lingua italiana può parlare senza farsi comprendere

Il 4 marzo 1933, nel suo primo messaggio alla Nazione da presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt esordì così ai microfoni della radio: «Concittadini, io vedo che un terzo del Paese ha case insufficienti, abiti insufficienti, cibo insufficiente». Quindici parole, soltanto quindici per scolpire la grande crisi economica degli anni Trenta.
Massimo Baldini, maestro della comunicazione moderna, in uno dei suoi libri, Parlar chiaro, parlare oscuro, si diverte a immaginare come e con quante (inutili) parole più di un politico di casa nostra avrebbe cercato di dire le stesse cose di Roosevelt. State un po’ a sentire: «Appare evidente che un cospicuo numero di individui all’interno dei confini continentali della Nazione usufruisce di inadeguate risorse finanziarie. Per un considerevole segmento della popolazione, valutabile intorno al 33,3333 per cento del totale, si hanno insufficienti facilitazioni per gli alloggi, e una frazione ugualmente imponente di individui è priva del necessario tipo di vestiario e di nutrimento». Benedetta Italia, produci tanti beni, ma pochissimi oratori stringati e sostanziosi.
Toronto 1988. Al vertice dei Paesi più industrializzati del mondo chi rappresenta l’Italia fa un discorso in perfetto “politichese” secondo un certo stile democristiano che arrivava persino a parlare di “convergenze parallele”. Il giorno dopo, un autorevole quotidiano canadese scrive che il rappresentante italiano ha parlato senza essere compreso e che il premier britannico, la signora Margareth Thatcher, è stata vista scuotere nervosamente il suo auricolare e controllarne più volte i contatti. L’interprete simultaneo sarà stato probabilmente sopraffatto dall’eloquio capace di intrattenere senza comunicare, pescando spesso e volentieri nelle acque torbide del linguaggio della burocrazia. L’oscurità è scelta per evitare di esporsi su temi scottanti, e talvolta per inviare messaggi cifrati ad altri gruppi di potere. Furbescamente si evitano chiarezza e semplicità, perché le posizioni troppo nette non lasciano scappatoie per ripensamenti e ritirate strategiche. Ha ragione Oscar Wilde: «Nel mestiere della parola c’è più rischio che in altri». Oggi essere intellegibili significa farsi scoprire. E in un Paese come il nostro, in cui la malattia intellettuale più diffusa è la retorica, sono poche le persone disposte a correre un simile rischio.
Se politici e burocrati fanno a gara nel parlare per enigmi, nell’usare parole “riempibocca”, parole che non sempre appaiono nei dizionari, termini ambigui, frasi intricate, intellettuali, sindacalisti, giornalisti e medici non di rado hanno le loro colpe.
Qualche esempio? Subito serviti. “La totalità sociale”, invece che semplicemente “la società”: errore sottolineato con la matita blu dal grande filosofo ...


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01/04/2008