Anacleto Flori
Quello che i bambini non dicono
Il disegno infantile è un vero e proprio strumento di comunicazione, in cui ricercare le tracce di abusi o di malesseri psicologici
Una casa fredda, inospitale, dalle finestre sbarrate da pesanti inferriate, senza un dettaglio, un particolare che possa far pensare al calore, all’affetto di una famiglia. Così Monica, una bambina di sette anni con un padre in galera e una giovane madre incapace di prendersi cura di lei, disegnava con tratti di matita appena abbozzati la casa dei nonni dove si era trasferita dopo la separazione dei genitori e dove era costretta a subire i maltrattamenti e le molestie di uno zio materno. Una storia vissuta nella più completa solitudine, un segreto rimasto sepolto a lungo nelle pieghe della coscienza e che Monica ha trovato la forza di rivelare solo quando aveva ormai 22 anni. Così, a distanza di tanto tempo, al di là degli incubi notturni, degli scatti d’ira e della diffidenza verso gli altri che hanno contrassegnato l’adolescenza di Monica, sarà proprio in quei segni incerti, in quei disegni infantili spediti al padre, creduto lontano per lavoro, che ancora oggi si possono ricercare le tracce di quella violenza. «Una violenza che a volte - spiega Marisa Aloia, psicologa esperta in test grafici, perito giudiziario, docente nei corsi di aggiornamento e formazione universitari e autrice del libro I segni della violenza (Giordano Editore, pgg. 251) - riempie d’ansia le piccole vittime fino a renderle mute. Il disegno, in alcuni casi, rappresenta per i bambini l’unica forma di comunicazione possibile da cui l’esperto possa ricavare informazioni sulla sfera della loro emotività».
In caso di abusi, infatti, i bambini attraverso l’espressione grafica possono raffigurare le parti del loro corpo che sono state toccate, accarezzate o violentate, mentre nei disegni delle vittime di incesto trovano posto elementi estremamente significativi come ragazzini soli, volti dipinti di nero, figure mostruose e componenti della famiglia distanziati e separati gli uni dagli altri da spazi bianchi e barriere, come se il contatto con loro rappresentasse una fonte di pericolo. «In particolare – continua Marisa Aloia - l’autore dell’abuso può perdere le fattezze umane ed apparire invece come una figura incombente, minacciosa. Altro elemento che in questi casi salta agli occhi è l’uso poco equilibrato della pagina: l’esperienza dell’incesto confonde lo spazio familiare, annulla i confini, rendendo difficile per la vittima distinguere quanto appartiene a sé e quanto all’altro, dal momento che il suo territorio più intimo, il proprio corpo, è stato brutalmente invaso. Una violazione che si riflette anche negli autoritratti dei bambini abusati, che disegnano se stessi in modo approssimativo e per lo più privi di parti importanti del corpo a dimostrazione della progressiva perdita di autostima. È però bene sottolineare che da sola l’analisi del disegno non può essere considerata un mezzo di prova, in particolare se non si è assistito alla sua realizzazione».
Come osservare un disegno
L’attenta analisi del disegno infantile può dunque fornire un aiuto importante nella ricerca degli indicatori di eventuali maltrattamenti e abusi sessuali, come dimostra il recente e controverso caso di Rignano Flaminio, alle porte di Roma, in cui sono stati proprio alcuni disegni fatti da alcuni alunni della scuola materna, e raffiguranti un uomo dalla carnagione scura completamente nudo, a spingere gli investigatori ad avviare le prime indagini. Ma, al di là della sfera della sessualità, il disegno in età prescolare è importante perché funziona come una sorta di linguaggio alternativo a quello verbale, che proietta il bambino sulla carta così come è realmente e non come cerca di apparire a se stesso e agli altri. Un linguaggio ancora più diretto e difficile da manipolare, attraverso il quale il piccolo autore esprime, in modo inconsapevole, la percezione di sé e le cose che per lui sono importanti, come la famiglia, la casa, il mondo delle emozioni e dei ricordi, delle esperienze e dei bisogni, ma anche gli istinti e gli impulsi più profondi di cui ancora non ha coscienza.
Nell’esaminare un disegno infantile bisogna prima di tutto tenere conto dell’ambiente socio-culturale in cui il bambino è cresciuto, del grado di sviluppo della sua tecnica grafica e del fatto che, fino all’età di cinque-sei anni, egli è portato a raffigurare le cose non per come le vede ma per come le conosce (realismo intellettuale). In particolare, nell’età compresa tra i tre e i quattro anni, il disegno della figura umana contiene solo gli elementi più importanti: la testa (con l’unico particolare degli occhi, che fin dalle prime fasi della percezione esercitano una grande attrazione), le braccia e le gambe. Tra quattro e cinque anni appaiono il busto con l’ombelico, poi altri particolari del viso e le prime tracce di abiti; a sei il bambino prende piena coscienza del proprio corpo e sul foglio trovano posto anche le mani e il collo. L’ultimo passo in avanti sarà rappresentato dall’uso della figura vista di profilo.
Per meglio interpretare il messaggio contenuto in ciascun disegno, gli psicologi fanno ricorso a chiavi di lettura e simboli specifici, la cui interpretazione, sebbene abbia basi scientifiche, rimane sempre e comunque soggettiva. Una complessa simbologia che di volta in volta indica in quali elementi grafici si possono ricercare le tracce di un disagio, di un malessere o forse solo di un carattere difficile: dal modo in cui il bambino occupa lo spazio nel foglio (che esprime le relazioni tra soggetto e ambiente circostante) alla qualità del tracciato delle linee e dei segni. «Se il disegno ad esempio tende ad espandersi sul foglio – spiega Marisa Aloia - il bambino dimostra di essere intelligente, vivace, portato all’iniziativa e all’entusiasmo. Se al contrario viene usata soltanto una piccola parte dello spazio, il bambino mostra paura, mancanza di sicurezza. Un disegno concentrato nella parte bassa del foglio denota senso pratico; se invece occupa la parte alta, siamo in presenza di un soggetto dall’ intelligenza fantasiosa, ma timido e con la testa fra le nuvole».
Ci sono poi altri particolari che possono fornire importanti informazioni: l’orientamento degli elementi grafici verso la parte sinistra del foglio indica la ricerca della protezione materna, ma anche malinconia e introversione; verso destra, rappresenta fiducia nel futuro e un maggiore legame con il padre; le figure piccole rappresentano intelligenza acuta, attenta ai particolari, quelle grandi un’intelligenza più intuitiva e sommaria. Se le figure rappresentate sono chiare e ben definite, il bambino è ubbidiente e tranquillo, se incompiute, è capriccioso ed impulsivo. La presenza dei margini in un disegno rappresentano la consapevolezza che il bambino ha dei propri limiti intellettivi e caratteriali; l’assenza, al contrario, indica fiducia in sé (anche troppa) e poco rispetto verso gli altri. Anche il tratto del disegno assume valori precisi: un segno ben impresso è sintomo di energia, carattere forte e volitivo che può sfociare nella violenza; gli assottigliamenti indicano uno stato di emotività e, se troppo frequenti, rappresentano angoscia e sofferenza; le linee curve, in genere, indicano invece un carattere accomodante.
Altri aspetti da osservare sono l’uso di linee acute e tratti spigolosi, spesso spia di capricci causati da sofferenze interiori, e soprattutto la presenza di eventuali cancellature (fatte con la matita o attraverso l’uso di un colore coprente, come il nero) che mostrano la voglia di far scomparire e rimuovere qualcosa che provoca fastidio o dolore.
I temi
Il disegno della figura umana (all’inizio, come abbiamo visto, si tratterà soltanto del cosiddetto omino, vale a dire un semplice uovo con le braccia) rappresenta una delle occasioni migliori per ricavare informazioni sulla psiche dell’autore. Ogni particolare fisico disegnato dal bambino rimanda a una sua precisa caratteristica: la testa rappresenta il potere intellettuale, il centro della persona, la bocca e i denti l’erotismo e l’aggressività, il mento la virilità, gli occhi la socialità, il naso esprime problemi sessuali, il tronco la stima del proprio corpo. Attraverso la raffigurazione dei propri coetanei è possibile intuire il ruolo, la posizione sociale rivestiti dall’autore all’interno del gruppo. Lo stesso vale per la famiglia sulla cui raffigurazione è stato elaborato un vero e proprio test (Il disegno della famiglia) che permette di risalire alle dinamiche familiari attraverso l’analisi dei rapporti di spazio esistenti tra i diversi membri, l’individuazione del familiare posto in posizione di maggiore risalto, di quello sminuito e di quello invece aggiunto.
I colori
Anche l’uso di un colore piuttosto di un altro può aiutare a comprendere la vita emotiva di un bimbo, senza però dimenticare che anche in questo caso lo psicologo chiamato a fornire la propria lettura dovrà tenere ben presente l’età dell’autore del disegno da esaminare: nei primi anni di vita si tende infatti a preferire i colori caldi (rossi e gialli) poi, crescendo, la scelta cade su quelli freddi (blu, verde e viola). Inoltre, quando i bambini, che inizialmente colorano gli oggetti non come li vedono ma sulla base del loro stato d’animo, scoprono la relazione esistente tra oggetto e colore, tendono a riprodurre in continuazione tale relazione; così, una volta scoperto che il cielo è blu e che il tetto della propria casa è rosso, tutti i tetti saranno rossi e il cielo sarà sempre blu.
Più in generale, ad ogni colore corrisponde un particolare stato emotivo: il giallo rappresenta un carattere superficiale; l’arancione la vivacità e l’allegria; il rosso l’energia e la determinazione; il blu la nostalgia e la purezza; il verde la quiete e la riflessione; il violetto tristezza e solitudine. Infine la scelta cruciale tra il bianco e il nero: il bianco indica una propensione per il silenzio, il nero un atteggiamento di rifiuto e di chiusura.
La storia di Giada
Giada viveva in un ambiente familiare, sereno, assieme ai suoi genitori, una giovane coppia che copriva la bambina di tutte le attenzioni e che la seguiva in ogni aspetto della sua crescita. Sembra l’inizio della più classica delle favole, invece rappresenta il punto di partenza della storia di un divorzio come tanti che metterà a dura prova la vita emotiva di una ragazzina di sette anni. «La separazione dei genitori rappresentò per Giada, uno strappo improvviso, un doloroso cambiamento familiare - ricorda la psicologa Marisa Aloia – che ho potuto ricostruire confrontando, mese per mese, le tappe fondamentali della separazione con le tracce e i messaggi disseminati dalla bambina nei disegni realizzati a scuola».
La ricerca inizia a febbraio quando la situazione familiare è ancora serena. Una serenità confermata dai disegni fatti in quei giorni: nel primo (fig. 1), vivace e gioioso, Giada sfrutta il cerchio della O di ottimo per disegnare il viso della bambina; il secondo (fig. 2) mostra una casa solida e accogliente: le finestre sono aperte, e la porta, sebbene chiusa, ha una maniglia bene in vista (possibilità di entrare); infine, dal camino esce del fumo, segno che l’ambiente è caloroso e pieno di affetto. «Tuttavia il sole appare cancellato – fa notare la psicologa - a dimostrazione che il rapporto tra i genitori comincia a incrinarsi».
La crisi vera e propria scoppia ad aprile ed è subito rintracciabile in due disegni di Giada: in uno (fig. 3) le figure sono incomplete, quasi amputate, simbolo di sensi di colpa e di sofferenza, mentre la parola famiglia presenta un tratto incerto, che lascia trasparire la preoccupazione per la difficile situazione, nell’altro disegno (fig. 4) Giada raffigura i genitori con le teste dalla forma geometrica, (quadrata per la mamma, triangolare per il papà, ad evidenziarne la sofferenza emotiva) mentre tra i due personaggi, un cuore in lacrime, trafitto da una freccia, si lamenta («che male»).
A maggio la crisi raggiunge il culmine, ed ecco che la casa (fig. 5) una volta accogliente appare disegnata a metà; dal camino non esce più il fumo, le finestre sono chiuse così come la porta (la presenza della maniglia, però, lascia ancora una possibile via di entrata).
Giugno è il mese in cui i genitori decidono di separarsi. Le ripercussioni su Giada sono immediate; in un compito a scuola (fig. 6) la bambina si raffigura senza testa e soprattutto senza tenere i piedi per terra. «La testa - spiega ancora Marisa Aloia - serve per pensare, ma i pensieri in questo momento sono tristi e creano sofferenza, meglio farne a meno, mentre la sospensione in aria indica la voglia di staccarsi da una realtà spiacevole».
Dopo l’estate il padre inizia a tornare a casa solo nei fine settimana; puntuale arriva un disegno (fig. 7) in cui Giada manifesta la sua angoscia attraverso la paura del buio. A questo punto la volontà e la capacità dei genitori, uniti nel sostenere e nell’accompagnare la bambina in questa nuova fase della sua vita, comincia a dare i primi frutti: per la prima volta dopo tanti mesi Giada (fig. 8) appare di nuovo serena, rivolta verso la parte destra del foglio (simbolo di fiducia nell’avvenire e di disponibilità verso gli altri ). È passato quasi un anno, i timori e le paure legate alla separazione, ormai avvenuta, sembrano superate: è quindi ora di tornare a fare, se possibile , sogni tranquilli (fig. 9).
Tutta la storia di Giada, è pubblicata sul sito www.psicodiagnosi.com
I test proiettivi
Una delle modalità di intervento più usata dagli psicologi, perché ritenuta meno invasiva, è quella dei test proiettivi , attraverso i quali i soggetti esprimono e proiettano, appunto, parti di sé:
Test di Rorschach
Il “Test di Rorschach o delle macchie di inchiostro”, messo a punto nel 1921 dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach (1884-1922), è uno dei metodi più usati nella psicodiagnostica proiettiva. Consiste nel richiedere al soggetto esaminato il significato di 10 figure (in alto una delle figure) dalla forma irregolare, ottenute dalla piegatura di un foglio di carta su cui sono state fatte cadere alcune gocce di inchiostro. Attraverso le risposte, valutate secondo precisi schemi interpretativi, è possibile ricavare informazioni sugli aspetti fondamentali della personalità, sul particolare tipo di intelligenza e sulla presenza di eventuali complessi e fobie inconsce.
Test di Lüscher
Elaborato nel 1949 dallo psicologo e psichiatra svizzero Max Lüscher, il “test dei colori “ si basa sull’ assunto che l’attrazione verso un determinato colore sia direttamente legata alla nostra sfera caratteriale, emotiva e affettiva. La scelta di un colore, piuttosto che un altro, finisce dunque per parlare di noi e della nostra vita, rivelando l’esistenza inconscia di bisogni, desideri ma anche paure: si tratta di un vero e proprio linguaggio cromatico da interpretare e da decifrare.
Il test (nella sua versione ridotta) si avvale di otto colori, 4 colori base (rosso, giallo, verde e blu) e 4 colori ausiliari (viola, marrone, grigio e nero).
Il rosso è il colore dell’espansività, dell’ eccitazione, del senso di forza, e della fiducia in sé.
Il blu invece rappresenta la calma, la quiete, l’armonia, il raggiungimento di uno stato di pace interiore.
Il verde esprime stabilità, forza, tenacia, ma anche equilibrio psicologico e autostima.
Il giallo è un colore caldo, luminoso, che rappresenta il desiderio di libertà, di cambiamento e la ricerca del nuovo.
Il viola è il colore della trasformazione, della metamorfosi, del passaggio da uno stato ad un altro. Rappresenta la sfera della magia, del misticismo e della spiritualità.
Il marrone rappresenta la solidità fisica, l’aspetto corporeo e materiale della nostra vita.
Il grigio è il colore neutro di chi prende le distanze dai sentimenti e dalla vita.
Il nero infine è un “non colore”, espressione della negazione.
In generale i colori caldi (giallo, arancione e rosso) esprimono stimoli positivi e caratteri irrequieti ed espansivi al limite dell’ aggressività, mentre quelli freddi (violetti, blu e verdi) indicano caratteri pacati, riservati, tranquilli.