Annapaola Palagi
Quell’Italia a mano armata
Bistrattato negli Anni ’70 e rivalutato oggi anche da famosi registi. Viaggio nel poliziesco di casa nostra
Tengono incollati milioni di spettatori allo schermo televisivo. Il pubblico tifa per loro: il commissario Montalbano, così come il commissario Fontana di Distretto di polizia ma anche l’ispettore capo Pietro Guerra de La Squadra. Sempre più spesso la televisione propone storie in cui i poliziotti sono protagonisti, ma la polizia in tv, così come al cinema, non è una novità. Dal Dopoguerra ad oggi sono stati tanti, tantissimi, gli attori che si sono calati nel ruolo di commissari e ispettori alla prese con malviventi, criminali e vari problemi di carattere sociale, nella maggior parte dei casi ripresi dalla realtà. Fare un elenco di tutti i protagonisti che hanno reso celebre un genere cinematografico, chiamato poliziesco, diventa oggi quasi impossibile. Ma gli appassionati del cosiddetto “poliziottesco” anni Settanta non possono non ricordare i volti di attori che vanno da Gian Maria Volontè a Enrico Maria Salerno; da Maurizio Merli a Luc Merenda; da Franco Nero e Tomas Milian.
Caro amato-odiato poliziesco all’italiana
Il poliziesco all’italiana è stato spesso bistrattato dalla critica e considerato un genere di serie B, ma in realtà ha avuto anche tanti estimatori. Recentemente è stato rivalutato al Festival del cinema di Venezia anche da registi di fama mondiale come Quentin Tarantino che ha ammesso di aver amato e preso spunto proprio da alcuni di questi film italiani Anni ’70. Le pellicole in cui la polizia combatte la criminalità organizzata sono state sempre apprezzate dal pubblico (all’epoca facevano gli incassi più alti). E il genere è ancora oggi molto considerato, se ci sono case editrici che propongono collezioni dei film più significativi e se Roberto Curti, scrittore appassionato di cinema, ha deciso di scrivere un libro dedicato all’argomento: “Italia odia. Il cinema poliziesco italiano”, edito dalla casa editrice Lindau. Un libro con cui l’autore spiega l’evoluzione di un genere ripercorrendo le immagini e le vicende di poliziotti, banditi, gangster e malavita organizzata, raccontate attraverso le pellicole dell’epoca, spesso legate a spunti di cronaca. Il poliziesco, come del resto la maggior parte del cinema italiano, ha fotografato negli anni i cambiamenti sociali e politici in atto nel nostro Paese. È un filone, scrive Curti, “che si confronta con la pura e tremenda realtà italiana del tempo cogliendone – spesso in maniera confusa e istintiva – contraddizioni e ansie”.
La polizia ha le mani legate
“Abbiamo le mani legate: i delinquenti ci prendono per il sedere e i giornalisti ci inzuppano il pane”. Una frase emblematica che il regista Stefano Vanzina (in arte Steno) mette in bocca al commissario Bertone in La polizia ringrazia, film del 1972 che convenzionalmente dà il via al “poliziottesco”. Enrico Maria Salerno interpreta la parte del commissario dai metodi spicci e la propensione a non guardare in faccia nessuno. In realtà è un poliziotto ancora piuttosto riflessivo, tranquillo, malinconico e poco propenso all’uso delle armi, a differenza di quelli che saranno gli eroi del genere, suoi successori. Come già Confessione di un commissario di polizia al procuratore della Repubblica (1971) anche La polizia ringrazia adotta il punto di vista di un appartenente alle forze dell’ordine che, in molte occasioni, esplicita il suo senso di impotenza, l’impossibilità a svolgere adeguatamente il proprio compito per mancanza di uomini, mezzi e leggi adeguate. “La polizia ha le mani legate” sarà la battuta ricorrente e il filo conduttore dei film che hanno fatto la storia del poliziesco all’italiana.
Il genere si rifà all’ideale americano – in particolare a due grandi titoli Usa del ’71 Il braccio violento della legge e Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo –